Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 06-04-2012, n. 5598 Licenziamento disciplinare

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza pubblicata il 29 dicembre 2009 e notificata in data 25 febbraio-1 marzo 2010, la Corte d’appello di Roma, in parziale riforma della decisione di primo grado, ha accolto le domande svolte da P.M. – dipendente dell’Ente nazionale di assistenza al volo (ENAV) s.p.a. con la qualifica di dirigente incaricato di dirigere la divisione infrastrutture – di dichiarazione della illegittimità del licenziamento per ragioni disciplinari comunicatogli con lettera del 10 ottobre 2002, con le conseguenze tutte di cui alla L. n. 300 del 1970, art. 18, come sostituito dalla L. n. 108 del 1990, art. 1. La Corte ha viceversa confermato la decisione di primo grado, di rigetto delle ulteriori richieste risarcitorie svolte dal P. e della domanda in via riconvenzionale dell’ENAV, rigettando, a quest’ultimo riguardo, l’appello incidentale della società.

Avverso tale sentenza propone rituale ricorso per cassazione l’ENAV, affidandolo a tre motivi.

V.A., anche in nome della figlia minore P.M. E., nella qualità di erede di P.M., nel frattempo deceduto, resiste alle domande con regolare controricorso, proponendo altresì ricorso incidentale.

Le parti hanno infine depositato una memoria, ai sensi dell’art. 378 c.p.c..

Motivi della decisione

1 – Col primo motivo del ricorso principale la società deduce la violazione della L. n. 604 del 1966, art. 10 e L. n. 300 del 1970, art. 18 e il vizio di motivazione della sentenza impugnata laddove la Corte territoriale aveva applicato la cd. tutela reale, di cui alla seconda delle norme di legge indicate, al licenziamento di un dirigente, che la L. n. 604 del 1966, art. 10 esclude dall’ambito di applicazione della disciplina legale limitativa del potere di licenziamento.

In proposito, la ricorrente sostiene infatti che la Corte aveva erroneamente identificato la nozione di pseudo dirigente, che in realtà non svolge di fatto mansioni dirigenziali e al quale è applicabile la tutela di cui all’art. 18 S.L., con la figura del dirigente non apicale, ma medio o minore, che svolge mansioni dirigenziali di portata meno elevata, il quale viceversa è pur sempre riconducibile alla categoria di dirigente, ai fini, in particolare, della tutela applicabile in materia di licenziamento.

2 – Col secondo motivo, la difesa della società ricorrente censura la sentenza quanto alla ritenuta violazione della L. n. 300 del 1970, art. 7, per ciò che riguarda il motivo di appello relativo alla violazione della regola della immediatezza della contestazione che aveva poi dato luogo al licenziamento del P..

3 – Col terzo motivo, viene infine dedotta la violazione dell’art. 2119 c.c. e art. 25 del C.C.N.L. ENAV Dirigenti, per avere la Corte territoriale adottato una erronea nozione di giusta causa di licenziamento di un dirigente, nell’escluderne la sussistenza nel caso esaminato.

4 – Col ricorso incidentale, V.A., nella duplice qualità, deduce il vizio di motivazione della sentenza, quanto al rigetto delle ulteriori domande (diverse dall’indennità sostitutiva del preavviso e dell’indennità supplementare, richieste in via subordinata nel giudizio di merito, per l’ipotesi in cui i giudici avessero ritenuto applicabile al caso in esame la disciplina relativa ai licenziamenti dei dirigenti e come tali ritenute assorbite dalla Corte), relative:

a) in caso di mancata reintegrazione, al pagamento delle somme che il P. avrebbe percepito in costanza di rapporto di lavoro fino al raggiungimento dell’età pensionabile se non fosse stato licenziato (Euro 19.500,00 per incremento dovuto alla svalutazione media del 2,50% per dieci anni residui fino all’età pensionabile; Euro 211.499,81 per premio di produzione fisso nella misura del 20% della retribuzione fissa annua lorda per i suddetti anni residui; Euro 38.734,00 per benefit non goduto per due anni con possibilità di riscatto a valore dell’usato; Euro 13.430,00 per ferie non godute per due mensilità);

b) in ogni caso, di risarcimento del danno biologico subito per effetto dell’illegittimo licenziamento.

5 – Conviene premettere, all’esame dei tre motivi del ricorso principale, il tema, da essi coinvolto, della definizione della categoria dei dirigenti ai fini della individuazione della tutela applicabile al relativo licenziamento.

In materia, questa Corte ha recentemente riassunto, con la sentenza 17 gennaio 2011 n. 897, il proprio orientamento interpretativo, che, nel corso della relativa complessa evoluzione, aveva altresì incrociato quello della applicabilità ai dirigenti delle garanzie procedimentali di cui ai primi tre commi della L. n. 300 del 1970, art. 7 e il cui recente approdo è rappresentato dalla sentenza 30 marzo 2007, n. 7880 delle sezioni unite civili.

In quest’ultimo arresto, la Corte, affermando che gli obblighi della preventiva contestazione e della attribuzione di un termine a difesa, previsti di cui alla L. n. 300 del 1970, art. 7, sono applicabili anche al rapporto di lavoro dei dirigenti, affronta altresì il tema della definizione della categoria, superando la risalente tradizionale delimitazione della stessa (fatta propria, nel passato, anche da Cass. sez. un. n. 6041 del 1995) alla figura del cd. alter ego dell’imprenditore, vale a dire del dipendente preposto alla direzione dell’intera azienda o di una parte rilevante e autonoma di essa e investito di attribuzioni che per la loro ampiezza e per i poteri di iniziativa e di discrezionalità che comportano, gli consentono di imprimere un indirizzo rilevante e un orientamento al governo complessivo dell’azienda, con corrispondente assunzione di responsabilità di alto livello.

Valorizzando il ruolo centrale della contrattazione collettiva, anche ai sensi dell’art. 2095 c.c., e art. 2071 c.c., comma 2 (su cui già in precedenza cfr., ad es., Cass. 26 aprile 2005 n. 8650) e quindi nel delineare il contenuto di qualifiche e mansioni in rapporto all’evoluzione degli assetti produttivi e tenendo conto della eventuale complessità organizzativa di aziende di medie e grandi dimensioni, le sezioni unite di questa Corte hanno ritenuto non sempre adeguata la formula dell’alter ego per definire la categoria dei dirigenti, aprendo ad una integrazione della figura, di cui sono pertanto ipotizzabili anche livelli differenziati e gerarchicamente ordinati all’interno della medesima impresa, soprattutto se di notevoli dimensioni (i cd. dirigenti medi e minori, accanto ai top dirigenti), ai quali tutti è applicabile la relativa disciplina legale e contrattuale collettiva.

E’ stato peraltro precisato che "il necessario accrescimento della categoria scrutinata non può però spingersi sino al punto di includere in essa c.d. pseudo dirigenti, cioè quei lavoratori che, seppure hanno di fatto il nome ed il trattamento dei dirigenti, per non rivestire nell’organizzazione aziendale un ruolo di incisività e rilevanza analogo a quello dei cd. dirigenti convenzionali (apicali, medi o minori, non sono classificabili come tali dalla contrattazione collettiva…)".

Quanto, infine alle conseguenze della violazione della disciplina legale in materia di licenziamento disciplinare, mentre allo pseudo- dirigente, come a tutte la categorie di personale diverse dal dirigente, compete la tutela reintegratoria e/o risarcitoria – di cui alla L. n. 300 del 1970, art. 18, come modificato dalla L. n. 108 del 1990, art. 1 o alla L. n. 604 del 1966, art. 8, come modificato dalla L. n. 109 del 1990, art. 2 -, al dirigente di ogni livello è applicabile la tutela prevista dal C.C.N.L. applicato (e comunque, in caso di licenziamento per giusta causa, l’art. 2118 c.c., comma 2).

Infine, si ricorda che, secondo Cass. 16 maggio 2008, n. 12403, qualora la contrattazione collettiva di settore non contenga una specifica disciplina, la fattispecie dovrà essere valutata con i criteri di cui all’art. 2099 c.c., comma 2.

Il principio di diritto enunciato a conclusione della motivazione riassunta della sentenza delle sezioni unite del 2007 è il seguente:

"le garanzie procedimentali dettate dalla L. n. 300 del 1970, art. 7, commi 2 e 3, devono trovare applicazione nell’ipotesi di licenziamento di un dirigente – a prescindere dalla specifica collocazione che lo stesso assume nell’impresa – sia se il datore di lavoro addebiti al dirigente stesso un comportamento negligente (o in senso lato colpevole) sia se a base del detto recesso ponga, comunque, condotte suscettibili di farne venir meno la fiducia.

Dalla violazione di dette garanzie, che si traduce in una non valutabilità delle condotte causative del recesso, scaturisce l’applicazione delle conseguenze fissate dalla contrattazione collettiva di categoria per il licenziamento privo di giustificazione, non potendosi per motivi, oltre che giuridici, logico-sistematici assegnare all’inosservanza delle garanzie procedimentali effetti differenti da quelli che la stessa contrattazione fa scaturire dall’accertamento della sussistenza dell’illecito disciplinare o di fatti in altro modo giustificativi del recesso". 6 – Ciò premesso con riguardo al quadro normativo di riferimento, va subito rilevata l’infondatezza, o meglio, l’irrilevanza, della censura relativa alla ritenuta violazione della procedura disciplinare, in quanto investe solo una delle violazioni in proposito accertate dalla Corte territoriale.

Questa infatti, accogliendo parzialmente i motivi di appello, ha accertato la violazione dell’art. 7 S.L. non solo per la genericità degli addebiti formulati nella lettera di contestazione disciplinare, sulla cui base era stato intimato il licenziamento (sul tema della necessaria specificità della contestazione cfr., ad es., Cass. 30 giugno 2005 n. 13998), ma anche per la circostanza, di autonomo rilievo sul piano considerato, della tardività della stessa (sulla cui rilevanza, cfr., per tutte, Cass. 1 luglio 2010 n. 15649).

Come rilevato anche dalla difesa della parte resistente, il ricorso si limita viceversa a censurare, col secondo motivo, la ritenuta tardività della contestazione disciplinare, rendendo così definitivo il giudizio relativo alla sua genericità, correttamente da ritenere autonomamente violativa dell’art. 7 S.L., in quanto lesiva del diritto di difesa dell’incolpato.

La conseguente irrilevanza del secondo motivo di ricorso assorbe altresì la necessità di esame del terzo, in ragione del principio secondo cui le violazioni dell’art. 7 S.L., come quelle inerenti la necessaria giustificatezza in senso lato del licenziamento, comportano, secondo la giurisprudenza delle sezioni unite della Corte, le medesime conseguenze "sanzionatorie".

Conseguenze che costituiscono l’oggetto del primo motivo del ricorso principale, il quale appare viceversa fondato.

Nel definire la nozione di dirigente ai fini della tutela applicabile in materia di licenziamento, anche quanto alle conseguenze della violazione dell’art. 7 S.L. o della sua ritenuta ingiustificatezza, la Corte d’appello, pur richiamando l’arresto delle sezioni unite di questa Corte del 2007, insiste nella vecchia contrapposizione tra dirigente – alter ego dell’imprenditore o top manager da una parte e dirigente medio o minore o pseudo-dirigente, tutti qualificati sostanzialmente come impiegati direttivi, dall’altra.

Riprova di ciò si ha dall’analisi della posizione del P., condotta dalla Corte territoriale, alla luce della disciplina applicabile, sulla base della sua collocazione nella gerarchia aziendale, dei poteri, anche di spesa, attribuitigli, dello stipendio percepito e conclusasi con l’accertamento dell’appartenenza del " P. alla cd. media dirigenza".

Coerentemente con tale accertamento, la Corte avrebbe pertanto dovuto applicare al P. la tutela predisposta dalla contrattazione collettiva – da lui invocata in via subordinata sin dal ricorso introduttivo -, vale a dire la condanna della società a erogargli l’indennità sostitutiva del preavviso oltre e quella stabilita dal contratto collettivo applicabile, per il caso di licenziamento ingiustificato.

La diversa pronuncia, applicativa della tutela di cui all’art. 18 S.L. in base all’errore di ritenere la "media dirigenza" estranea alla nozione legale della categoria di dirigente, va pertanto cassata, in accoglimento del primo motivo del ricorso principale.

7- Il ricorso incidentale è infondato.

Con esso, la resistente chiede la condanna della società a pagarle (evidentemente a titolo di risarcimento danni) le somme che il P. avrebbe percepito in costanza di rapporto ove non fosse stato licenziato nonchè a risarcirle il danno biologico subito dal proprio dante causa in conseguenza del licenziamento.

In proposito, a parte le considerazioni svolte nella sentenza relativamente alla genericità e alla scarsa sostenibilità in sè dei relativi motivi di appello (non adeguatamente contrastate in questa sede), va comunque rilevato in via di principio che, in regime di libertà di recesso, limitata unicamente dall’obbligo di preavviso o relativa indennità e dalla disciplina contrattuale citata comportante, in caso di inosservanza, la sola indennità ivi prevista, non residua spazio per ulteriori danni, se non per effetto di comportamenti ulteriori, associati al licenziamento o inerenti al modo in cui questo è stato manifestato (cfr., al riguardo, da ultimo, Cass. 15 ottobre 2010 n. 21279), comportamenti che non risultano in alcun modo evidenziati dalla ricorrente incidentale.

Da qui l’irrilevanza delle deduzioni di vizio di motivazione formulate dalla ricorrente incidentale.

8 – Concludendo, va accolto il primo motivo del ricorso principale e rigettati gli altri nonchè il ricorso incidentale; la sentenza impugnata va conseguentemente cassata, con rinvio ad altro giudice, che provvederà a quantificare le indennità dovute al dirigente, ai sensi dell’art. 2118 c.c. e del contratto collettivo applicato, per la violazione dell’art. 7 S.L., regolando infine anche le spese di questo giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La Corte accoglie il primo motivo del ricorso principale, che rigetta nel resto;

rigetta il ricorso incidentale;

cassa conseguentemente la sentenza impugnata e rinvia, anche per il regolamento delle spese di questo giudizio di cassazione, alla Corte d’appello di Roma in diversa composizione.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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