Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/
Svolgimento del processo
Con la sentenza in epigrafe impugnata il Tribunale amministrativo regionale del Lazio – Sede di Roma – pronunciandosi sul ricorso proposto dalla Società B. A. T. Italia s.p.a., già Ente T. I. – ha dichiarato il difetto di giurisdizione del plesso giurisdizionale amministrativo in ordine alla domanda di annullamento del dM 10 luglio 2002 (avente ad oggetto disposizioni concernenti la contabilizzazione delle dotazioni dei magazzini di vendita di cui alla l. 22 dicembre 1957 n. 1293) limitatamente all’art. 2 n. 4 lett. b) e c) nella parte in cui imponeva all’Ente T. di corrispondere l’accisa dovuta in caso di eventuale condanna da parte della magistratura contabile e che, fino alla definizione delle decisioni dell’organo contabile, doveva essere prestata apposita garanzia, e nella parte in cui prevedeva che per le partite in sospeso derivanti da furti o rapine verificatesi alla data del 31 dicembre 1998 doveva essere corrisposta l’accisa calcolata sul prezzo di vendita al pubblico dei prodotti trafugati vigente all’atto dell’evento criminoso.
La società odierna appellante aveva impugnato in parte qua il predetto decreto del Direttore Generale dell’AAMS evidenziando tra l’altro che esso, nel dettare disposizioni sulla contabilizzazione della dotazione dei magazzini vendita di cui alla legge 22 dicembre 1957 n. 1293, regolamentava il carico dell’accisa dovuta sulla merce sottratta in occasione di furti e rapine (art. 4, lett. bc).
Essa aveva sostenuto che la previsione di un’obbligazione tributaria a suo carico, avente ad oggetto l’accisa dovuta sulle partite in sospeso derivanti da furti e rapine perpetrate prima del 31 dicembre 1998, era in contrasto con il principio della personalità dell’obbligazione tributaria e con le disposizioni contenute nel d.L. 30 agosto 1993 n. 331, nella parte in cui veniva fatto coincidere il titolare del rapporto d’imposta con il depositario fiscale (depositario che, all’epoca dei fatti, era il gestore del magazzino).
Il Tribunale amministrativo, ricostruita anche sotto il profilo cronologico la scansione normativa successiva alla istituzione istituito dell’Ente T. I. (art. 1 del d.Lgs. 9 luglio 1998 n. 283) ha affermato che il petitum introdotto atteneva direttamente e immediatamente all’individuazione del soggetto passivo dell’obbligazione tributaria (obbligo di pagamento dell’accisa sui prodotti trafugati).
Ne discendeva quindi che la controversia doveva essere devoluta alla giurisdizione tributaria in quanto quest’ultima aveva assunto i caratteri di una giurisdizione generale e l’elencazione degli atti impugnabili davanti a quel giudice (di cui all’art. 19 del d. Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546) non poteva considerarsi tassativa.
Sotto altro profilo, da tale giurisdizione esulavano, secondo il disposto dell’art 7, comma 5 del citato decreto legislativo, soltanto gli atti a carattere generale: tuttavia il riferimento ivi contenuto riguardava unicamente gli atti generali che fossero adottati nell’esercizio di un potere amministrativo di carattere discrezionale.
Nel caso di specie, invece, l’ obbligazione tributaria in virtù delle disposizioni di cui al d.l. 30 agosto 1993 n. 331 era sorta in capo all’Amministrazione dei Monopoli di Stato, mentre la disciplina dei rapporti intestati a questa Amministrazione e che, a seguito della costituzione dell’Ente T., erano imputati al nuovo soggetto era compiutamente definita dall’art. 3 del d.lgs. 9 luglio 1998 n. 283 che non introduceva alcun potere discrezionale dell’Amministrazione dei Monopoli in ordine ad una diversa determinazione o ulteriore specificazione delle disposizioni inerenti il rapporto di imposta de quo, tanto in ordine ai suoi presupposti, quanto in ordine ai soggetti.
Né in senso contrario poteva essere invocata la disposizione contenuta nell’ultimo comma dell’art. 7 della legge 27 luglio 2000 n. 212("la natura tributaria dell’atto non preclude il ricorso agli organi di giustizia amministrativa quando ne ricorrano i presupposti") in quanto essa non fondava, ma presupponeva, la sussistenza della giurisdizione del plesso giurisdizionale amministrativo.
Ne discendeva la devoluzione della controversia al giudice tributario.
La società originaria ricorrente ha impugnato la detta decisione criticandola sotto numerosi angoli prospettici: ne ha chiesto pertanto l’annullamento – previa affermazione della giurisdizione del plesso giurisdizionale amministrativo – ed ha riproposto i motivi di censura prospettati nel mezzo di primo grado e non esaminati dal Tribunale amministrativo.
Ha poi puntualizzato e ribadito le dette censure depositando una articolata memoria.
In particolare essa ha sostenuto la sussistenza della giurisdizione amministrativa sulla controversia in esame alla stregua di una pluralità di argomentazioni.
Sotto un primo profilo ha puntualizzato l’oggetto del petitum articolato in primo grado ed ha esaminato la natura dell’impugnato decreto ministeriale 10 luglio 2002.
Quest’ultimo trovava la propria causa (come esattamente rilevato dal primo giudice: "entro la data del 30 settembre 2002 andavano definite le procedure volte alla trasformazione dei Magazzini vendita in depositi fiscali, ragion per cui è stato emanato il Decreto, a firma del Direttore Generale dei Monopoli, del 10 luglio 2002, n. 04/04610 contenente le disposizioni concernenti la contabilizzazione delle dotazioni dei Magazzini medesimi.") nel d.Lgs. 9 luglio 1998 n. 283 (art. 5), e nel successivo d.M. 22 febbraio 1999 n. 67.
Tale decreto non regolamentava in alcun modo l’obbligazione tributaria (accisa).
Detta obbligazione era incontestabilmente già sorta in passato, ed il contestato decreto non ne aveva in alcun modo modificato gli elementi o la natura.
Il decreto, invece – inammissibilmente e comunque illegittimamente – aveva unicamente "traslato" detta obbligazione su un altro soggetto (il cessionario appellante BAT) rispetto a quello cui era addossata in precedenza (AMMS).
Il decreto quindi non incideva sul (già insorto) rapporto tributario ma aveva natura autoorganizzativa amministrativa individuando una posizione debitoria nell’ambito di una vicenda traslativa di beni e cespiti aziendali.
Per altro verso, il primo giudice aveva errato nell’interpretare il disposto di cui all’art. 7 comma 5 del d. Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546 richiamando il concetto di "atto discrezionale" in termini del tutto avulsi dalla questione della individuazione del giudice fornito di giurisdizione e, parimenti, aveva svalutato la portata dell’ultimo comma dell’art. 7 della legge 27 luglio 2000, n. 212.
L’appellata amministrazione ha depositato un articolato controricorso sostenendo la carenza di legittimazione attiva alla proposizione del ricorso di primo grado in capo all’odierna appellante e chiedendo la reiezione dell’appello perché infondato.
Alla odierna camera di consiglio del 4 novembre 2011 la causa è stata posta in decisione.
Motivi della decisione
1.L’appello è fondato e merita di essere accolto. Deve pertanto essere affermata la sussistenza della giurisdizione del plesso giurisdizionale amministrativo sulla controversia all’esame del Collegio e l’impugnata decisione deve essere annullata con rinvio della controversia al Tribunale amministrativo regionale del Lazio – Sede di Roma -.
1.1.Al fine di perimetrare l’oggetto del giudizio appare opportuno rammentare che per la pacifica giurisprudenza formatasi in ordine alla interpretazione dell’art. 35 della legge 6 dicembre 1971 n. 1034, non possono essere esaminate nel grado di appello le questioni di merito, ove il giudizio debba essere rimesso al giudice di primo grado, (nel caso per errata dichiarazione di difetto di giurisdizione da parte del Tribunale amministrativo regionale). Infatti, in casi del genere appare ravvisabile quel " difetto di procedura " della sentenza appellata, che non consente di trattenere in decisione la causa per l’effetto devolutivo dell’appello, tenuto conto dell’esigenza di non sottrarre alle parti – ivi compresi i soggetti controinteressati- le garanzie del doppio grado di giudizio (Consiglio Stato, sez. VI, 17 settembre 2009, n. 5587).
1.2.Per completezza si rileva altresì che il comma 1 dell’art. 105 del codice del processo amministrativo (comunque non applicabile ratione temporis alla controversia posto che l’impugnata decisione, non notificata, è stata depositata il 5 marzo 2010, mentre l’appello è stato proposto il 17 settembre 2010: trova applicazione pertanto il disposto di cui all’art. 2 dell’allegato 3 al codice del processo amministrativo entrato in vigore in data 16 settembre 2010) ha espressamente positivizzato detto principio di matrice giurisprudenziale.
A fortiori le dette questioni di merito proposte non potrebbero essere esaminate da questo Consiglio di Stato neppure laddove venisse confermata la declinatoria di giurisdizione resa dal primo giudice.
Ne consegue l’improponibilità nell’odierno segmento processuale di tutte le censure contenute nell’appello volte a riproporre gli argomenti critici che investono la legittimità delle previsioni contenute nell’impugnato decreto e dei contrapposti argomenti difensivi di merito contenuti nel controricorso della difesa erariale dell’amministrazione.
In ultimo, sfuggono all’odierno esame del Collegio – esclusivamente limitato alla risoluzione della questione relativa alla spettanza, o meno, della giurisdizione al plesso giurisdizionale amministrativo- anche le eccezioni della difesa erariale incentrate sulla carenza di legittimazione attiva alla proposizione del mezzo di primo grado (e dell’odierno appello) in capo alla originaria ricorrente.
L’esame di tali problematiche, infatti, è logicamente successivo alla risoluzione della questione in ordine alla spettanza o meno della giurisdizione.
Tali questioni sono quindi esaminabili nel merito unicamente unicamente dal giudice fornito di giurisdizione ed a seguito della individuazione di quest’ultimo (si veda Consiglio Stato, sez. IV, 02 aprile 2008, n. 1372 per la espressione di una analogo principio con riferimento alle questioni proponibili in sede di giudizio su regolamento di competenza).
2.Ciò premesso, passando ad esaminare l’unico profilo oggetto dell’odierna cognizione giudiziale, il Collegio non ravvisa motivo di discostarsi dall’orientamento consolidato della Corte Costituzionale e della Corte regolatrice della giurisdizione secondo cui la giurisdizione del giudice tributario è ravvisabile nelle sole ipotesi in cui la controversia abbia ad oggetto immediato e diretto la contestazione dei presupposti di fatto e di diritto della pretesa avanzata dall’amministrazione finanziaria o dei relativi accessori normativamente individuati, ossia l’an o il quantum di un particolare tributo, di modo che la stessa sia imprescindibilmente collegata alla natura tributaria del rapporto controverso (v. Corte Cost. 14 marzo 2008, n. 64; Corte Cost. 14 maggio 2008, n. 130; Cass. Civ., Sez. Un., 15 maggio 2007, n. 11077; Cass. Civ., Sez. Un., 10 agosto 2005, n. 16776).
In particolare, si rammenta che con la decisione n. 130 del 14 maggio 2008 la Corte costituzionale, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 2 comma 1 d.lg. 31 dicembre 1992 n. 546, nella parte in cui attribuisce alla giurisdizione tributaria le controversie relative alle sanzioni comunque irrogate da uffici finanziari, anche nel caso in cui esse conseguano alla violazione di disposizioni non aventi natura tributaria. E’ stato in particolare ivi affermato che "la norma in parola – così interpretata dal diritto vivente – conclude con l’attribuire alla giurisdizione tributaria le controversie relative a sanzioni unicamente sulla base del mero criterio soggettivo costituito dalla natura finanziaria dell’organo competente ad irrogarle e, pertanto, a prescindere dalla natura tributaria del rapporto cui tali sanzioni ineriscono. La norma censurata è dunque in contrasto con l’art. 102, comma 2, e con la VI disp. trans. della Costituzione, risolvendosi nella creazione di un nuovo giudice speciale.".
La Corte Costituzionale aveva in precedenza chiarito peraltro (Corte costituzionale, 14 marzo 2008 n. 64) che la giurisdizione del giudice tributario, in base all’art. 102, comma 2 cost., deve ritenersi imprescindibilmente collegata alla natura tributaria del rapporto. Pertanto, l’attribuzione alla giurisdizione tributaria di controversie non aventi natura tributaria – sia che derivi direttamente da un’espressa disposizione legislativa ovvero, indirettamente, dall’erronea qualificazione di "tributaria" data dal legislatore (o dall’interprete) ad una particolare materia – comporta la violazione del divieto costituzionale di istituire giudici speciali.
In questi limiti, va condivisa la ricorrente affermazione – correttamente fatta propria anche dal primo giudice- secondo cui la giurisdizione del giudice tributario ha carattere pieno ed esclusivo (si veda Cassazione civile, sez. un., 07 maggio 2010, n. 11082) ed ha natura "generale", in quanto non limitata alle fattispecie elencate sub art. 19 del d.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546.
3.Nel caso di specie si rileva che l’avversato decreto ministeriale del 10 luglio 2002 non ha inciso, se non in via derivata ed indiretta sugli aspetti tributari del rapporto giuridico tra l’appellante società e l’amministrazione appellata.
3.1. Va infatti rammentato che il d.Lgs. 9 luglio 1998, n. 283 (recante "istituzione dell’Ente T. I.") all’art. 3 (patrimonio dell’Ente, destinazione dei beni e del personale estranei all’Ente) aveva fissato le disposizioni che connotavano la struttura del neo costituito soggetto giuridico (" L’Ente è titolare dei rapporti attivi e passivi, nonché dei diritti e dei beni afferenti le attività produttive e commerciali già attribuite all’Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato. All’Ente è attribuito un fondo di dotazione costituito dal saldo positivo netto fra il valore contabile dell’insieme dei rapporti attivi e passivi ad esso attribuiti a norma del comma 1.
Il fondo di dotazione iniziale non può essere inferiore a lire 500 miliardi. Qualora il saldo positivo netto di cui al comma 2 non raggiunga il valore del fondo di dotazione iniziale, questo è integrato, con decreto del Ministro delle finanze, anche con beni e diritti di cui è titolare l’Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato.
L’ordinato trasferimento delle risorse ai fini dell’inizio dell’attività dell’Ente pubblico economico è curato, nel termine di sei mesi dalla data di entrata in vigore del presente decreto, da una commissione straordinaria nominata dal Ministro delle finanze. Alla conclusione di tale procedura è insediato il consiglio di amministrazione di cui all’articolo 2, comma 1, lettera b).
Il Ministro delle finanze, contestualmente alla nomina di cui all’articolo 2, comma 3, del presidente e del consiglio di amministrazione dell’ente, determina con proprio decreto, di concerto con il Ministro del tesoro, del bilancio e della programmazione economica, la composizione del patrimonio iniziale dell’ente, oltre alla quota parte dell’accantonamento per il fondo di previdenza dei dipendenti dell’Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato, previsto dall’articolo 17 della legge 29 gennaio 1986, n. 25, di pertinenza dei dipendenti medesimi, tenuto conto altresì dei limiti patrimoniali minimi di cui al comma 3. Il Ministro delle finanze, entro tre mesi dall’emanazione del decreto di cui al presente comma, presenta alle competenti commissioni parlamentari una relazione sulle dismissioni o sull’eventuale utilizzazione del patrimonio dell’Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato non conferito all’Ente.
L’Ente può assumere esclusivamente personale di professionalità adeguatamente qualificata, ove non sia reperibile fra il personale di cui al comma 1 dell’articolo 4.
Il Ministro delle finanze dispone con decreto in ordine alle attività diverse da quelle produttive e commerciali e alle assegnazioni di beni e personale ad esse afferenti.")
Il medesimo d.Lgs. 9 luglio 1998, n. 283 all’art. 5 aveva stabilito che "per quanto non specificamente stabilito dagli articoli 1, 2 e 3, si provvede con regolamenti a norma dell’articolo 17, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400, o con singoli provvedimenti del Ministro delle finanze.".
In attuazione proprio di quest’ultimo articolo, era stato emanato il dM 22 febbraio 1999, n. 67 recante "istituzione e regime dei depositi fiscali e la circolazione nonché le attività di accertamento e di controllo delle imposte riguardanti i T. lavorati" che, ai commi 4 e 5 dell’art. 18 così dispone: "I depositi fiscali indicati nel comma 2, continuano ad operare, fino all’esecuzione degli adempimenti di cui allo stesso comma 2, con le procedure amministrative e contabili in precedenza applicate dall’Amministrazione dei monopoli di Stato, e sono assoggettati ai controlli previsti dall’articolo 9 del decreto del Presidente della Repubblica 14 ottobre 1958, n. 1074, concernente il regolamento di esecuzione della legge 22 dicembre 1957, n. 1293, sull’organizzazione dei servizi di distribuzione e vendita dei generi di monopolio.
Per consentire l’esercizio dei controlli previsti dal comma 4, i depositi fiscali comunicano mensilmente all’Amministrazione dei monopoli di Stato, per ciascun magazzino di vendita, l’ammontare delle relative dotazioni ricevute ai sensi dell’articolo 5 della legge 22 dicembre 1957, n. 1293. Le eventuali modifiche delle dotazioni stesse sono comunicate entro cinque giorni. Le modifiche che comportano la restituzione delle dotazioni da parte dei magazzini di vendita sono previamente comunicate all’Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato e sono adottate sotto la vigilanza dell’Amministrazione stessa secondo criteri stabiliti con decreto direttoriale.".
L’avversato decreto ministeriale del 10 luglio 2002 (recante "Disposizioni concernenti la contabilizzazione delle dotazioni dei magazzini vendita di cui alla legge 22 dicembre 1957, n. 1293") trova causa proprio negli atti normativi sinora elencati.
Nel preambolo dello stesso decreto ministeriale, infatti, (del quale appare utile riportare un breve stralcio) si rinviene il fondamento normativo e logico che ne ha giustificato l’emanazione.
Ivi infatti è dato leggere che: "Visto il decreto legislativo 9 luglio 1998, n. 283, che istituisce l’Ente T. I. per lo svolgimento delle attività produttive e commerciali già attribuite all’Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato, con esclusione delle attività, inerenti il lotto e le lotterie, e riserva allo Stato le funzioni e le attività di interesse generale già affidate o conferite per effetto di disposizioni di legge alla predetta Amministrazione;
Visto il decreto ministeriale 22 febbraio 1999, n. 67, regolamento recante, tra l’altro, norme sull’istituzione ed il regime dei depositi fiscali;
Visti i decreti ministeriali 1 giugno 1999, n. 202, 9 giugno 2000, n. 170 e 12 giugno 2002, n. 119 recanti modificazioni al citato decreto ministeriale 22 febbraio 1999, n. 67;
Atteso che, l’Ente T. I. e le società nelle quali l’Ente stesso si è trasformato ai sensi dell’art. 1, comma 6, del predetto decreto legislativo 9 luglio 1998, n. 283, ha continuato ad operare ed opererà in via transitoria, fino alla completa applicazione degli adempimenti di cui al citato decreto ministeriale 22 febbraio 1999, n. 67, con le procedure amministrative e contabili in precedenza applicate dall’Amministrazione dei monopoli di Stato;
Ritenuto che ai magazzini vendita, ai sensi dell’art. 5 della citata legge 22 dicembre 1957. n. 1293, è stata affidata, in sospensione di imposta, una dotazione a titolo di deposito all’atto dell’apertura del magazzino stesso;
Considerato che all’Ente T. I., è stato conferito, a titolo di dotazione degli organi di vendita, l’importo corrispondente alle relative componenti, costituite da generi, liquidità di conto corrente, fido e partite in sospeso, risultanti alla data del 31 dicembre 1998;
Atteso che il citato Ente, ai sensi dell’art. 3 del predetto decreto legislativo 9 luglio 1998, n. 283, è titolare dei rapporti attivi e passivi, nonché dei diritti e dei beni afferenti le attività produttive e commerciali già attribuite all’Amministrazione dei monopoli di Stato;
Considerato che all’atto della cessazione del citato periodo transitorio, i magazzini vendita saranno trasformati in depositi fiscali e, di conseguenza occorrerà procedere alla definitiva contabilizzazione delle relative dotazioni;
Ritenuta, la necessità di stabilire a tal fine le modalità per procedere alla citata contabilizzazione…".
3.2. E’ agevole riscontrare, pertanto, che il detto decreto è parte attuativa del progressivo procedimento di privatizzazione dell’ amministrazione dei monopoli di stato; esso detta la modalità di contabilizzazione delle dotazioni dei magazzini di vendita e non è ad esso ascrivibile la trasformazione di questi in depositi fiscali; non individua alcun fatto giuridico generatore dell’obbligazione tributaria, – già in precedenza sorta a carico dell’amministrazione dei Monopoli di stato- né alcun altro elemento del rapporto di imposta.
E’ ovvio che esso produce un "effetto" tributario consistente nella traslazione dell’obbligazione tributaria connessa all’accisa relativa al periodo pregresso.
Ma ciò avviene in termini non dissimili ad un qualsivoglia trasferimento di un bene giuridico da un soggetto ad un altro, che crea il presupposto per cui il soggetto obbligato al pagamento dell’imposta divenga l’avente causa.
3.3. Come è chiaramente evincibile dal tenore dell’art. 2 del dL 30 agosto 1993, n. 331 il regime dell’imposta dovuta è ivi compiutamente delineato, e l’impugnato decreto ministeriale non ha (né poteva) su tale regime incidere ("I prodotti di cui all’art. 1, comma 1, sono assoggettati ad accisa al momento della fabbricazione o dell’importazione.
L’accisa è esigibile all’atto dell’immissione in consumo del prodotto. Si considera immissione in consumo anche:
a) l’ammanco in misura superiore a quella consentita o quando non ricorrono le condizioni per la concessione dell’abbuono di cui all’art. 5;
b) lo svincolo, anche irregolare, da un regime sospensivo;
c) la fabbricazione o l’importazione, anche irregolare, avvenuta al di fuori di un regime sospensivo.
E’ obbligato al pagamento dell’accisa il titolare del deposito fiscale dal quale avviene l’immissione al consumo ovvero il soggetto nei cui confronti si verificano i presupposti per l’esigibilità dell’imposta o che si è reso garante di tale pagamento.")
4.Ne consegue che quale atto generale, di natura organizzativa, e solo indirettamente produttivo di conseguenze di natura tributaria la giurisdizione in ordine alle controversie relative alla legittimità dello stesso rientra pienamente nell’alveo della giurisdizione amministrativa senza che su tale profilo possa incidere il tasso di discrezionalità ad esso sotteso.
5. L’appello deve essere pertanto accolto, e, affermata la giurisdizione amministrativa sulla controversia in oggetto l’impugnata decisione deve essere annullata con rinvio al Tribunale amministrativo regionale del Lazio- Sede di Roma.
6. La natura della controversia e la novità delle questioni trattate legittimano la compensazione tra le parti delle spese dell’odierno grado di giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
definitivamente pronunciando sull’appello, numero di registro generale 8043 del 2010 come in epigrafe proposto lo accoglie, e per l’effetto, dichiara la giurisdizione del plesso giurisdizionale amministrativo sulla controversia ed annulla la impugnata decisione con rinvio al Tribunale amministrativo regionale del Lazio – Sede di Roma -.
Spese processuali compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
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