Cass. civ. Sez. I, Sent., 06-04-2012, n. 5626

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con atto di citazione notificato in data 15 dicembre 2001, Ma.

M. e M. convenivano in giudizio la Banca Popolare di Novara, Soc. Coop. a R.L., per sentirla condannare al risarcimento dei danni derivati dalla vendita di obbligazioni CECA ed ENEL ed accredito di parte del ricavato su conto corrente intestato a T. G.F., nell’ambito di un’operazione di pegno dei predetti titoli, a garanzia di anticipazioni bancarie effettuate sul suindicato conto corrente; chiedevano altresì la dichiarazione di nullità o l’annullamento del contratto di pegno; Ma.Ma. disconosceva la firma in calce agli ordini di vendita e di accredito.

Costituitosi il contraddittorio, la Banca Popolare di Novara, cui in corso di causa si sostituiva la Banca Popolare di Verona e Novara, Soc. Coop. a R.L., chiedeva rigettarsi ogni domanda proposta, sostenendo che il direttore della filiale in (OMISSIS) della banca, O.A., che aveva seguito il rapporto con gli attori, era stato assolto dal reato di furto e truffa in sede penale per i fatti dedotti e che le firme erano autentiche.

Il Tribunale di Tortona, con sentenza 2-12 febbraio 2007, rigettava le domande dei M..

Proponevano appello Ma.Ma. e M.. Costituitosi il contraddittorio, il Banco Popolare Soc. Coop. a R.L. (già Banca Popolare di Verona e Novara) ne chiedeva il rigetto.

La Corte d’Appello di Torino, con sentenza 6 novembre 2009 – 15 gennaio 2010, in riforma dell’impugnata sentenza, condannava la banca al pagamento in favore degli appellanti della somma di Euro 62.749,51.

Ricorre per cassazione il Banco Popolare, sulla base di nove motivi.

Resistono, con controricorso, Ma.Ma. e M..

Il ricorrente ha depositato memoria per l’udienza.

Motivi della decisione

Appare infondata l’eccezione di inammissibilità del ricorso, per mancata formulazione delle censure in rubrica ai motivi 2, 4, 5, 7, 9: nelle rubriche è presente il riferimento alle norme asseritamente violate, e tale violazione è comunque oggetto di trattazione nell’ambito di ciascun motivo.

Con i primi due motivi, il ricorrente lamenta violazione degli artt. 1306 e 2909 c.c., nonchè vizio di motivazione, in quanto la sentenza penale emessa nei confronti di O.A., avrebbe precluso ogni possibilità di decisione in sede civile.

I motivi vanno rigettati, in quanto infondati.

Come già aveva chiarito il Giudice a quo, l’Ortolano, già vice direttore della filiale di (OMISSIS) della Banca Popolare di Novara, era stato assolto dal delitto di furto della somma di denaro ricavata dalla vendita delle obbligazioni costituite in pegno, ai sensi dell’art. 530 c.p.p., comma 2, avendo il Giudice penale ritenuto insufficiente la prova della falsità delle sottoscrizioni attribuite a Ma.Ma., apposte in calce agli ordini di vendita delle obbligazioni e alla richiesta di accredito a favore del conto corrente intestato a T.G.F. (a sua volta prosciolto per morte del reo); al processo penale non aveva partecipato la Banca Popolare di Novara.

Non sussistono dunque i presupposti (oggettivo, inerente all’accertamento effettuato in sede penale, e soggettivo, relativo all’identità delle parti nel processo penale e civile) necessari per la sussistenza dell’effetto preclusivo del giudizio penale, secondo orientamento giurisprudenziale, ampiamente consolidato (tra le altre, Cass., n 20325 del 2005; Cass., n 10575 del 1997).

E’ appena il caso di precisare che, pronunciando l’assoluzione ai sensi dell’art. 530 c.p.p., comma 2, il Giudice penale non poteva evidentemente decidere sulla domanda risarcitoria, formulata dalle parti civili.

I motivi terzo, quarto e quinto attengono a violazione di legge ( artt. 115 e 116 c.p.c.; artt. 2727 e 2729 c.c.; artt. 61, 215, 220 c.p.c.) e vizio di motivazione, in ordine alla prova della falsità o genuinità delle sottoscrizioni di Ma.Ma.. Lamenta, il ricorrente che la Corte di merito si sia limitata a recepire acriticamente i risultati della consulenza grafologica espletata, senza considerare ulteriori elementi probatori.

I motivi vanno rigettati, in quanto infondati.

Non si ravvisa violazione alcuna delle norme suindicate, in relazione alle quali, del resto, l’argomentazione sviluppata appare inadeguata.

Va ricordato l’orientamento giurisprudenziale consolidato (perette, Cass., n 2404 del 2000), per cui il Giudice di ferito è libero di attingere il proprio convincimento dalle diverse risultanze di causa, considerate più attendibili ai fini della decisione, senza essere tenuto ad una esplicita confutazione degli elementi probatori non accolti. Richiama la Corte d’Appello, con motivazione adeguata e non illogica, l’esito della consulenza tecnica espletata, precisando in particolare che la banca non ha rivolto critiche specifiche all’operato del c.t.u., nè ha prodotto proprie contrarie relazioni di parte, limitandosi a presentare la relazione del perito, nominato nel processo penale.

I motivi sesto e settimo attengono a violazione dell’art. 1372 c.c., e vizio di motivazione. Afferma la banca ricorrente l’assenza totale di responsabilità, perchè comunque, sulla base del contratto di pegno intercorso con i M., essa poteva vendere i titoli "senza formalità", e di tale profilo, ancorchè dedotto, non ha tenuto conto il Giudice a quo.

I motivi appaiono inammissibili per totale inconferenza alla fattispecie. Come emerge con chiarezza dalla ricostruzione dei fatti operata dalla Corte di merito, la vendita dei titoli non si verificò "senza formalità", secondo il contratto di pegno, ma mediante l’utilizzo di ordini di vendita, raffigurandone la provenienza diretta dai clienti, con la falsificazione delle firme.

I motivi ottavo e nono attengono a violazione degli artt. 1218, 2043, 1223, 2056 c.c., nonchè vizio di motivazione, in ordine alla quantificazione del danno.

I motivi vanno rigettati, in quanto infondati.

La Corte d’Appello ha condannato la banca a corrispondere agli odierni resistenti la somma di Euro 62.749,51 accreditata sul conto corrente intestato a T.G.F.. A nulla rileva che siano stati venduti titoli comunque soggetti alla garanzia pignoratizia, in quanto, come si è detto, essi sono stati alienati (e parte del ricavato accreditato su conto corrente di un terzo), a seguito di falsità delle firme sugli ordini di vendita e accreditamento. Il Giudice a quo ha correttamente rimesso i soggetti danneggiati nella medesima situazione anteriore al comportamento illecito del danneggiante.

Conclusivamente il ricorso va rigettato.

Le spese seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in Euro 4.000,00 per onorari ed Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali ed accessori di legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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