Cons. Stato Sez. III, Sent., 22-11-2011, n. 6147 U. S. L.

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

– Col ricorso introduttivo del giudizio in primo grado, notificato l’11.1.2000, la "V. N." Casa di Cura s.r.l. aveva richiesto l’ accertamento del diritto alla percezione degli importi dovuti dall’Azienda Sanitaria Locale n. 7 di Catanzaro, a titolo di corrispettivi di prestazioni effettuate in regime di accreditamento e convenzione in favore degli assistiti del Servizio Sanitario Nazionale.

Gli importi non erano stati corrisposti per varie ragioni:

a) perchè alcuni "ricoveri" negli anni 1995- 1996 mancherebbero di titolo autorizzatorio (prescrizione medica);

b) perchè alcuni ricoveri a breve scadenza da precedente dimissione da reparti di lungodegenza e riabilitazione sono stati considerati "ricovero unico", con abbattimento, di conseguenza, del 25% del corrispettivo;

c) perché i conguagli sono stati corrisposti dall’1.1.1995, con applicazione retroattiva delle tariffe regionali, di cui alla delibera della G.R. calabra n. 691 del 20.2.1995, resa esecutiva il 13.4.1995.

– Con la sentenza n. 1250 del 22.6/30.8.2001 appellata, il TAR Calabria – Catanzaro accoglieva il ricorso nel merito, valorizzando sotto diversi profili i principi di correttezza e buona fede cui deve ispirarsi l’azione dell’Azienda debitrice e, conseguentemente, condannandola al pagamento della somma di lire 2.285.451.796, oltre interessi e spese di giudizio.

– Con atto di appello notificato in data 26 ottobre 2001, l’Amministrazione deduce:

1. l’inammissibilità del ricorso di primo grado, proposto oltre due anni dal diniego opposto dall’Azienda con la delibera n. 1822 del 16.6. 1997, atto autoritativo peraltro impugnato con autonomo ricorso, nei confronti del cui esito si porrebbe altresì il problema della violazione del principio del "ne bis in idem";

2. l’infondatezza nel merito delle pretese avanzate dalla Casa di cura sotto vari profili;

3. l’errata determinazione del quantum.

– L’ esecutività della sentenza di primo grado è stata sospesa con ordinanza n. 710 del 19.2.2002.

– Con memoria del 13.9.2011, preso atto dei mutamenti giurisprudenziali medio tempore intervenuti a partire dalla nota sentenza della Corte Costituzionale n 204/2004, l’Azienda solleva formalmente il difetto di giurisdizione, e pur riconoscendo che l’art. 9 cod.proc.amm. sopravvenuto ne consente la pronuncia solo se dedotto il vizio con motivo di appello, tuttavia ritiene che "ratione temporis" debba valere la richiamata giurisprudenza.

– La Casa di cura resiste all’appello e con memoria depositata in vista dell’udienza si affida sotto il profilo della giurisdizione alla determinazione del Collegio.

– All’udienza del 21 ottobre 2011 l’appello viene assunto in decisione.

Motivi della decisione

– Preliminarmente, va esaminata la questione di giurisdizione, sollevata dall’Azienda appellante con la memoria del 13.9.2011.

– Occorre, a tal fine, innanzitutto precisare l’oggetto della controversia.

La struttura sanitaria privata, col ricorso introduttivo, chiedeva l’accertamento del diritto soggettivo alla percezione del corrispettivo, nell’importo adeguato, a fronte di prestazioni sanitarie effettuate in regime di convenzione, con conseguente condanna dell’Azienda al pagamento delle somme dovute a tale titolo.

Rimangono fuori dall’oggetto del giudizio gli atti autoritativi presupposti: a conferma di ciò, la circostanza che il ricorso sia stato proposto oltre due anni dopo l’adozione della delibera di diniego (n. 1822 del 16.6. 1997) e che la stessa abbia formato oggetto di autonoma impugnazione con altro ricorso.

– Sia all’epoca in cui venne proposto il ricorso introduttivo, sia allorchè venne pronunciata la sentenza di primo grado, sia all’atto della proposizione del ricorso in appello, la giurisdizione in subiecta materia apparteneva pacificamente al giudice amministrativo, in forza dell’art. 33, comma 2 lett. e), d. lgs. 31 marzo 1998 n. 80, come sostituito dall’art. 7, l. 21 luglio 2000 n. 205, recante la nuova disciplina della giurisdizione in materia di pubblici servizi.

Successivamente, con la dichiarazione di illegittimità costituzionale "in parte qua" della citata norma ad opera della Corte costituzionale, con sentenza 6 luglio 2004 n. 204, la giurisdizione del giudice amministrativo è venuta meno con riguardo alle ipotesi in cui neppure "mediatamente" si discuta dell’esercizio di poteri autoritativi, come nel caso di specie, in cui è proposta la mera azione di accertamento dei "corrispettivi", ovvero la pretesa ha contenuto esclusivamente patrimoniale, avente la tipica consistenza di diritto soggettivo (cfr. C.d.S, sez. V, 15 luglio 2005, n. 3791; 09 aprile 2010, n. 2002; 26 ottobre 2009, n. 6538).

Com’è noto, la sentenza della Corte ha comportato il venir meno della specifica giurisdizione esclusiva su tutti i rapporti non ancora esauriti, stante l’efficacia retroattiva – prevalente sul contrario principio della perpetuatio iurisdictionis sancito dall’art. 5 c.p.c. – che assiste le pronunce della Corte costituzionale (fra tutte, Consiglio di Stato, sez. V, 15 dicembre 2005, n. 7145).

Tuttavia, il sopravvenuto art. 9 cod. proc. amm., approvato con decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104 (in vigore all’atto del passaggio in decisione della causa e di immediata applicazione, trattandosi di norma processuale e non essendovi disposizione transitoria di segno contrario) ha fatto venir meno la rilevabilità d’ufficio del difetto di giurisdizione in grado di appello, addossandone l’onere alla parte appellante, con apposito motivo di appello (che qui non è stato proposto: l’eccezione viene sollevata solo con una memoria successiva nel corso dell’appello) e sancendo, quindi, l’irrilevanza della semplice eccezione formulata in memoria.

Il che significa che anche nel processo amministrativo è stato introdotto, e in via legale, il principio del c.d. giudicato interno implicito sulla questione di giurisdizione trattata, seppur tacitamente, dal giudice di primo grado (cfr. per tutte, per il processo civile, Cass., SS.UU., 9 ottobre 2008, n. 24883). In difetto di un siffatto "specifico motivo", si intende che la parte che aveva interesse a sollevare la carenza di giurisdizione vi ha fatto acquiescenza.

E’ evidente, tuttavia, la singolarità del caso in esame: la parte appellante non "poteva" all’epoca della notifica dell’atto di appello (ottobre 2001) proporre il motivo del difetto di giurisdizione, essendo vigente ancora la norma che attribuiva la giurisdizione esclusiva al giudice amministrativo.

Nessuna "acquiescenza" è dunque attribuibile presuntivamente alla parte appellante.

Venuta meno la giurisdizione, per effetto della dichiarazione di incostituzionalità, nel corso del processo di appello, se la causa fosse stata trattata anteriormente all’entrata in vigore del nuovo codice, anche il giudice, d’ufficio, avrebbe potuto rilevarla.

Invalsa, invece, la nuova regola processuale di cui all’art. 9 cod. proc. amm., ci si interroga se sia sufficiente la proposizione del "motivo" con semplice memoria, anzicchè con l’atto di appello.

Ritiene il Collegio che, nel caso di specie, non possa trovare applicazione la previsione contenuta nell’art. 9 del Codice del processo amministrativo, ai sensi del quale "nei giudizi di impugnazione il difetto di giurisdizione è rilevato solo se dedotto con specifico motivo avverso il capo della pronuncia impugnata che, in modo implicito o esplicito, ha statuto sulla giurisdizione".

Come osserva la sez. VI, con sentenza del 15 dicembre 2010, n. 8925, l’art. 9, cod.proc.amm. ha un duplice contenuto precettivo: per un verso, esclude che il giudice d’impugnazione possa rilevare il difetto di giurisdizione se nessuna parte l’abbia eccepito; per altro verso, pone in capo alle parti l’onere di far valere il difetto di giurisdizione mediante la proposizione di uno specifico motivo di gravame.

Il primo di tali precetti opera sui processi in corso, immediatamente, secondo la regola propria delle norme processuali; il secondo precetto, involgendo attività processuale delle parti, soggiace alla regola "tempus regit actum".

Da ciò consegue, secondo la richiamata pronuncia, che "deve escludersi che il giudice possa dichiarare inammissibile un’eccezione che, rispetto alla normativa in vigore al momento della sua proposizione, risulta senz’altro ritualmente proposta, risultando pacifico, anche alla luce della decisione dell’Adunanza Plenaria 30 agosto 2005 n. 4 che – prima dell’entrata in vigore del Codice – l’eccezione di difetto di giurisdizione poteva essere riproposta in appello anche con semplice memoria".

Nel caso di specie, l’Azienda nella memoria di costituzione in primo grado aveva sollevato l’eccezione di difetto di giurisdizione, sebbene per ragioni diverse rispetto a quelle che scaturiscono dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 204/2004. In base al principio "tempus regit actum", quell’eccezione, proposta con la memoria di costituzione in primo grado dell’Azienda, deve ritenersi ritualmente riproposta dall’appellante con memoria.

Diverso è il caso, secondo la decisione della VI sez. richiamata, in cui l’eccezione di difetto di giurisdizione non risultasse in alcun modo proposta (neanche con semplice memoria): in questo caso, lo stesso principio tempus regit actum impedirebbe al giudice d’appello, anche con riferimento agli appelli proposti anteriormente al 16 settembre 2010, di rilevare d’ufficio il difetto di giurisdizione.

In altri termini, per gli appelli in corso alla data di entrata in vigore del codice, la regola dell’art. 9 cod. proc. amm. non esclude, in applicazione del principio "tempus regit actum", che il motivo concernente il difetto di giurisdizione, già sollevato in primo grado, possa introdursi con memoria successiva alla proposizione dell’appello, senza che possa farsi questione di "giudicato interno".

Sulla base delle considerazioni che precedono, l’eccezione di difetto di giurisdizione di cui alla memoria dell’Azienda del 19 settembre 2011, deve essere accolta, rientrando la controversia nella giurisdizione del giudice ordinario, di fronte al quale le parti potranno riproporre la domanda, ai sensi dell’art. 11 del Codice del processo amministrativo, entro tre mesi dalla pubblicazione della presente decisione.

Per l’effetto, la sentenza di primo grado deve essere annullata e il ricorso introduttivo dichiarato inammissibile per difetto di giurisdizione.

Ricorrono giusti motivi per disporre la compensazione delle spese di giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza), definitivamente pronunciando, accoglie l "appello come in epigrafe proposto e, per l’effetto, in riforma della sentenza appellata, dichiara inammissibile, per difetto di giurisdizione, il ricorso di primo grado.

Compensa interamente tra le parti le spese del giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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