Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 10-04-2012, n. 5671 Licenziamento

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Con sentenza del 20 gennaio 2010, la Corte d’Appello di Roma ha accolto parzialmente il gravame svolto da P.P. contro la sentenza di primo grado che aveva rigettato le domande, separatamente proposte, nei confronti della M.M. Automobili s.p.a. e di C.G., in proprio, per il risarcimento del danno da mobbing e demansionamento, per la declaratoria dell’illegittimità del licenziamento e la tutela reintegratoria e, in subordine, per l’indennità supplementare prevista per i dirigenti.

2. La Corte territoriale puntualizzava che:

– P., dirigente della M.M. Automobili s.p.a. dal 10.3.1997, con mansioni di sviluppo rete incaricato di organizzare la rete dei concessionari delle automobili Mitsubishi e di selezionare gli aspiranti concessionari, lamentava la crescente ostilità del Direttore commerciale, C., culminata con il trasferimento a (OMISSIS), la privazione dei compiti di responsabile sviluppo rete e l’assegnazione alle mansioni inferiori di ispettore, gerarchicamente subordinato ad un impiegato di primo livello, mentre in precedenza dipendeva direttamente dal direttore generale;

lamentava, inoltre, che la descritta situazione lavorativa gli aveva causato stress ansioso-depressivo;

– il lavoratore deduceva, pertanto, la condotta mobbizzante e l’illecito demansionamento; l’illegittimità del licenziamento, intimatogli senza preavviso per assenza dal domicilio nelle fasce orarie di disponibilità per le visite di controllo, ed il carattere discriminatorio;

– la società deduceva che il trasferimento derivava da un accordo intercorso con il dirigente a seguito del quale questi aveva sempre continuato a dipendere dal direttore generale; quanto al dedotto atteggiamento vessatorio del C., deduceva la genericità del ricorso; evidenziava il difetto di allegazione dei danni da mobbing e da demansionamento; quanto al licenziamento, deduceva che per tre volte il dirigente si era reso irreperibile alla visita di controllo predisposta durante la malattia e tali circostanze erano state debitamente contestate; infine che P., in quanto dirigente, non aveva diritto alla reintegrazione;

per il primo giudice le funzioni ispettive erano state espressamente accettate; le risultanze dell’interrogatorio libero prospettavano l’enorme mole di lavoro assegnato al P. e non la privazione delle mansioni; quanto al licenziamento, si rientrava nell’area della libera recedibilità e la qualità di minidirigente comportava soltanto l’estensione, al lavoratore, delle garanzie in materia di esercizio del potere disciplinare; sussisteva, infine, la giusta causa del licenziamento per l’ingiustificata assenza dal domicilio.

3. A sostegno del decisum la Corte territoriale riteneva quanto segue:

– non soppresse le mansioni dirigenziali e privi di specifica censura i riscontri probatori emersi sull’affidamento delle funzioni ispettive in aggiunta a quelle di responsabile sviluppo rete;

– privi di riscontro i denunciati comportamenti datoriali vessatori;

– quanto al licenziamento, la contestazione era incentrata solo sull’assenza dal domicilio nelle ore di reperibilità e sugli accessi, con esito negativo, da parte del medico incaricato dall’azienda, e non erano emerse urgenza e indifferibilità del ricorso del lavoratore al medico, nè l’impossibilità di recarsi presso l’ambulatorio in orario diverso, ne gli allegati trattamenti (per sindrome ansioso-depressiva) palesavano i caratteri dell’intervento d’urgenza;

– la gravità del comportamento andava riconnessa alla posizione apicale del lavoratore e alla reiterazione delle assenze ingiustificate;

non ricorrendo elementi tali da impedire la prosecuzione anche provvisoria del rapporto, doveva ritenersi integrato il giustificato motivo soggettivo e non la giusta causa di recesso, onde sussisteva il diritto del dirigente all’indennità di mancato preavviso, nella misura prevista dalla contrattazione collettiva, e al trattamento di fine rapporto;

– quanto, infine, all’indennità per il trasferimento di sede prevista dalla contrattazione collettiva, il concordato trasferimento ne escludeva l’applicazione, correlata esclusivamente ai casi di trasferimento disposto dall’azienda.

4. Avverso l’anzidetta sentenza della Corte territoriale, M.M. Automobili s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore e C.G., in proprio, hanno proposto ricorso per cassazione fondato su tre motivi. L’intimato ha resistito con controricorso, e proposto ricorso incidentale con unico motivo, cui hanno resistito la società e C. con controricorso.

Motivi della decisione

5. Preliminarmente va disposta la riunione dei ricorsi, ex art. 335 c.p.c., perchè proposti avverso la medesima sentenza.

6. Con il primo motivo di ricorso principale i ricorrenti, denunciando violazione e falsa applicazione degli artt. 112 e 346 c.p.c. (in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5), si dolgono che la corte abbia pronunciato sul TFR benchè nel gravame proposto dal dirigente non fosse stata reiterata la domanda alla relativa condanna della società. 7. Il motivo è infondato giacchè non sussiste il denunciato errar in procedendo, risultando agli atti del giudizio di merito che nelle conclusioni dell’atto di appello il dirigente ha espressamente reiterato la domanda di condanna della società al pagamento del TFR. 8. Con il secondo motivo di ricorso, denunciando violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. (in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 4 e 5), i ricorrenti si dolgono, ancora con riferimento alla domanda di condanna della società al pagamento del TFR, che la corte non abbia motivato la relativa statuizione di condanna. Assumono i ricorrenti che dalla lettera di licenziamento, datata (OMISSIS), si evince espressamente che la società ha comunicato al P. di trattenere in compensazione sul trattamento di fine rapporto le somme corrisposte dal datore di lavoro in favore del lavoratore, per quasi nove mesi, a titolo di indennità di malattia (pari all’intera retribuzione, vertendosi in ipotesi di lavoro dirigenziale) e che la legittimità della compensazione operata non sia stata oggetto di alcuna eccezione da parte della difesa del dirigente.

9. Il motivo è inammissibile per difetto di auto sufficienza.

10. Invero il ricorrente che, in sede di legittimità, denunci il difetto di motivazione sulla valutazione di un documento o di risultanze probatorie o processuali, ha l’onere di indicare specificamente le circostanze oggetto della prova o il contenuto del documento trascurato od erroneamente interpretato dal giudice di merito, provvedendo alla loro trascrizione, al fine di consentire al giudice di legittimità il controllo della decisività dei fatti da provare e, quindi, delle prove stesse, che, per il principio dell’autosufficienza del ricorso per cassazione, la Corte di Cassazione deve essere in grado di compiere sulla base delle deduzioni contenute nell’atto, alle cui lacune non è consentito sopperire con indagini integrative (ex multis, Cass. 17915/2010).

11. Nella specie il motivo di ricorso prospetta genericamente l’errata valutazione della lettera di licenziamento in atti, peraltro richiamandola con erronea collocazione temporale (il 22 aprile 2004 in luogo del 22 maggio 2003), senza trascriverne il contenuto, nè indicare dove e quando sia stata prodotta nelle pregresse fasi di merito, facendo un mero e generico cenno numerico ad una produzione documentale senza ulteriore specificazione a corredo.

12. Con il terzo motivo di ricorso, denunciando violazione e falsa applicazione degli artt. 2118, 2119 c.c. (in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5), i ricorrenti censurano la motivazione con la quale i giudici hanno ritenuto insussistenti gli estremi della giusta causa.

Assumono i ricorrente che l’iter argomentativo con cui la corte di merito ha ritenuto non ricorrenti elementi tali da impedire la prosecuzione, ancorchè provvisoria, del rapporto di lavoro, così ritenendo integrata l’ipotesi del giustificato motivo soggettivo, e non della giusta causa di recesso, con conseguente diritto del dirigente all’indennità di mancato preavviso, costituisce mera petizione di principio.

13. Il motivo non è meritevole di accoglimento.

14. Alla stregua della consolidata giurisprudenza di questa Corte, la nozione di giustificatezza del licenziamento dei dirigenti, per riconnettere alla mancanza di essa il diritto del dipendente licenziato ad un’indennità (cfr., al riguardo, per tutte, Cass. sez. lav. 1 giugno 2005 n. 11691) si discosta, sia sul piano soggettivo che su quello oggettivo, da quella di giustificato motivo di cui alla L. 15 luglio 1966, n. 604, art. 3. 15. Sul piano soggettivo, tale asimmetria trova la sua ragion d’essere nel rapporto fiduciario che lega in maniera più o meno penetrante al datore di lavoro il dirigente in ragione delle mansioni a lui affidate per la realizzazione degli obiettivi aziendali, per cui anche la semplice inadeguatezza del dirigente rispetto ad aspettative riconoscibili ex ante o un’importante deviazione del dirigente dalla linea segnata dalle direttive generali del datore di lavoro o un comportamento extralavorativo incidente sull’immagine aziendale a causa della posizione rivestita dal dirigente possono, a seconda delle circostanze, costituire ragione di rottura di tale rapporto fiduciario e quindi giustificare il licenziamento sul piano delle disciplina contrattuale dello stesso.

16. Sul piano oggettivo, la concreta posizione assegnata al dirigente nella articolazione della struttura direttiva dell’azienda può inoltre divenire nel tempo non pienamente adeguata nello sviluppo delle strategie di impresa del datore di lavoro nell’esercizio della sua iniziativa economica e quindi rendere, anche solo per questa minore utilità, giustificata la sua espulsione nel quadro di scelte orientate al miglior posizionamento dell’impresa sul mercato.

17. Anche la nozione di giusta causa legale di licenziamento risente infine – sia pure in misura più contenuta in quanto legata ad una definizione precisa dettata dall’esigenza di tener conto della maggiore gravità delle conseguenze – dell’investimento di fiducia fatto dal datore di lavoro con l’attribuire al dirigente compiti, di volta in volta strategici o comunque di impulso, direzione e di orientamento nella struttura organizzativa aziendale.

18. Inoltre, in tema di assenza alla visita di controllo, questa Corte ha ripetutamente affermato che il giustificato motivo di esonero del lavoratore in stato di malattia dall’obbligo di reperibilità a visita domiciliare di controllo ricorre oltre che nel caso di forza maggiore, in ogni situazione che, ancorchè non insuperabile e nemmeno tale da determinare, ove non osservata, la lesione di beni primari, abbia reso indifferibile altrove la presenza personale del lavoratore, come la concomitanza di visite mediche, prestazioni sanitarie o accertamenti specialistici, purchè sia dimostrata l’impossibilità di effettuare tali visite in orario diverso da quello corrispondente alla fasce orarie di reperibilità (ex multis, Cass. 14735/2004).

19. Ciò premesso, la Corte territoriale ha fatto corretta applicazione dei principi enunciati al caso esaminato, spiegando che non era risultata suffragata la dedotta indifferibilità delle tre visite ambulatoriali in occasione dei tre accessi con esito negativo (in data 1,3 e 11 aprile 2003) e che le prestazioni ambulatoriali richieste dal P. al proprio medico curante, connotate dalla quotidianità (certificata dal medico curante in occasione della terza prestazione) per il giovamento e la rassicurazione avvertita dal paziente affetto da sindrome ansioso-depressiva, potevano essere programmate in orari diversi da quelli di reperibilità. 20. La Corte territoriale ha quindi sottolineato che la gravità del comportamento del dirigente, non inerente alla gravità e veridicità della malattia, ma all’assenza dal domicilio nelle ore di reperibilità, venendo meno all’obbligo di consentire al datore di lavoro di esercitare il dovuto controllo attraverso la visita medica, attiene alla posizione apicale ricoperta dal lavoratore al quale è richiesto, con maggiore rigore, l’osservanza degli obblighi e dei doveri di condotta, sia alla reiterazione delle assenze ingiustificate.

21. Conseguentemente, con motivazione adeguata esauriente ed immune da vizi logici o contraddizioni, nella predetta condotta la Corte non ha ravvisato elementi tali da impedire la prosecuzione anche provvisoria del rapporto, ritenendo integrato il giustificato motivo soggettivo, e non la giusta causa di recesso, così riconoscendo il diritto del dirigente all’indennità di mancato preavviso, nella misura prevista dalla contrattazione collettiva.

22. Passando all’esame dell’unico motivo del ricorso incidentale, il dirigente, denunciando violazione dell’art. 18, n.ri 6, 9, 11, 12 del C.C.N.L. per dirigenti di aziende del terziario della distribuzione dei servizi del 26.4.1995, si duole che la corte di merito abbia escluso il diritto all’indennità di trasferimento sul presupposto del trasferimento concordato tra le parti. Assume il ricorrente che all’epoca del trasferimento aveva da tempo compiuto 55 anni, onde il trasferimento era un atto dovuto per legittimare il trasferimento disposto dall’azienda per esigenze organizzative e ne conseguiva il diritto alle indennità contrattualmente previste.

23. Il motivo non è meritevole di accoglimento.

24. Occorre premettere che è denunciata la violazione del contratto collettivo ma di fatto la censura concerne un vizio della motivazione e la valutazione, da parte dei Giudici del gravame, delle produzioni documentali con riferimento al consenso prestato al trasferimento.

25. Solo tardivamente, con la memoria ex art. 378 c.p.c., il dirigente ha illustrato la dedotta violazione del contratto collettivo e l’erronea interpretazione da parte del giudice del gravame, assumendo che alla stregua delle disposizioni collettive il consenso del dirigente ultracinquantacinquenne è necessario per poter disporre il trasferimento, senza del quale il datore di lavoro può solo rinunciare al trasferimento.

26. Ebbene, anche a tacere del fatto che non risultano dedotti i canoni interpretativi violati, rimane che l’inidoneità del motivo non può essere supplita attraverso l’allegazione di censure ulteriori soltanto nella memoria depositata ex art. 378 c.p.c., atteso che essa è destinata esclusivamente ad illustrare e a chiarire i motivi dell’impugnazione, ovvero alla confutazione delle tesi avversarie, e non può servire a dedurre nuove censure o a sollevare questioni nuove, che non siano rilevabili d’ufficio, e nemmeno a specificare, integrare o ampliare il contenuto del motivo originario.

27. Ma anche a voler trascurare tali assorbenti rilievi, la Corte territoriale ha correttamente escluso il riconoscimento dell’indennità de qua prevista dalla contrattazione collettiva di settore nei casi in cui il trasferimento sia stato disposto dall’azienda, non sussistendo, nella vicenda che ci occupa, la fattispecie del trasferimento disposto dal datore di lavoro sibbene la diversa ipotesi del trasferimento concordato tra azienda e lavoratore.

28. Conclusivamente, il ricorso principale e incidentale vanno respinti. La reciproca soccombenza giustifica la compensazione delle spese fra le parti.

P.Q.M.

La Corte riunisce i ricorsi e li rigetta; compensa tra le parti le spese.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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