Cass. civ. Sez. II, Sent., 10-04-2012, n. 5697

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

la spa Impresa dr. Ing. Giovanni Tognozzi citò innanzi al Tribunale di Roma l’INPDAP per sentirlo condannare al pagamento del saldo del corrispettivo dovuto per lavori di completamento in uno stabile venduto all’ente convenuto; quest’ultimo si costituì contrastando le pretese avversarie e chiedendo in via riconvenzionale che la società attrice fosse condannata a corrispondergli l’importo di Euro 137.599,32 rappresentante il reddito che avrebbe potuto trarre dalla locazione dell’immobile acquistato, con ciò agendo sulla base di una clausola negoziale che avrebbe tale reddito garantito.

Il Tribunale adito, dichiarata la cessazione della materia del contendere sulla domanda principale – essendo stata pagata in corso di causa la somma richiesta – respinse la domanda dell’INPDAP in base alla constatazione che la garanzia di redditività di cui alla pattuizione contrattuale sarebbe stata limitata al tempo intercorrente tra l’acquisto e l’inizio di un contratto di locazione dell’immobile – poi stipulato con il Ministero dell’Interno – e che, di fatto, vi sarebbe stata coincidenza temporale tra i due momenti;

negò quindi il primo giudice, che la clausola dovesse essere interpretata nel senso di garantire comunque una specifica redditività per tutta la durata – sei anni – del periodo preso in considerazione al momento della stipula, così che nella previsione contrattuale, l’eventuale percezione del canone di locazione, minore rispetto alla previsione della garanzia, avrebbe potuto avere, in ipotesi, come unico effetto, quello di diminuire l’entità della somma comunque dovuta.

Contrastando tale interpretazione l’INPDAP propose impugnazione, che venne respinta dalla Corte di Appello di Roma, con sentenza n. 3228/2009, assieme al gravame incidentale della società appellata.

Per la cassazione di tale decisione ha proposto ricorso l’INPDAP sulla base di due motivi; la società intimata ha resistito con controricorso.

Motivi della decisione

1 – Con il primo motivo il ricorrente fa valere la violazione e/o la falsa applicazione delle norme codicistiche attinenti all’ermeneutica contrattuale – artt. 1362, 1363, 1367 cod. civ. – nonchè delle disposizioni riguardanti l’inadempimento e l’impossibilità di adempimento – artt. 1218 e 1256 cod. civ.; deduce altresì l’esistenza di vizi nella motivazione del giudice di merito – sotto il triplice profilo dell’omessa, insufficiente e/o contraddittoria motivazione – in relazione all’identificazione del sinallagma contrattuale ed alle obbligazioni assunte dalle parti con la clausola art. 7, commi 11 e segg. del contratto di compravendita.

1/a – Sostiene al riguardo parte ricorrente che l’interpretazione dell’impegno negoziale quale riportata nella sentenza di primo grado – fatta propria senza alcun apporto argomentativo diverso, dalla Corte di Appello – sarebbe stata originata da una lettura solo parziale del testo contrattuale atteso che, dopo la previsione dell’obbligo della venditrice di corrispondere all’Istituto, a decorrere dal trentesimo giorno dalla data prevista per la consegna, un reddito annuo pari al 6.50% del prezzo netto di acquisto, fino al momento in cui il conduttore avrebbe iniziato a versare il canone di locazione, vi era un ulteriore inciso che, oltre a prevedere l’obbligo di una fidejussione di importo pari al reddito dovuto per l’intero periodo garantito, statuiva che "le locazioni stipulate ridurranno dello stesso importo la parte dovuta dalla venditrice che ne assumerà l’onere nel caso di insolvenza o di cessazione della locazione durante il periodo garantito": tale dato testuale dunque, secondo il ricorrente, avrebbe smentito la tesi, sostenuta nella gravata decisione, secondo la quale: a – l’obbligo di garantire un reddito derivante dalla locazione del bene venduto sarebbe cessato al momento in cui il conduttore – nella fattispecie: il Ministero degli Interni – avesse cominciato a pagare il canone; b – la funzione della pattuizione sarebbe stata solo quella di garantire l’acquirente da un’eventuale mancata percezione di canoni locativi, a causa del fatto che il contratto di locazione era stato concluso prima della consegna dell’immobile da parte dello stesso venditore.

1/b – In contrario rileva il ricorrente che il testo negoziale sarebbe stato chiaro nel pattuire l’obbligo della corresponsione dell’importo garantito non solo se il conduttore fosse divenuto insolvente o se la locazione fosse cessata durante il periodo garantito – ipotesi queste previste espressamente – ma anche allorchè il canone della già stipulata locazione fosse stato di importo pari o inferiore a quello garantito.

1/c – Ritiene parte ricorrente di trovar conferma nel risultato interpretativo appena esposto anche dalla condotta delle parti posteriore alla conclusione del contratto, atteso che la fidejussione – pur prevista negozialmente a garanzia dell’importo minimo garantito – fu stipulata ben oltre l’inizio del pagamento dei canoni da parte del Ministero locatario;

1/d – Sottolinea altresì l’INPDAP che indubbio peso interpretativo circa la finalità della clausola in esame diretta a garantire un investimento, in conformità agli specifici obblighi normativi, a presidio dell’effettività delle prestazioni istituzionali dell’esponente.

1/e – Deduce inoltre parte ricorrente che la pronunzia della Corte romana si sarebbe posta in insanabile contrasto con altre sentenze di questa Corte (Cass. 12566/2004 e Cass. 7225/2009) che, giudicando sull’interpretazione di clausole analoghe a quella oggetto di scrutinio, avrebbero statuito che la funzione di tali pattuizioni sarebbe stata quella di tenere indenne l’acquirente, per un arco di tempo determinato, dai rischi connessi alla redditività del complesso immobiliare, così che l’obbligazione di garanzia dal venditore potrebbe prescindere dalla sorte dei contratti di locazione stipulati.

1/f – Sostiene infine l’Istituto ricorrente che la Corte romana sarebbe altresì incorsa nel vizio di omessa o insufficiente motivazione nella valutazione della clausola dal momento che non avrebbe rinvenuto, nella stipula di un contratto di locazione in cui era prevista la corresponsione di un canone minore della redditività garantita, la condizione stabilita contrattualmente per l’attivazione della richiamata garanzia.

2 – Con il secondo motivo viene fatta valere la violazione del principio di corrispondenza tra il chiesto ed il pronunziato – art. 112 c.p.c. – laddove il giudice dell’appello non avrebbe esaminato l’ulteriore questione – che aveva formato oggetto di appello – relativa al calcolo della somma chiesta alla venditrice, che era costituita dalla differenza tra canoni percepiti dal conduttore Ministero ed il 6.50% riferito non già al solo prezzo originariamente pattuito con il contratto di compravendita bensì anche al maggior valore che l’intero stabile avrebbe assunto a seguito dell’esecuzione di lavori di ampliamento, giusta accordo intervenuto con il Ministero, futuro conduttore, secondo quanto determinato da un perito nominato dalle parti e previa acquisizione del parere di congruità di apposita commissione.

2/a – Denunzia altresì l’INPDAP che nell’appello sarebbero state fatte valere censure contro l’omessa pronunzia, da parte del Tribunale, delle domande di esso ricorrente dirette a far integrare il massimale garantito con la prestata fidejussione.

3 – Il primo motivo è fondato, rimanendo per contro assorbito Tesarne del secondo.

3/a – Va premesso, al fine di respingere la preliminare eccezione di inammissibilità formulata dalla parte controricorrente, che il principio, costantemente enunciato da questa Corte, secondo il quale la valutazione della volontà contrattuale è giudizio di fatto, come tale commesso alla discrezionalità del giudice di merito e quindi sottratto allo scrutinio di legittimità della Corte, trova un limite nella formulazione di un’adeguata motivazione a sostegno delle scelte interpretative: nel caso di specie la sentenza difetta appunto di una compiuta analisi dell’intero contenuto negoziale e quindi le conclusioni alle quali la Corte distrettuale è pervenuta non sono condivisibili.

3/b – Invero la Corte di Appello non ha fatto corretta applicazione della regola fondamentale dell’ermeneutica che impone, nell’ambito della medesima clausola o disposizione contrattuale, di valutarne tutte le articolazioni.

3/c – Nel concreto la Corte romana non ha soffermato la sua analisi sulla seconda delle proposizioni contenuta nella clausola numero sette in cui si metteva in evidenza il perdurare dell’obbligo di corrispondere la somma "garantita" anche nel caso di avvenuta stipula dei contratti di locazione e si prevedeva la stipula di apposita fidejussione per tutto il periodo di "garanzia"; del pari è mancato il necessario confronto, al fine di pervenire ad un momento di sintesi interpretativa, tra la clausola, valorizzata nella gravata decisione, in cui si stabiliva il dies ad quem dell’obbligo in quello della stipula della locazione, e la previsione della permanenza dell’obbligazione sia in caso di cessazione dello stesso contratto di locazione sia, come appena sopra messo in evidenza, nell’ipotesi di realizzazione di un canone di locazione in misura minore del previsto reddito che l’INPADP avrebbe ricavato con l’applicazione della percentuale del 6,50% sul prezzo di compravendita – o sul valore acquistato dall’immobile a seguito delle modifiche apportate.

3/d – Detto vizio di motivazione ha comportato altresì la insostenibilità logica dell’ulteriore argomentazione della Corte di appello in merito alla funzione che le parti avrebbero inteso attribuire alla clausola in questione – quella cioè limitata a garantire l’acquirente della mancata percezione tout court di canoni locativi – minando quindi la condivisibilità delle ragioni del rigetto dell’appello – per la ragione che l’INPDAP non avrebbe subito alcun pregiudizio non essendo residuato alcun lasso di tempo tra l’acquisto e la locazione al Ministero degli Interni.

4 – Gli ulteriori profili contenuti nel primo motivo rimangono assorbiti.

5 – La sentenza va dunque cassata e la causa va rimessa ad altra sezione della Corte di Appello di Roma che, alla luce dei principi sopra delineati, esaminerà nuovamente la fattispecie, regolando altresì le spese anche del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

LA CORTE Accoglie il ricorso; cassa l’impugnata decisione e rinvia a diversa sezione della Corte di Appello di Roma, anche per le spese del presente giudizio.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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