Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 06-04-2012, n. 5579 Rapporto di lavoro

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con ricorso al Tribunale di Roma, depositato il 19 febbraio 2000, l’ing. R.U., premesso di essere dipendente dal 10 settembre 1982 di Ferrovie dello Stato s.p.a., inquadrato come dirigente dal 18 aprile 1991, lamentava di essere stato, con progressione, dapprima economicamente vessato, quindi demansionato (a partire dal settembre 1997), e poi privato di fatto di ogni mansione (dal novembre 1997), finchè in data 30 dicembre 1998 era stato rimosso anche formalmente e posto in una condizione di totale inattività.

Esponeva che, quale effetto di tale condotta dell’Azienda, era stato penalizzato sotto il profilo retributivo – anche per la mancata percezione del Premio per risultati – ed aveva, inoltre, subito un danno biologico, morale, alla professionalità ed all’immagine. Il ricorrente chiedeva, quindi:

a) di condannare Ferrovie dello Stato s.p.a. a riattribuirgli mansioni analoghe a quelle svolte fino a settembre 1997, con una retribuzione adeguata alle stesse;

b) di condannare la medesima Azienda a corrispondergli la somma di Euro 141.822,93 pari a L. 274.607.489 al 31 dicembre 1999, o quella maggiore o minore ritenuta di giustizia, determinata se del caso anche in via equitativa, a titolo di differenze retributive per indennità di funzione, superminimo, elemento personale, superminimo individuale, oltre le somme dovute per i medesimi titoli fino al soddisfo;

c) di condannare la medesima Azienda a corrispondergli la somma di Euro 63.910,29 pari a L. 123.747.593 al 31 dicembre 1999, o quella maggiore o minore ritenuta di giustizia, quali differenze retributive per la mancata o ridotta corresponsione del Premio per risultati, oltre le somme dovute per i medesimi titoli fino al soddisfo;

d) di condannare la medesima Azienda al risarcimento del danno biologico, di quello morale, di quello alla professionalità, di quello all’immagine nella misura complessiva di Euro 516.457,00 pari a L. 1.000.000.000 o di quella maggiore o minore ritenuta di giustizia, da determinare se del caso anche in via equitativa. Si costituiva Trenitalia s.p.a., (già F.S. s.p.a.), chiedendo il rigetto del ricorso ed, in subordine, la declaratoria di prescrizione di tutte le somme richieste a titolo di differeze retributive o di inammissibilità delle relativa domanda e di ogni altra somma richiesta a titolo di risarcimento dei danni. Si costituiva altresì, ma tardivamente, Rete Ferroviaria Italiana S.p.A., che presentava identiche difese. Con sentenza n. 24232 in data 22 ottobre 2002, il Tribunale, ritenute non ammissibili le rispettive deduzioni istruttorie, respingeva il ricorso dell’ing. R., ritenendo, con riguardo alla lamentata forzata inattività, generici i capitoli di prova articolati e non sufficienti gli elementi documentali, e con riguardo agli elementi retributivi rivendicati, che la relativa entità era ricollegata a valutazioni discrezionali ed insindacabili del datore di lavoro, il cui comportamento illegittimo era rimasto indimostrato.

Avverso detta decisione, il R. proponeva appello in data 17 febbraio 2003, insistendo nelle avanzate pretese e deduzioni.

Rete Ferroviaria Italiana S.p.A e Trenitalia S.p.A. si costituivano, chiedendo il rigetto dell’appello.

Con sentenza depositata il 3 novembre 2009, la Corte d’appello di Roma, all’esito della disposta ctu, in parziale riforma della impugnata decisione, esclusa la legittimazione passiva di Trenitalia S.p.A., ed accertata, a partire dal settembre 1997, una progressiva diminuzione del coinvolgimento del R. nell’attività aziendale, protratta quanto meno sino al deposito del ricorso introduttivo, condannava la Rete Ferroviaria Italiana al pagamento, in favore del R., della somma di Euro 120.000,00 a titolo di risarcimento del danno biologico, oltre interessi; condannava, inoltre, Rete Ferroviaria Italiana s.p.a. al pagamento delle spese del doppio grado di giudizio, mentre compensava quelle nei confronti di Trenitalia s.p.a.

Per la cassazione di tale pronuncia ricorre R.U. con sei motivi. Resistono Rete Ferroviaria Italiana S.p.A. e Trenitalia S.p.A. con separati controricorsi, proponendo a loro volta ricorsi incidentale affidati rispettivamente a due ed a tre motivi, contestati dal R. con controricorso. Tutte le parti hanno depositato memorie ex art. 378 c.p.c..

Motivi della decisione

Va preliminarmente disposta la riunione del ricorso principale e dei ricorsi incidentali, trattandosi di impugnazioni proposte avverso la medesima sentenza ( art. 335 c.p.c.).

Con il primo motivo di ricorso, l’ing. R.U., denunciando nullità della sentenza per omessa pronuncia su un capo della domanda in violazione dell’art. 112 c.p.c. (mancata pronuncia in ordine al danno all’immagine e per la mancata o ridotta corresponsione del Premio per risultati), censura la sentenza di secondo grado per e vere violato il principio di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato, stante il difetto di una espressa statuizione rispetto ai capi di domanda riportati in rubrica.

In particolare, secondo il ricorrente, nella specie, non sarebbe possibile ricavare l’esistenza di una motivazione indiretta di rigetto per relationem posto che le due voci di danno sarebbero del tutto distinte dalle altre esaminate e parzialmente accolte (trattandosi, nel caso della corresponsione dei Premi per risultati, di emolumenti di natura retributiva laddove il pregiudizio all’immagine discenderebbe ex se dalla vicenda giudiziaria). Il motivo è infondato. Al riguardo, occorre considerare che, come affermato in più occasioni da questa Corte, ad integrare gli estremi del vizio di omessa pronuncia non basta la mancanza di una espressa statuizione del giudice, ma è necessario che sia stato completamente omesso il provvedimento che si palesa indispensabile alla soluzione del caso concreto.

Ciò non si verifica allorquando la decisione adottata comporti la reiezione della pretesa fatta valere dalla parte, anche se manchi in proposito una specifica argomentazione, dovendo ravvisarsi una statuizione implicita di rigetto quando la pretesa avanzata col capo di domanda non espressamente esaminato risulti incompatibile con l’impostazione logico-giuridica della pronuncia (ex plurimis, Cass. n. 20311/2011; Cass. n. 24458/2007; Cass. n. 16788/2006). Nella specie, peraltro, la sentenza resa dalla Corte d’appello non difetta affatto di qualsivoglia statuizione con riferimento alle singole pretese sol che si consideri come, per quanto riguarda il lamentato mancato adeguamento della retribuzione, nel cui ambito deve evidentemente ritenersi assorbita la domanda relativa alla mancata o ridotta corresponsione del Premio per risultati, la Corte ha affermato che "… i criteri di valutazione delle posizioni dirigenziali sono demandati ad un apposito Comitato tecnico, coadiuvato da specialisti del settore … ne deriva che se è vero che le indennità rivendicate dipendono dalla posizione occupata, è anche vero che il valore da attribuire a ciascuna posizione, in difetto di allegazioni sui criteri stabiliti, non può essere determinato aliunde essendo demandato all’autonomia collettiva. Le considerazioni effettuate dal R. dunque, sono frutto di personali elaborazioni…".

A ciò va aggiunto che la Corte d’appello non solo ha chiarito come il R. non avesse specificato nel ricorso introduttivo a quali conseguenza sarebbe andato incontro sul piano professionale a seguito del preteso mancato conferimento di ulteriori incarichi dopo il 1998, ma ha altresì disatteso la domanda di risarcimento del danno alla professionalità ed, in maniera implicita ma non per questo poco chiara, anche all’immagine, in difetto di più precise indicazioni circa conseguenze negative sulle proprie possibilità lavorative, escludendo così correttamente che, non essendo il danno in re ipsa, non poteva prescindersi da una specifica allegazione, nel ricorso introduttivo, sulla natura e sulle caratteristiche del pregiudizio medesimo.

Con il secondo motivo il ricorrente, denunciando violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2043, 2058, 2697 c.c. e dell’art. 432 c.p.c. (mancato riconoscimento del danno retributivo per omesso adeguamento della retribuzione a cagione del demansionamento), dopo avere riportato testualmente il tenore dell’art. 37 del CCNL Dirigenti dell’Ente F.S. relativo al periodo 1.1.1990-31.12.1993, sostiene che la Corte sarebbe incorsa preliminarmente in errore nella parte in cui aveva affermato che il valore da attribuire a ciascuna posizione fosse demandato all’autonomia collettiva (ciò potendo valere solamente per quanto concerne i criteri di valutazione) e che l’azienda sarebbe venuta meno ai suoi obblighi contrattuali omettendo di sottoporre a valutazione la posizione del ricorrente.

In tal modo, la Corte avrebbe "illegittimamente escluso una acclarata responsabilità risarcitoria della resistente direttamente derivante da un accertato illecito costituente fonte di obbligazione risarcitoria quale conseguenza di un ulteriore fatto illecito posto in essere dal medesimo danneggiante (mancata valutazione della posizione occupata, nonchè delle capacità personali e professionali prevista ogni due anni)".

Il motivo è infondato.

Invero, sul punto, la Corte territoriale ha osservato che, in relazione al lamentato mancato adeguamento della retribuzione, lo stesso R., nel ricorso introduttivo, aveva affermato di avere percepito quanto spettante a titolo di indennità di funzione, superminimo etc, sia pure nella misura minima; conseguentemente le somme richieste erano da intendersi connesse al riconoscimento di una maggiore indennità dipendente dalla posizione dirigenziale occupata, come previsto dall’art. 37 del CCNL per i dirigenti delle F.S. S.p.A. Orbene – prosegue la Corte -, poichè proprio da tale disposizione contrattuale si evinceva che i criteri di valutazione delle posizioni dirigenziali erano demandati ad un apposito Comitato tecnico, coadiuvato da specialisti del settore, sentita la parte firmataria del contratto, ne derivava che, in difetto di allegazione dei criteri stabiliti, non poteva essere determinato aliunde il valore da attribuire a ciascuna posizione, essendo demandato all’autonomia collettiva.

Pertanto, le considerazioni effettuate dal R., in quanto frutto di personali elaborazioni, non potevano sostituirsi alle determinazioni della contrattazione collettiva e quindi non potevano trovare accoglimento.

Risulta allora evidente da tale argomentare che la Corte territoriale, pur facendo riferimento a quanto previsto dalla contrattazione collettiva, disattende le pretese del R. essenzialmente per non avere questo allegato i criteri stabiliti e non anche per non essere stato sottoposto alle valutazioni di cui alla contrattazione collettiva.

Nè appare, comunque, condivisibile la tesi del R., secondo cui l’affidamento all’autonomia collettiva concerneva esclusivamente i "criteri di valutazione" e non anche "il valore da attribuire a ciascuna posizione".

Muovendo dal presupposto della dequalificazione del ricorrente, non vi è dunque spazio per l’automatismo attributivo invocato dal R., considerato che, comunque, lo stesso – come emerge dalla pronuncia impugnata – ha omesso di allegare agli anzidetti fini qualunque informazione utile, rendendo così impossibile apprezzare in concreto la perdita di chance in termini di ulteriori possibilità di guadagno.

Con il terzo motivo, il ricorrente, denunciando violazione e falsa applicazione degli artt. 2043, 2697 e 2727 c.c. nonchè dell’art. 432 c.p.c. (relativamente al capo di domanda volto a conseguire il risarcimento del danno professionale), lamenta che la Corte di merito avrebbe erroneamente disatteso la sua richiesta di risarcimento del danno alla professionalità eterminato dagli illeciti accertati adattando un "testo standard", da ritenersi senz’altro valido per l’ipotesi di rigetto di una domanda di risarcimento del danno alla professionalità nell’ipotesi in cui il ricorrente lamenti la diversità delle mansioni assegnategli, alla diversa ipotesi di un soggetto come il R. che aveva invece documentato (e riconosciuto vittima di) un demansionamento attuato attraverso la progressiva privazione di ogni mansione.

Il motivo è infondato, essendo la pronuncia della Corte territoriale conforme al principio, ormai consolidato nella giurisprudenza di legittimità, secondo cui, accertato un demansionamento professionale, la liquidazione del danno alla professionalità richiesto dal lavoratore non può prescindere dalla dimostrazione in fatto dell’esistenza del danno anche attraverso presunzioni e del nesso causale tra di esso e il demansionamento; in tema di liquidazione del danno non patrimoniale, deve essere evitata ogni duplicazione di voci di danno che abbiano la stessa fonte causale (Cass. n. 20980/2009).

Nella specie, il R. postula l’esistenza di un danno alla professionalità e alla dignità del lavoratore, dando erroneamente per scontato che i presupposti in fatto sussistano.

Con il quarto motivo il ricorrente, denunciando insufficiente, illogica e contraddittoria motivazione ex art. 360 c.p.c., n. 5 in ordine al medesimo capo di domanda volto a conseguire il riconoscimento del danno alla professionalità, censura la sentenza impugnata anche sotto il profilo del vizio di motivazione. Il motivo non può trovare accoglimento, in quanto la sentenza d’appello, prendendo atto della scarsità degli elementi allegati e dedotti dal sig. R. fin dal ricorso introduttivo, che consistevano esclusivamente nella qualifica dirigenziale e nell’importanza degli incarichi, è, sul punto, non fondatamente censurabile.

Come più volte più volte affermato da questa Corte e pienamente condiviso dal Collegio, i vizi della sentenza posti a base del ricorso per cassazione non possono risolversi nel sollecitare una lettura delle risultanze processuali diversa da quella operata dal giudice di merito (Cass. 25 agosto 2003, n. 12467), o consistere in censure che investano la ricostruzione della fattispecie concreta (Cass. 4 giugno 2001, n. 7476) o che siano attinenti al difforme apprezzamento dei fatti e delle prove dato dal giudice del merito rispetto a quello preteso dalla parte (Cass. 7 agosto 2003, n. 11918).

Con il quinto motivo si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 1226 e 2058 c.c. nonchè dell’art. 100 c.p.c. (inesatto giudizio di insussistenza del presupposto per la richiesta di reintegrazione nelle mansioni espletate sino al 1997).

Il motivo è infondato in quanto rettamente l’impugnata sentenza ha ritenuto come l’inesistenza del rapporto di lavoro sottostante impedisca al Giudice di emanare un ordine, quale quello di reintegrazione nelle mansioni espletate, che presuppone appunto la perdurante esistenza del contratto.

Nè tale assunto risulta inficiata dalle argomentazioni del ricorrente in merito alla illegittimità del licenziamento da cui, comunque, non discende il diritto alla reintegra stante la qualifica dirigenziale posseduta dal ricorrente.

Ed infatti, come puntualizzato da questa Corte nella sentenza n. 24246/07, "l’illegittimità del licenziamento di un dirigente, anche convenzionale, comporta il diritto del lavoratore soltanto alla tutela obbligatoria, a meno che la tutela reale non sia stata prevista, appositamente, in sede di contratto collettivo o individuale, con l’obbligo della reintegrazione in caso di licenziamento illegittimo".

Con il sesto motivo il ricorrente, denunciando violazione e falsa applicazione dell’art. 92 c.p.c. con riferimento alla compensazione delle spese nel rapporto processuale con Trenitalia, lamenta che il Collegio di merito, pur avendo correttamente rilevato la carenza di legittimazione passiva di Trenitalia S.p.A., avrebbe ingiustamente compensato le spese, pur essendosi instaurato il rapporto processuale tra il R. e la Trenitalia per effetto dell’intervento in giudizio di quest’ultima, senza che fosse stata essere chiamata in causa. Il motivo è privo di fondamento.

Come noto, in tema di regolamento delle spese processuali, nel regime anteriore alla novella dell’art. 92 c.p.c. recata dalla L. 28 dicembre 2005, n. 263, art. 2, comma 1, lett. a), il provvedimento di compensazione parziale o totale delle spese "per giusti motivi" deve trovare un adeguato supporto motivazionale, anche se, a tal fine, non è necessaria l’adozione di motivazioni specificamente riferite a detto provvedimento purchè, tuttavia, le ragioni giustificatrici dello stesso siano chiaramente e inequivocamente desumibili dal complesso della motivazione adottata a sostegno della statuizione di merito (o di rito) (ex plurimis, Cass. Sez. Un. n. 20598/2008).

Nella specie, la giustificazione, fornita dalla impugnata sentenza, della disposta compensazione nei confronti di Trenitalia, basata sulla sussitenza di "giusti motivi", costituiti dal non avere la società "immediatamente chiarito la sua posizione processuale rispetto alla vicenda in esame", non appare suscettibile di censura alcuna da parte del R.. Invero, – come risulta dalla esposizione in fatto della impugnata sentenza – chiamata in causa è stata originariamente la "Ferrovie dello Stato s.p.a." con conseguente tempestiva costituzione in giudizio di "Trenitalia s.p.a. (già F.S. s.p.a.)" e solo tardivamente di R.F.I. s.p.a., sicchè, di fronte alla carenza di una più specifica ed aggiornata indicazione, da parte del ricorrente R., del legittimato passivo (se, cioè, Trenitalia s.p.s. o R.F.I. s.p.a.), la Corte territoriale ha ritenuto la sussistenza, nella specie, dei dichiarati giusti motivi. Passando ora all’esame dei ricorsi incidentali va subito osservato che, con il primo motivo, Trenitalia S.p.a., denunciando violazione e falsa applicazione dell’art. 81 c.p.c., lamenta che la Corte di merito avrebbe erroneamente dichiarato il proprio difetto di legittimazione passiva malgrado la circostanza non fosse stata fatta oggetto di tempestiva eccezione da parte dell’ing. R..

Il motivo è privo di fondamento poichè – come risulta dalla stessa impugnata decisione e come appena osservato in relazione all’ultimo motivo di ricorso principale – Trenitalia non era stata indicata come convenuta in giudizio nè era stata resa destinataria della notifica del ricorso introduttivo.

Pertanto, appare del tutto privo di fondamento l’assunto secondo avrebbe dovuto gravare sull’ing. R. la formulazione di una eccezione e la conseguente prova del difetto di legittimazione passiva di Trenitalia.

Con il secondo motivo di Trenitalia (primo di RFI), i ricorrenti incidentali, denunciando la violazione dell’art. 2103 c.c. (riconosciuto violato dal Giudice di merito) quale allegata conseguenza del disposto dell’art. 2967 c.c., lamentano che il riconosciuto demansionamento non avrebbe dovuto essere dichiarato per inadeguata allegazione di elementi di prova idonei a supportarlo.

Il motivo è privo di fondamento.

Invero, sul punto , la Corte di Appello non si è limitata a rilevare che le circostanze oggetto di positivo accertamento (progressiva emarginazione e conclusivo completo esautoramento da ogni mansione) non fossero state contestate, ma ha ulteriormente precisato che tali circostanze risultavano, oltre che esplicitamente riconosciute dalla difesa della convenuta R.F.I. s.p.a., anche inoppugnabilmente sussistenti in base alla documentazione prodotta (e specificamente indicata).

La Corte di Appello, inoltre, in considerazione della linea difensiva delle società, ha rilevato che, mentre la dequalificazione risultava acquisita, la addebitabilità della stessa al ricorrente avrebbe dovuto essere provata ed invece non solo non erano state svolte rituali deduzioni istruttorie ma, anzi, risultava documentalmente che nessun addebito era stato mosso al R. nel corso dei lunghi anni di servizio.

Con il terzo motivo di ricorso di Trenitalia e con il secondo di R.F.I., i ricorrenti incidentali, denunciando vizio di motivazione e contestuale violazione degli artt. 1223, 1227 e 1460 c.c., lamentano la erroneità della decisione, operata dalla Corte d’appello, sulla insussistenza di un inadempimento colpevole. Siffatto profilo appare adeguatamente motivato dal Giudice a quo, laddove, senza incorrere nelle lamentate violazioni di legge, afferma testualmente: "per altro verso, non risulta che la Ferrovie dello Stato s.p.a. abbia mai contestato alcun inadempimento al R. per il suo comportamento.

Nè può trarsi alcun elemento, in difetto di ulteriori e più specifiche deduzioni, dagli orar di presenza del dirigente presso la sede della Società … a ciò deve aggiungersi che l’unica lettera di richiamo ai doveri di correttezza e lealtà da parte del Direttore Generale della società reca la data del 4.2.1999 ed è stata inviata al dirigente non per la sua asserita indisponibilità ma per una missiva che quest’ultimo aveva inviato il 26.9.98 lamentando le sue difficoltà nel rapporto con il C. e riferendo le possibili cause di ciò (mancata condivisione delle sue decisioni in merito all’utilizzo di consulenti esterni…").

Trattasi di valutazione di merito che, nella sua globalità, vale a superare le obiezioni mosse in proposito dalle società, riferendosi esse, pur sempre, al merito della controversia.

Per quanto precede anche i ricorsi incidentali vanno rigettati.

L’esito del presente giudizio induce a compensare le spese tra le parti.

P.Q.M.

La Corte riunisce i ricorsi e li rigetta. Compensa le spese.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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