Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 06-04-2012, n. 5580 Contratto a termine

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza del 20/11/06 – 9/1/07 la Corte d’appello di Torino – sezione lavoro rigettò l’impugnazione proposta dalla s.p.a Poste Italiane avverso la sentenza n. 1512/2005 del giudice del lavoro del Tribunale di Asti, con la quale era stata dichiarata la nullità del termine apposto al primo contratto stipulato con P.S. in relazione al periodo 1/3/2000 – 30/6/2000 sulla base delle esigenze eccezionali conseguenti alla fase di ristrutturazione societaria di cui all’art. 8 del CCNL di settore de 26/11/94, con trasformazione dello stesso in rapporto di lavoro a tempo indeterminato; nel contempo, la stessa Corte accolse l’appello incidentale della lavoratrice, col quale era stata contestata la disposta compensazione delle spese, e condannò la società Poste Italiane s.p.a a rimborsare a P.S. le spese del primo grado e a corrisponderle quelle del giudizio d’appello.

Nel respingere l’appello principale, la Corte territoriale accertò, in particolare, che dagli atti non emergeva alcun dato in ordine alla connessione tra la posizione della lavoratrice e le eventuali esigenze eccezionali conseguenti alla fase di ristrutturazione della società che avevano giustificato il ricorso alla tipologia del contratto a termine e che il risarcimento del danno non poteva che decorrere dall’offerta della prestazione lavorativa, da ritenere coincidente con la richiesta del tentativo obbligatorio di conciliazione.

Per la cassazione della sentenza propone ricorso la s.p.a Poste Italiane che affida l’impugnazione a due motivi di censura.

Resiste con controricorso P.S. la quale propone, a sua volta, ricorso incidentale condizionato affidato ad un solo motivo al cui accoglimento si oppone la società Poste Italiane s.p.a. Entrambe le parti depositano memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c..

Motivi della decisione

Preliminarmente va disposta la riunione dei ricorsi ai sensi dell’art. 335 c.p.c..

1. Col primo motivo sono denunziati i seguenti vizi dell’impugnata sentenza: violazione e falsa applicazione della L. 28 febbraio 1987, n. 56, art. 23 (art. 360 c.p.c., n. 3); violazione e falsa applicazione dell’art. 1362 c.c. e segg. in relazione all’accordo del 25.9.1997 e successivi accordi integrativi ( art. 360 c.p.c., n. 3).

La società ricorrente in sostanza lamenta che la sentenza impugnata si fonda sull’erroneo pregiudizio secondo cui la L. n. 56 del 1987, art. 23 non consentirebbe all’autonomia collettiva di costruire fattispecie legittimanti assunzioni a termine collegate a situazioni (oggettive o soggettive) tipicamente aziendali e che non siano direttamente collegate ad occasioni precarie di lavoro. La ricorrente deduce, infatti, che l’art. 8 del ccnl del 1994, così come integrato dall’accordo 25-9-97, subordinava la sua applicazione unicamente all’esistenza di un processo di ristrutturazione e di rimodulazione degli assetti occupazionali dell’azienda, per cui l’interpretazione di tale accordo compiuta dalla Corte torinese "risulta viziata, oltre che dall’erronea lettura della L. n. 56 del 1987, art. 23 che ha condizionato, viziandola irrimediabilmente, anche la successiva esegesi della disciplina contrattuale, anche dall’autonoma e concorrente violazione delle regole ermeneutiche legali di cui all’art. 1362 c.c. e segg. (ed in particolare del criterio letterale e del comportamento delle parti posteriore alla stipulazione)". Il motivo non può essere accolto, anche se la motivazione della sentenza merita di essere in parte corretta ai sensi dell’art. 384 c.p.c., u.c., come più volte affermato da questa Corte in casi analoghi di ricorsi avverso sentenze dello stesso tenore (v. fra le altre Cass. 24-3-2009 n. 7042, Cass. 22-1-2009 n. 1626, Cass. 7-1- 2009 n. 41, Cass. 12-11-2008 n. 27030, Cass. 19-11-2008 n. 27470). In base all’indirizzo ormai consolidato in materia dettato da questa Corte (con riferimento al sistema vigente anteriormente al D.Lgs. n. 368 del 2001), sulla scia di Cass. S.U. 2-3-2006 n. 4588, è stato precisato che "l’attribuzione alla contrattazione collettiva, L. n. 56 del 1987, ex art. 23 del potere di definire nuovi casi di assunzione a termine rispetto a quelli previsti dalla L. n. 230 del 1962, discende dall’intento del legislatore di considerare l’esame congiunto delle parti sociali sulle necessità del mercato del lavoro idonea garanzia per i lavoratori ed efficace salvaguardia per i loro diritti (con l’unico limite della predeterminazione della percentuale di lavoratori da assumere a termine rispetto a quelli impiegati a tempo indeterminato) e prescinde, pertanto, dalla necessità di individuare ipotesi specifiche di collegamento fra contratti ed esigenze aziendali o di riferirsi a condizioni oggettive di lavoro o soggettive dei lavoratori ovvero di fissare contrattualmente limiti temporali all’autorizzazione data al datore di lavoro di procedere ad assunzioni a tempo determinato" (v. Cass. 4-8-2008 n. 21063,v. anche Cass. 20-4-2006 n. 9245, Cass. 7-3-2005 n. 4862, Cass. 26-7-2004 n. 14011). "Ne risulta, quindi, una sorta di delega in bianco a favore dei contratti collettivi e dei sindacati che ne sono destinatari, non essendo questi vincolati alla individuazione di ipotesi comunque omologhe a quelle previste dalla legge, ma dovendo operare sul medesimo piano della disciplina generale in materia ed inserendosi nel sistema da questa delineato." (v., fra le altre, Cass. 4-8-2008 n. 21062, Cass. 23-8-2006 n. 18378).

In tale quadro, ove però un limite temporale sia stato previsto dalle parti collettive, la sua inosservanza determina la nullità della clausola di apposizione del termine (v. fra le altre Cass. 23-8- 2006 n. 18383, Cass. 14-4-2005 n. 7745, Cass. 14-2-2004 n. 2866).

In particolare, quindi, come questa Corte ha più volte affermato, "in materia di assunzioni a termine di dipendenti postali, con l’accordo sindacale del 25 settembre 1997, integrativo dell’art. 8 del c.c.n.l. 26 novembre 1994, e con il successivo accordo attuativo, sottoscritto in data 16 gennaio 1998, le parti hanno convenuto di riconoscere la sussistenza della situazione straordinaria, relativa alla trasformazione giuridica dell’ente ed alla conseguente ristrutturazione aziendale e rimodulazione degli assetti occupazionali in corso di attuazione, fino alla data del 30 aprile 1998; ne consegue che deve escludersi la legittimità delle assunzioni a termine cadute dopo il 30 aprile 1998, per carenza del presupposto normativo derogatorio, con la ulteriore conseguenza della trasformazione degli stessi contratti a tempo indeterminato, in forza della L. 18 aprile 1962, n. 230, art. 1" (v., fra le altre, Cass. 1- 10-2007 n. 20608, Cass. 27-3-2008 n. 7979, Cass. 18378/2006 cit).

In base al detto orientamento, ormai consolidato, deve quindi ritenersi illegittimo il termine apposto al contratto in esame per il solo fatto che lo stesso è stato stipulato dopo il 30 aprile 1998 ed è pertanto privo di presupposto normativo (tale considerazione, del resto, pur richiamata nella sentenza impugnata, è stata considerata assorbita dalla Corte di Torino in ragione della ritenuta necessità della prova del collegamento concreto della assunzione de qua con la ristrutturazione in atto).

In tal senso, quindi, va rigettato il motivo.

2. Col secondo motivo è denunziata la violazione e falsa applicazione dell’art. 1372 c.c., comma 1, dell’art. 1362 c.c., comma 2, dell’art. 2697 c.c. e dell’art. 115 c.p.c. ( art. 360 c.p.c., n. 3), nonchè l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio ( art. 360 c.p.c., n. 5) e si chiede di accertare se i vizi della sentenza appena denunziati ricorrano nel fatto che si è subordinata la configurabilità della risoluzione per muto consenso tacito del rapporto di lavoro alla espressa rinunzia della lavoratrice alla riattivazione dello stesso, anche a fronte di comportamenti delle parti incompatibili con la volontà di mantenere in vita il vincolo contrattuale ed in particolare la prolungata inerzia della lavoratrice per un apprezzabile lasso di tempo dopo la scadenza del contratto, la percezione del TFR senza alcuna riserva, il reperimento di una nuova stabile occupazione, il rifiuto di riprendere servizio a seguito della condanna di riammissione, da valutarsi sia singolarmente che congiuntamente.

Va preliminarmente osservato che il motivo, così come prospettato, presenta un evidente vizio di inammissibilità nella parte in cui alla doglianza di omessa pronunzia in merito alla sollevata eccezione di risoluzione del rapporto per mutuo consenso, così come annunziata nella parte espositiva del ricorso, non segue la relativa denunzia di nullità della sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4 in relazione all’art. 112 c.p.c., atteso che la censura è, invece, circoscritta al diverso vizio della omessa motivazione circa un fatto controverso e decisivo, di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, oltre che alla violazione di norme di diritto di cui all’art. 360 c.p.c., n. 3.

Si è, infatti, affermato (Cass. sez. 3 n. 12952 del 4/6/2007) che "la decisione del giudice di secondo grado che non esamini e non decida un motivo di censura della sentenza del giudice di primo grado è impugnabile per cassazione non già per omessa o insufficiente motivazione su di un punto decisivo della controversia e neppure per motivazione "per relationem" resa in modo difforme da quello consentito bensì per omessa pronuncia su un motivo di gravame. Ne consegue, quindi, che, se il vizio è denunciato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 o n. 5 anzichè dell’art. 360 c.p.c., n. 4 in relazione all’art. 112 c.p.c., il ricorso si rivela inammissibile", (in senso conforme v. Cass. sez. 3 n. 1196 del 19/1/2007).

Nè va sottaciuto che la mancata proposizione della censura sotto la forma specifica del vizio di omessa pronunzia acquista nella fattispecie una maggiore rilevanza alla luce del fatto che nel controricorso la lavoratrice ha dedotto che l’eccezione di risoluzione del rapporto per mutuo consenso non era stata sollevata nel corso dei giudizio di primo grado da parte della difesa della società postale. In tal senso, quindi, va respinto il ricorso, non essendo stata, peraltro, avanzata alcuna altra censura, che riguardi in qualche modo le conseguenze economiche della dichiarazione di nullità della clausola appositiva del termine ed il capo relativo al risarcimento del danno.

Al riguardo, osserva il Collegio che, con la memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c. la società ricorrente, invoca, in via subordinata, l’applicazione dello ius superveniens, rappresentato dalla L. 4 novembre 2010, n. 183, art. 32, commi 5, 6 e 7 in vigore dal 24 novembre 2010.

La richiesta della società è contrastata, sotto vari profili, dalla difesa dell’intimata. Orbene, a prescindere da ogni altra considerazione, va premesso, in via di principio, che costituisce condizione necessaria per poter applicare nel giudizio di legittimità lo ius superveniens che abbia introdotto, con efficacia retroattiva, una nuova disciplina del rapporto controverso, il fatto che quest’ultima sia in qualche modo pertinente rispetto alle questioni oggetto di censura nel ricorso, in ragione della natura del controllo di legittimità, il cui perimetro è limitato dagli specifici motivi di ricorso (cfr. Cass. 8 maggio 2006 n. 10547, Cass. 27-2-2004 n. 4070). Tale condizione non sussiste nella fattispecie.

Il rigetto del ricorso principale comporta che rimane assorbito l’esame di quello incidentale, col quale è stata evidenziata l’omessa disamina della questione relativa all’efficacia temporale della causale di assunzione a termine di cui all’Accordo integrativo del 25/9/97, atteso che lo stesso è stato proposto dalla lavoratrice solo condizionatamente all’ipotesi di accoglimento del ricorso principale.

Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza della ricorrente e vanno liquidate come da dispositivo con attribuzione all’avv. Maurizio Scavone, dichiaratosi antistatario.

P.Q.M.

La Corte riunisce i ricorsi, rigetta il ricorso principale e dichiara assorbito quello incidentale. Condanna la ricorrente principale alle spese del presente giudizio nella misura di Euro 2500,00 per onorario e di Euro 40,00 Per esborsi, oltre I.V.A, C.P.A e spese generali con attribuzione all’avv. Maurizio Scavone per dichiarata anticipazione.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *