Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 15-07-2011) 24-10-2011, n. 38364

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza in data 16 giugno 2008 il Tribunale di Torino in composizione monocratica, in esito al giudizio abbreviato, dichiarava B.O. colpevole dei delitti di truffa aggravata continuata, esercizio abusivo del servizio di investimento e gestione del risparmio, falsità in scrittura privata aggravata, unificati dal vincolo della continuazione; la condannava perciò alla pena di anni quattro di reclusione ed Euro 8.000,00 di multa, già applicata la riduzione di un terzo per la scelta del rito, oltre al risarcimento dei danni in favore delle parti civili V.A., V. B., C.A., C.D., C.R., F.I., R.F., R.L., B.S. e B.A.. La Corte d’Appello di Torino, in parziale riforma di quel deliberato, riteneva estinti per prescrizione gli episodi di truffa commessi fino al (OMISSIS) e rideterminava, conseguentemente, la pena in anni due e mesi quattro di reclusione ed Euro 6.000,00 di multa, ferme le statuizioni civili.

Secondo l’ipotesi accusatoria, recepita dai giudici di merito, la B. aveva approfittato della sua conoscenza dei clienti della banca Monte dei Paschi di Siena, acquisita durante il suo rapporto di lavoro con tale istituto in veste di funzionaria, per presentarsi successivamente ad essi spacciandosi per promotrice finanziaria e farsi affidare la gestione del denaro da investire, falsamente adducendo l’esistenza di conti titoli presso la Banca Sella e fornendo false prospettazioni di reinvestimenti; aveva inoltre formato una scrittura privata falsa per rappresentare una inesistente situazione finanziaria in capo a S. e B.A..

Ha proposto ricorso per cassazione l’imputata, per il tramite del difensore, affidandolo a tre motivi.

Col primo motivo la ricorrente contesta che siano stati posti in essere artifici e raggiri, essenziali al reato di truffa; infatti – così sostiene – tutti i soggetti che le avevano affidato il proprio denaro erano al corrente della cessazione del suo rapporto di lavoro col Monte dei Paschi di Siena ed erano stati spinti dalla stima e fiducia che nutrivano verso la sua persona; osserva che la presentazione di falsi rendiconti non può essere considerata alla stregua di artificio o raggiro, non avendo preceduto la realizzazione del profitto nè causato l’affidamento dei fondi; nega che la condotta fraudolenta possa essere ravvisata nell’induzione all’apertura di nuovi conti correnti presso la banca Sella.

Col secondo motivo la ricorrente censura l’applicazione data al D.Lgs. n. 58 del 1998, art. 166, sostenendo di non essersi rivolta a un numero potenzialmente illimitato di soggetti, ma soltanto a tre gruppi familiari; adduce che il mandato conferitole non sempre aveva comportato l’effettuazione di servizi di investimento o di gestione collettiva del risparmio, essendosi per lo più limitato ad operazioni sul conto corrente; rileva che taluni dei fatti ascrittile sono anteriori alla cessazione del suo incarico di promotrice finanziaria presso il Monte dei Paschi; evidenzia la liceità dei servizi di mera consulenza finanziaria.

Col terzo motivo ripropone l’eccezione di prescrizione relativamente agli episodi di abusivismo anteriori al 12 maggio 2003, disattesa dalla Corte d’Appello sul presupposto – di cui contesta la correttezza giuridica – che il delitto ex D.Lgs. n. 58 del 1988, art. 166 abbia natura di reato permanente.

Motivi della decisione

Il ricorso è solo in parte fondato e va accolto per quanto di ragione.

Ciò non è a dirsi del primo motivo, la cui infondatezza si appalesa con l’osservare che il giudice di merito ha ravvisato l’adozione da parte della B. di artifici e raggiri non già nelle condotte poste in essere dopo la realizzazione dei fatti appropriativi, come la presentazione di falsi rendiconti; ma nell’essersi falsamente presentata, dopo la cessazione del suo rapporto col Monte dei Paschi di Siena, come soggetto abilitato ad esercitare l’attività di promotore finanziario e, quindi, a gestire in tale veste i risparmi delle persone da essa avvicinate in quanto già conosciute durante la sua pregressa attività. Siffatta individuazione dei mezzi fraudolenti impiegati dall’imputata per guadagnarsi la fiducia dei clienti, cronologicamente anteriori all’ottenimento della disponibilità dei loro fondi (in quanto ad esso funzionali), rende pienamente ragione della riconosciuta conformità della fattispecie al modello descrittivo di cui all’art. 640 c.p.; essa ha la sua matrice nell’accertamento dei dati fattuali rivenienti dalla valutazione dei mezzi di prova acquisiti al processo: accertamento che, in quanto sorretto da motivazione immune da vizi logici e giuridici, si sottrae al sindacato di legittimità.

Privo di fondamento è anche il secondo motivo. Giustamente ha osservato la Corte di merito che l’esercizio abusivo dell’attività di promotore finanziario si caratterizza per l’offerta al pubblico dei propri servizi di investimento e gestione collettiva del risparmio, indipendentemente dall’ampiezza della clientela concretamente raggiunta e dal numero degli investimenti effettivamente eseguiti; sicchè l’essersi la B. rivolta ad una pluralità indifferenziata di soggetti per offrire le prestazioni di cui si è detto (e non già una semplice consulenza, come sostenuto dall’imputata con deduzione argomentatamente confutata dalla Corte d’Appello), per un arco di tempo significativamente lungo, ha dato forma a quei caratteri di imprenditorialità e professionalità della condotta che, per l’appunto, qualificano la professione di promotore finanziario da essa abusivamente esercitata.

Anche sotto tale profilo la ratio decidendi posta a fondamento dell’affermazione di colpevolezza è giuridicamente corretta e ineccepibile dal punto di vista logico.

Fondato è, invece, il terzo motivo di ricorso. Non può essere, infatti, condivisa l’opinione della Corte di merito secondo cui il delitto ex D.Lgs. n. 58 del 1988, art. 166 avrebbe natura di reato permanente.

E’ nozione giuridica da ritenersi acquisita quella per cui il reato permanente richiede che alla struttura tipica dell’illecito appartenga tanto la causazione del risultato proprio del reato che integra la fase consumativa primaria, quanto il mantenimento volontario dello stato di antigiuridicità che ne è conseguito: con la conseguenza per cui, in tale ipotesi, il precetto penale presenta un duplice contenuto, che si identifica per un verso nel divieto di cagionare l’evento tipico descritto dalla norma e, per altro verso, nel comando di rimuovere lo stato di antigiuridicità già prodottosi.

Tali caratteri non si rinvengono nell’esercizio abusivo dell’attività di promotore finanziario, che invece si manifesta nella realizzazione di una serie di autonome violazioni del divieto, in ognuna delle quali si esaurisce la consumazione di un singolo illecito, collegato agli altri analoghi illeciti dall’unicità del disegno criminoso. Conseguentemente, ai fini della prescrizione, ogni singola violazione deve essere collocata nella dimensione temporale che le è propria; e ciò comporta che, nel caso concreto, debbano considerarsi prescritti tutti gli episodi risalenti a date anteriori al 15 gennaio 2004, per i quali si è ad oggi compiuto il termine prescrizionale massimo (tenuto conto degli atti interruttivi) di sette anni e sei mesi. Ugualmente è a dirsi per gli episodi di truffa che, realizzatisi fino a tutto il 14 gennaio 2004, sono rimasti esclusi dalla declaratoria di estinzione emessa dalla Corte d’Appello, in quanto posteriori al 12 maggio 2003, e sono caduti in prescrizione nel frattempo.

Nei limiti suindicati la sentenza di secondo grado va, conseguentemente, annullata senza rinvio.

Essendo da disattendere in ogni altra parte il ricorso della B., per quanto dianzi si è visto, rimane a questo punto da rideterminare il trattamento sanzionatorio per gli illeciti posti in essere dal 15 gennaio 2004 in avanti. Nell’attendere a ciò corre l’obbligo di attenersi allo schema di calcolo fatto proprio dalla sentenza impugnata e, dunque, modulare la pena base sul reato più grave, individuato in quello di cui al capo b). Detta pena viene determinata in anni uno e mesi nove di reclusione ed Euro 4.500,00 di multa; segue la riduzione di un terzo in applicazione delle attenuanti generiche, ottenendosi il risultato di anni uno e mesi due di reclusione ed Euro 3.000,00 di multa. La continuazione interna al reato sub b) incide nella misura di tre mesi di reclusione ed Euro 800,00 di multa; l’aumento di pena in continuazione esterna viene stabilito in tredici mesi di reclusione ed Euro 1.700,00 di multa per il reato – a sua volta continuato – di cui al capo a), nonchè in sei mesi di reclusione ed Euro 2.000,00 di multa per quello sub c). Il risultato che ne scaturisce, di complessivi anni tre di reclusione ed Euro 7.500,00 di multa, va ridotto nella misura di un terzo per la scelta del rito, derivandone la determinazione conclusiva della pena in anni due di reclusione ed Euro 5.000,00 di multa.

P.Q.M.

La Corte annulla senza rinvio la sentenza impugnata perchè i reati di cui ai capi a) e b) commessi sino al 14 gennaio 2004 sono estinti per prescrizione. Rigetta il ricorso nel resto e ridetermina la pena in anni due di reclusione ed Euro 5.000,00 di multa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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