Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 06-04-2012, n. 5582 Diritti e doveri del lavoratore Licenziamento

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza del 5 aprile 2006 il Tribunale di Crotone, in parziale accoglimento delle domande di C.G., Ca.La.

L., P.F. e S.R., impiegati addetti ai sevizi di back office in favore della Banca Popolare di Crotone, ha dichiarato l’esistenza del rapporto di lavoro subordinato fra i predetti ricorrenti e la IRIT s.p.a., condannando quest’ultima al pagamento delle relative differenze retributive; ha rigettato le residue domande volte ad ottenere l’accertamento dell’illegittima interposizione della IRIT s.p.a. nel rapporto di lavoro instaurato sostanzialmente con la Banca popolare di Crotone e successivamente con la Proinform s.p.a. società succeduta nel contratto di appalto ed a cui erano stati trasferiti tutti i dipendenti ad esclusione dei ricorrenti che non avevano che non avevano voluto aderire ad un accordo sul punto, la condanna della Banca al pagamento delle differenze retributive, e la declaratoria della nullità o inefficacia del licenziamento collettivo intimato con missive del 21 dicembre 1998, con le conseguenze ripristinatone e risarcitorie di cui alla L. n. 300 del 1970, art. 18. Con sentenza del 21 gennaio 2010 la Corte d’Appello di Catanzaro, in parziale riforma di detta sentenza, ha dichiarato l’inefficacia del licenziamento collettivo intimato ai ricorrenti ordinando alla IRIT s.p.a. di reintegrarli nel posto di lavoro precedentemente occupato, e condannando la stessa società al risarcimento dei danni in favore dei medesimi lavoratori corrispondenti alle retribuzioni di fatto dalla data del licenziamento fino all’effettiva reintegra, ed ha confermato, nel resto, la sentenza impugnata. La Corte d’Appello ha motivata tale pronuncia disattendendo le censure relativamente alla sussistenza dell’interposizione illecita di manodopera, considerando, in particolare, sulla base dell’istruttoria svolta nel giudizio di primo grado, che l’apporto del committente, consistente nella cessione in comodato di parte delle attrezzature utilizzate, in relazione al contratto di appalto del 1989, e dei locali ove si svolgeva il servizio appaltato in relazione al contratto del 1996, si configura come accessorio rispetto al servizio appaltato e al valore dell’appalto, e per ciò stesso ininfluente sul rischio imprenditoriale dell’appaltatore e sulla relativa consistenza organizzativa. Riguardo alle riconosciute differenze retributive la Corte territoriale ha considerato che il riferimento alla L. n. 1369 del 1960, art. 3 implichi una qualificazione giuridica della domanda diversa rispetto a quella riferita all’art. 36 Cost., con la conseguente disapplicazione del trattamento retributivo previsto dalla contrattazione collettiva del settore bancario applicato dall’appaltante ed i cui istituti non possono rientrare tutti nel concetto costituzionale di retribuzione. La Corte d’Appello di Catanzaro ha poi ritenuto che i licenziamenti per cui è causa sono stati intimati in violazione delle norme procedurali di cui alla L. n. 223 del 1991, in quanto la comunicazione di apertura della procedura non presenta un contenuto conforme alle prescrizioni di cui all’art. 4, comma 3 di detta legge, secondo cui devono essere indicati, non solo i motivi che determinano la situazione di eccedenza, ma anche i motivi tecnici, organizzativi e produttivi per i quali si ritiene di non poter adottare misure idonee a porre rimedio a detta situazione ed evitare la dichiarazione di mobilità, il numero, la collocazione aziendale ed i profili professionali non solo del personale eccedente, ma anche del personale abitualmente impiegato, i tempi di attuazione del programma di mobilità, e le eventuali misure programmate per fronteggiare le conseguenze, sul piano sociale, dell’attuazione del medesimo programma. La stessa Corte d’Appello ha considerato, in particolare, che la circostanza per cui successivamente è stato redatto un verbale di accordo sindacale, non assume rilievo ai fini della valutazione della completezza della comunicazione preventiva. Inoltre la Corte di Catanzaro ha considerato che la mancata prova che l’esito della procedura sia stato comunicato ritualmente ai sensi dell’art. 4, comma 9, comporta un ulteriore profilo di inefficacia dei licenziamenti. In ordine alla decorrenza dei rapporti di lavoro, la Corte d’appello ha considerato che le prove testimoniali hanno confermato quelle stabilite dal Tribunale nel giudizio di primo grado, mentre, con riferimento ai contratti di formazione, l’espletata istruttoria di cui la sentenza di primo grado da conto, ha dimostrato che i lavoratori in questione, pur assunti con contratti di formazione e lavoro, non hanno avuto una formazione in senso proprio, ma un mero addestramento pratico e per un periodo limitato, senza alcun insegnamento teorico.

Avverso tale sentenza la IRIT s.p.a. propone ricorso per cassazione articolato su otto motivi.

Resistono con controricorso i lavoratori originari ricorrenti che svolgono ricorso incidentale articolato su cinque motivi.

La IRIT s.p.a. e la Banca Popolare del Mezzogiorno s.p.a. resistono con controricorsi al ricorso incidentale dei lavoratori. La Proinform s.r.l. è rimasta intimata.

Motivi della decisione

I ricorsi vanno riuniti essendo stati proposti avverso la medesima sentenza.

Con il primo motivo si lamenta violazione dell’art. 112 cod. proc. civ. eccependosi il difetto di legittimazione attiva degli originari ricorrenti a proporre la domanda di illegittimità del licenziamento in quanto l’accordo sindacale era stato sottoscritto da C. G. quale rappresentante sindacale dei lavoratori i quali avevano comunque espressamente accettato il licenziamento con l’accordo sottoscritto individualmente in data 18 dicembre 1998.

Con secondo motivo si lamenta la violazione dell’art. 112 cod. proc. civ. in combinato disposto con la L. n. 223 del 1991, art. 4, comma 3 eccependosi il difetto di legittimazione attiva dei lavoratori sotto l’ulteriore profilo secondo cui solo le organizzazioni sindacali sarebbero legittimate ad impugnare le procedure di mobilità.

Con terzo motivo si lamenta ancora il difetto di legittimazione attiva dei lavoratori con riferimento alla L. n. 223 del 1991, art. 4, comma 3 in combinato disposto con l’art. 100 cod. proc. civ., rilevandosi un contrasto giurisprudenziale anche in seno alla Corte di Cassazione, riguardo all’interesse dei singoli lavoratori ad impugnare le procedure di mobilità, considerando che le procedure stesse hanno quali destinatari le organizzazioni sindacali.

Con il quarto motivo si lamenta l’errata decisione sull’illegittimità della procedura di mobilità per carenza di informative. In particolare si deduce che erroneamente la Corte d’Appello non avrebbe dato rilievo all’accordo sindacale ai fini della valutazione della completezza della comunicazione preventiva.

Con il quinto motivo si deduce la mancata motivazione sull’errata pronuncia di illegittimità della procedura di mobilità per carenza di informative, ai sensi della L. n. 223 del 1991, art. 4, comma 3 in combinato disposto con l’art. 112 cod. proc. civ. In particolare si assume che la Corte d’Appello si sarebbe limitata a riportare massime giurisprudenziali e non avrebbe considerato che la procedura di mobilità in questione riguardava una sola filiale.

Con il sesto motivo si deduce la mancata motivazione sull’errata pronuncia di illegittimità della procedura di mobilità per carenza di informative ai sensi della L. n. 223 del 1991, art. 4, comma 3 sotto il diverso profilo del mancato riconoscimento che i motivi tecnici organizzativi di cui si lamenta la mancata indicazione nella comunicazione di cui all’art. 4 citato, sarebbero stati comunque riconosciuti dalle parti sociali con l’accordo sindacale stipulato il 17 dicembre 1998.

Con il settimo motivo si censura la dichiarata violazione della L. n. 223 del 1991, art. 4, comma 9 in combinato disposto con l’art. 5 della medesima legge; in particolare si deduce che erroneamente sarebbe stato affermato che la procedura di chiusura della procedura di mobilità non era stata inviata a tutte le organizzazioni sindacali interessate, in quanto, invece, la procedura riguardava la sola filiale di (OMISSIS).

Con ottavo motivo, articolato, a sua volta, in quattro punti, si lamenta il difetto di motivazione in relazione alla decorrenza dei rapporti di lavoro in questione, alla sussistenza dell’effettiva formazione dei lavoratori, al riconoscimento del trattamento retributivo spettante, ai conteggi applicati, non essendo stata data corretta lettura delle deposizioni testimoniali assunte, e delle categorie del personale previste dal contratto collettivo di categoria.

Con il primo motivo del ricorso incidentale, riguardante C. G., si lamenta violazione o falsa applicazione degli artt. 112 e 115 cod. proc. civ., dell’art. 1362 c.c. e segg. e della L. n. 1369 del 1960, art. 1 e omessa o insufficiente motivazione su fatti controversi e decisivi. In particolare si assume che sarebbe stata immotivatamente esclusa l’esistenza dell’interposizione di manodopera.

Con il secondo motivo riguardante ancora C.G., si lamenta violazione o falsa applicazione degli artt. 112 e 115 cod. proc. civ., dell’art. 1362 c.c., e segg., degli artt. 2105, 2728 e 2729 cod. civ. e della L. n. 1369 del 1960, art. 1 e omessa o insufficiente motivazione su fatti controversi e decisivi per il giudizio. In particolare si assume che sarebbe stata erroneamente affermato che l’assunzione del rischio d’impresa da parte della IRIT è confermata dalla previsione dei contratti di appalto dell’obbligo di specializzazione del personale addetto alle lavorazioni, di conservazione dei documenti, di riservatezza, di copertura assicurativa, elementi che non sarebbero rilevanti ai fini della presunzione indicata dalla L. n. 1360 del 1962, art. 1, comma 3.

Con il terzo motivo, riguardante ancora il solo C.G., si lamenta violazione o falsa applicazione degli artt. 112, 115 c.p.c. e dell’art. 132 c.p.c., n. 4, dell’art. 1346 c.c. e segg., dell’art. 1362 c.c. e segg., degli artt. 2082, 2086 e 2099 cod. civ. e della L. n. 1369 del 1960, art. 1 e omessa o insufficiente motivazione su fatti controversi e decisivi. In particolare si lamenta che la Corte territoriale avrebbe fondato la sua decisione relativamente all’utilizzo del C. nell’attività oggetto dell’appalto, dalle mansioni da questi svolte al di fuori del contratto d’appalto stesso ma che avrebbero avuto stretta inerenza con l’oggetto dell’appalto, e dai poteri esercitati dalla Banca nei confronti dello stesso lavoratore che non sarebbero stati espressione del potere di etero determinazione, senza indicare da quali elementi abbia tratto il proprio convincimento, e senza considerare le prove testimoniali dalle quali sarebbe emerso che le mansioni svolte sarebbero strettamente inerenti all’attività della banca, e non rientranti fra quelle appaltate.

Con il quarto motivo si lamenta violazione e falsa applicazione di norma di legge con riferimento all’art. 112 cod. proc. civ. con riferimento all’illegittima esclusione dal compenso riconosciuto, del lavoro straordinario prestato e dalla sua inclusione nel TFR. Con il quinto motivo si lamenta violazione e falsa applicazione di norma di legge con riferimento all’art. 112 cod. proc. civ. con riferimento all’illegittima considerazione delle somme riconosciute al lordo delle trattenute previdenziali, come indicato nella motivazione della sentenza, e non anche di quelle fiscali. I primi tre motivi del ricorso principale possono essere esaminati congiuntamente, riguardando tutti la legittimazione a proporre domanda di nullità del licenziamento collettivo. A tale riguardo va considerato che risulta superato dalla giurisprudenza di questa Corte l’indirizzo secondo il quale, poichè il lavoratore non è destinatario della comunicazione di avvio della procedura e non è abilitato a partecipare all’esame della situazione di crisi e a proporre soluzioni della stessa, non può far poi valere in giudizio, a propria tutela, in ogni caso, l’inadeguatezza della comunicazione dovendo, invece, a tal fine provare non solo l’incompletezza o insufficienza delle informazioni rese con la comunicazione, ma anche la rilevanza di esse, ossia la loro idoneità, in concreto, a fuorviare o eludere l’esercizio dei poteri di controllo preventivo attribuiti all’organizzazione sindacale (Cass. 4228/00). Questa Corte, infatti, con sentenza n. 13196/03 ribadita con sentenza n. 5034/2009, pienamente condivise dal Collegio, ha affermato che il lavoratore è legittimato a far valere la incompletezza della informazione perchè la comunicazione rituale, completa della mancanza di alternative ai licenziamenti, rappresenta, nell’ambito della procedura, una cadenza legale che se mancante è ontologicamente impeditiva di una proficua partecipazione alla cogestione della crisi da parte del sindacato. Nel caso in esame, quindi, non è possibile limitare il potere di impugnazione della procedura di licenziamento collettivo per difetto delle comunicazioni, al sindacato o al rappresentante sindacale dei lavoratori che ha materialmente partecipato alle trattative in materia.

Il quarto ed il sesto motivo del medesimo ricorso principale possono pure essere trattati congiuntamente riguardando entrambi l’asserita sanatoria dell’eventuale difetto di comunicazione e vizio della procedura, ai sensi della L. n. 223 del 1991, art. 4, commi 3 e 9 per effetto del successivo accordo sindacale che avrebbe operato sostanzialmente il controllo sulla correttezza della procedura voluto dalla norma in questione.

Deve innanzi tutto ribadirsi – come questa Corte (Cass., sez. lav., 5 giugno 2003, n. 9015) ha già affermato – che la sufficienza ed adeguatezza della comunicazione di avvio della procedura vanno valutate in primis in relazione alla finalità di corretta informazione delle organizzazioni sindacali. Il fatto che questo fine in concreto sia stato raggiunto – nella specie, per essere stato stipulato tra le parti l’accordo del 17 ottobre 2001 – può essere certamente rilevante per valutare la "completezza" della previa comunicazione di cui all’art. 4, comma 3. Non si tratta di "sanatoria" dei vizi della procedura, bensì di rilevanza del successivo accordo al fine di apprezzare l’adeguatezza della precedente comunicazione di avvio della procedura e di evitare una valutazione astratta e sbilanciata della sufficienza del contenuto della stessa. Se la parte sindacale è stata in grado di negoziare l’accordo in questione, è perchè ha avuto la comunicazione di avvio del procedimento di cui all’art. 4 cit; è lo stesso accordo raggiunto che getta luce – retrospettivamente – sul contenuto, e quindi sulla sufficienza, della iniziale comunicazione di avvio della procedura. Ciò non toglie però che, pur a fronte di tale raggiunta intesa tra le parti, il Giudice dell’impugnazione del licenziamento collettivo o del collocamento in mobilità debba comunque verificare – con valutazione di merito a lui devoluta – l’adeguatezza dell’originaria comunicazione di avvio della procedura, non potendo escludersi che questa possa risultare non di meno insufficiente ove il sindacato in realtà non sia stato posto in condizione di partecipare alla trattativa con piena consapevolezza di ogni rilevante dato fattuale per l’obiettiva insufficienza o reticenza di tale iniziale comunicazione e che quindi la trattativa sindacale, pur sfociata nell’accordo, abbia sofferto di un originario "deficit" informativo che ridonderebbe anche in lesione di quell’esigenza di oggettiva trasparenza del processo decisionale del datore di lavoro;

esigenza che – come si rilevava – è sottesa alla prescrizione del secondo e dell’art. 4 cit., comma 3, parimenti a quella di rendere il sindacato edotto di determinati dati di fatto. In altre parole un’iniziale comunicazione di avvio della procedura, che sia in ipotesi assolutamente generica e vuota di contenuto, non è, per così dire, "sanata" ex se dal successivo accordo sindacale perchè risulterebbe del tutto frustrata l’esigenza di trasparenza del processo decisionale datoriale alla quale sono interessati i lavoratori potenzialmente destinati ad essere estromessi dall’azienda; ma il raggiungimento dell’accordo sindacale all’esito del confronto prescritto dall’art. 4 cit., illumina la comunicazione iniziale e consente di norma una valutazione sostanziale della sua sufficienza ed adeguatezza, disancorata da un rigido ed astratto formalismo secondo un apprezzamento che è pur sempre riservato al Giudice di merito.

Questa Corte (Cass. 13 novembre 2000 n. 14679) ha infatti già affermato che le eventuali insufficienze della comunicazione di avvio della procedura di mobilità non perdono rilievo per il solo fatto che sia stato poi stipulato un accordo di mobilità, giacchè gli adempimenti imposti dal citato art. 4, sono intesi a garantire la trasparenza delle scelte aziendali e l’effettività del ruolo svolto dal sindacato attraverso una corretta e completa informazione preventiva (conf. Cass. 5 aprile 2000 n. 4228); cfr. anche Cass. 18 luglio 2001 n. 9743 che ha ribadito che l’inefficacia del licenziamento – che ricorre in caso di omissione della comunicazione per iscritto, alle rappresentanze sindacali aziendali e alle associazioni di categoria nonchè all’Ufficio provinciale del lavoro, contenente l’indicazione dei motivi dell’eccedenza e di tutti gli altri elementi prescritti dall’art. 4, comma 3, della citata legge – non è "sanata" dall’accordo sindacale comprensivo dell’individuazione dei lavoratori da licenziare (in tal senso anche Cass. 11 luglio 2007 n. 15479). Nel caso in esame la Corte territoriale ha di conseguenza esattamente escluso l’effetto sanante del successivo accordo sindacale intervenuto riguardo al licenziamento collettivo in questione. Anche il quinto motivo con il quale si contesta sostanzialmente la genericità della motivazione della sentenza impugnata che non avrebbe considerato la specificità della procedura di mobilità in questione che riguardava una particolare filiale dell’istituto bancario, è privo di fondamento in quanto la motivazione contestata, non solo fa espresso riferimento alla filiale di (OMISSIS) particolarmente interessata alla procedura riproducendo anche il testo della comunicazione fatta nell’ambito della procedura, ma ne ha puntualmente rilevato la sua carenza e non conformità alle prescrizioni di cui alla L. n. 223 citata, art. 4, comma 3.

Il settimo motivo è parimente infondato in quanto non può sostenersi che l’omesso invio della comunicazione a tutte le organizzazioni sindacali interessate alla procedura sarebbe ininfluente e costituirebbe una mera irregolarità formale in quanto la procedura stessa avrebbe interessato una sola particolare filiale della Banca, in quanto, la stessa possibilità di reimpiego dei lavoratori, e la scelta dei lavoratori da licenziare, ovviamente interessa l’intero istituto per cui l’omessa comunicazione a tutte le organizzazione sindacali costituisce una violazione sostanziale della procedura di mobilità da cui consegue la sua illegittimità come esattamente affermato dalla Corte territoriale richiamando anche la giurisprudenza di questa Corte che ha ricordato i motivi per cui la completezza e contestualità delle comunicazioni di cui alla L. n. 223 del 1991, art. 4, comma 9 deve essere intesa in termini di rigorosa sostanziale contemporaneità.

L’ottavo motivo è infondato in quanto viene censurato un presunto difetto di motivazione riguardo a varie circostanze di fatto quali la decorrenza dei rapporti di lavoro, l’inesistenza di formazione nei rapporti regolati da contratti di formazione e lavoro, l’erroneità dei conteggi. Trattasi di circostanze di fatto sulle quali la Corte territoriale si è pronunciata sulla base dell’espletata istruttoria richiamata in modo sommario ma logico, compiuto e sufficiente, per cui la motivazione contestata sfugge ogni censura di legittimità.

Riguardo al ricorso incidentale va premesso che il collegio condivide appieno l’osservazione contenuta nella memoria del controricorso avverso il ricorso incidentale, con la quale si censura il sistema adottato dal contro ricorrente che, all’evidente fine di evitare il rischio di incorrere in un vizio di mancata autosufficienza del ricorso, ha riportato integralmente gli atti della fase di merito trascrivendo numerosi documenti ed i verbali di causa. E’ evidente che la ratio dell’autosufficienza del ricorso è proprio quella di consentire al giudice della legittimità di conoscere del ricorso senza la necessità di ripercorrere il giudizio del merito cercando ed esaminando tutta la relativa documentazione, per cui riportare pressochè integralmente gran parte della documentazione nel corpo del ricorso costringe la Corte a quell’opera di cernita e di valutazione dei fatti documentati che trasformerebbe il sindacato di legittimità in giudizio di merito.

Il ricorso incidentale è comunque infondato. I primi tre motivi possono essere trattati congiuntamente riguardando tutti l’esclusione della configurabilità dell’interposizione di mano d’opera. Tale configurabilità è stata esclusa dalla Corte di merito con motivazione compiuta e logica che sfugge ad ogni censura di legittimità. In particolare la stessa Corte, richiamando sinteticamente le risultanze istruttorie raccolte nel giudizio di primo grado ha preso in esame gli aspetti di fatto considerati dal ricorrente incidentale e relativi all’apporto dell’appaltante ed il relativo rischio di impresa, pervenendo ad un giudizio di esclusione della dedotta interposizione confermando l’analogo giudizio espresso dalla sentenza di primo grado. Tale giudizio, riservato al giudice del merito, non è censurabile in questa sede, ove sorretto da una motivazione logica che faccia espresso riferimento, come nel caso in esame, alle risultanze istruttorie non rivisitabili in questa sede di legittimità.

Il quarto motivo è infondato. L’art. 36 Cost. regola l’assetto complessivo della retribuzione, e non si può ritenere – in linea di principio – che la negazione di una singola componente della retribuzione comporti (nella specie ai fini del calcolo per il T.F.R.), possibilità prevista nell’art. 2120 c.c., comporti violazione del precetto costituzionale sull’adeguatezza della retribuzione e del principio di equità. La Corte territoriale ha fatto corretta applicazione di tale principio motivando correttamente la determinazione del trattamento retributivo considerato.

Anche il quinto motivo è infondato. Infatti in tema di processo del lavoro, il dispositivo letto in udienza e depositato in cancelleria ha una rilevanza autonoma poichè racchiude gli elementi del comando giudiziale che non possono essere mutati in sede di redazione della motivazione; esso non è suscettibile di interpretazione per mezzo della motivazione medesima, sicchè le proposizioni contenute in quest’ultima e contrastanti col dispositivo devono considerarsi come non apposte e non sono suscettibili di passare in giudicato od arrecare un pregiudizio giuridicamente apprezzabile (da ultimo Cass. 26 ottobre 2010 n. 21885). Pertanto, nel caso in esame, in osservanza del corretto dispositivo della sentenza di merito, non può sorgere dubbio che le trattenute di legge a cui si riferisce la sentenza stessa, non possono riferirsi soltanto a quelle previdenziali ma a tutte le trattenute in dipendenza del rapporto di lavoro. La reciproca soccombenza indice alla compensazione fra le parti delle spese di questo giudizio.

P.Q.M.

La Corte di Cassazione riunisce i ricorsi e li rigetta; Compensa interamente fra le parti le spese del presente giudizio.

Così deciso in Roma, il 29 febbraio 2012.

Depositato in Cancelleria il 6 aprile 2012

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