Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 10-04-2012, n. 5669

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Con sentenza del 2 luglio 2007, la Corte d’Appello di Genova respingeva il gravame svolto dall’INPS contro la sentenza di primo grado che, in accoglimento delle opposizioni proposte dalla El.Da. di Roberto Risso & C. s.a.s., avverso il verbale di accertamento e la cartella esattoriale aventi ad oggetto contributi previdenziali e accessori relativi a cinque dipendenti cui era stato applicato, ai fini retributivi e contributivo, il contratto collettivo per impiegati degli studi professionali, in luogo del contratto collettivo per gli addetti al terziario (con retribuzione e contribuzione maggiore).

2. La Corte territoriale riteneva fondata la pretesa contributiva per i seguenti rilievi:

– la società di servizi El.Da. s.a.s., la cui sede coincideva con quella dello studio professionale del predetto R.R. e il cui oggetto sociale risiedeva nell’utilizzazione, a fini fiscali, previdenziali e contributivi, dei dati forniti dai clienti, elaborava contabilmente dati per gli stessi clienti dello studio professionale;

– pur nell’autonoma soggettività giuridica della società di servizi rispetto allo studio professionale, di fatto le attività dei dipendenti dello studio e dei dipendenti della società coincidevano, prevalendo, nelle prestazioni di questi ultimi, l’attività materiale di gestione dati, con l’ausilio di supporti telematici rispetto a quella di elaborazione intellettuale, in coerenza con la natura di società lucrativa del datore di lavoro;

3. Avverso l’anzidetta sentenza della Corte territoriale, la El.Da. di Roberto Risso & C. sas, ha proposto ricorso per cassazione fondato su due motivi, illustrato con memoria ex art. 378 c.p.c.. L’INPS ha resistito con controricorso. La s.p.a. Equitalia Sestri è rimasta intimata.

Motivi della decisione

4. Con il primo motivo di ricorso la ricorrente, denunciando nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 c.p.c. e art. 2909 c.c., censura la sentenza della corte territoriale per non aver dichiarato inammissibile l’appello svolto nei confronti di una sola delle due rationes decidendi poste a fondamento della sentenza impugnata, omettendo di pronunciarsi sull’eccezione formulata in sede di costituzione nel giudizio di gravame attesa la formazione del giudicato interno. Il motivo si conclude con la formulazione del quesito di diritto con il quale, in merito all’art. 112 c.p.c., si chiede alla Corte di dire se l’art. 112 c.p.c. debba ritenersi violato qualora il giudice adito ometta di pronunciarsi su un’eccezione proposta da una parte e ritenuta indispensabile alla soluzione del caso concreto; e di dire se l’art. 2909 c.c. deve essere interpretato nel senso che, qualora nella sentenza impugnata vi siano due accertamenti (motivazioni) della situazione giuridica sottoposta all’attenzione del giudice, entrambi idonei a giustificarne autonomamente le statuizioni ivi riprodotte e in sede di gravame venga proposta impugnazione avverso uno soltanto di essi, la sentenza impugnata debba ritenersi passata in cosa giudicata e quindi facente stato ad ogni effetto tra le parti; e se l’art. 2909 c.c., debba essere interpretato nel senso che qualora venga proposto appello avverso una sola ratio decidendi di una sentenza fondata su due rationes decidendi, entrambe idonee a sorreggere le relative statuizioni, il ricorso in appello debba essere dichiarato inammissibile dal Giudice di seconde cure, per il principio del ne bis in idem, in quanto la sentenza di primo grado risulta passata in giudicato e quindi non più soggetta a riesame da parte del giudice dell’impugnazione.

5. Il motivo non è ammissibile per l’inidoneità del quesito formulato a corredo della censura.

6. Con riferimento al quesito di diritto, ex art. 366-bis c.p.c., applicabile ratione temporis, trattandosi di impugnazione avverso una sentenza pubblicata dopo il 2 marzo 2006, data dalla quale si applicano le modifiche al processo di cassazione introdotte dal D.Lgs. n. 40 del 2006 e in vigore fino al 4 luglio 2009 ( L. n. 69 del 2009, art. 47, comma 1, lett. d e art. 58, comma 5; ex multis, Cass. 7119/2010; Cass. 20323/2010), questa Corte ha costantemente riaffermato che il quesito di diritto deve consistere in una chiara sintesi logico-giuridica della questione sottoposta al vaglio del giudice di legittimità, formulata in termini tali da far comprendere alla Corte di legittimità, dalla lettura del solo quesito, inteso come sintesi logico-giuridica della questione, l’errore di diritto asseritamente compiuto dal giudice di merito e quale sia, secondo la prospettazione del ricorrente, la regola da applicare, suscettibile di ricevere applicazione anche in casi ulteriori rispetto a quello deciso dalla sentenza impugnata (ex multis, Cass. 8463/2009).

7. Il quesito deve, in definitiva, investire la ratio decidendi della sentenza impugnata, proponendone una alternativa e di segno opposto (ex multis, Cass. 4044/2009).

8. In applicazione dei predetti principi, il motivo di ricorso per cassazione con cui sia denunciata, come nella specie, la violazione dell’art. 112 c.p.c., da parte del giudice di merito deve essere concluso, in ogni caso, con la formulazione di un quesito di diritto che non si limiti all’enunciazione generica e meramente ripetitiva della regola della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato, inidonea ad assumere rilevanza ai fini della riconducibilità della violazione alla fattispecie esaminata, nè può omettere di precisare su quale questione il giudice aveva omesso di pronunciare o aveva pronunciato oltre i limiti della domanda.

9. Nella specie, i quesiti espressi a corredo del motivo non si conformano ai principi sopra esposti giacchè formulati in termini assolutamente generici.

10. Inoltre il motivo si appalesa inammissibile per un ulteriore profilo, posto che ove il ricorrente denunci, come nella specie, che la sentenza d’appello abbia omesso di pronunciarsi sull’eccezione formulata in sede di costituzione nel giudizio di gravame attesa la formazione del giudicato interno, è necessario – per il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione che l’atto di appello sia trascritto in modo completo (o quantomeno nelle parti salienti) nel ricorso, così da dimostrare che nel suddetto atto di impugnazione non erano ravvisabili gli errori e la mancata attinenza dei motivi di appello alle motivazioni del giudice di primo grado indicati dal giudice del gravame, dovendosi ritenere, in mancanza, che la Corte non sia posta in grado di valutare la fondatezza e la decisività delle censure alla pronuncia di inammissibilità in quanto non abilitata a procedere all’esame diretto degli atti del merito, con conseguente rigetto del ricorso.

10. In difformità dagli esposti principi, il motivo risulta sprovvisto della riproduzione dei passaggi dell’atto di appello salienti ai fini della censura illustrata risultando il ricorso così sguarnito anche del richiamo, per relationem, ai brani della decisione di prime cure dai quali la ricorrente pretenderebbe evincere la doppia ratio decidendi della statuizione di prime cure.

12. Con il secondo motivo la ricorrente, denunciando omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un fatto controverso e decisivo per il giudizio, censura la sentenza della corte territoriale per non aver tenuto nel debito conto la pur affermata discrezionalità sulle modalità di inquadramento e classificazione dati; per aver apoditticamente evinto la prevalenza dell’attività materiale dall’oggetto sociale della società, consistente nell’elaborazione dati; per l’incoerenza logica dell’iter argomentativo ove, pur dando atto, dell’identità di attività dei dipendenti dello studio professionale e della società l’attività di questi ultimi non è stata ritenuta professionale. Il motivo si conclude con la formulazione del momento di sintesi.

13. Il motivo non è meritevole di accoglimento.

14. Secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, la deduzione con il ricorso per cassazione di un vizio di motivazione non conferisce al giudice di legittimità il potere di riesaminare il merito della vicenda processuale sottoposta al suo vaglio, bensì la sola facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico formale, delle argomentazioni svolte dal giudice di merito, essendo del tutto estranea all’ambito del vizio in parola la possibilità, per la Corte di legittimità, di procedere ad una nuova valutazione di merito attraverso l’autonoma disamina delle emergenze probatorie.

15. Per conseguenza il vizio di motivazione, sotto il profilo dell’omissione, insufficienza e contraddittorietà della medesima, può dirsi sussistente solo qualora, nel ragionamento del giudice di merito, siano rinvenibile tracce evidenti del mancato o insufficiente esame di punti decisivi della controversia, prospettati dalle parti o rilevabili d’ufficio, ovvero qualora esista un insanabile contrasto tra le argomentazioni complessivamente adottate, tale da non consentire l’identificazione del procedimento logico giuridico posto a base della decisione; per conseguenza le censure concernenti i vizi di motivazione devono indicare quali siano gli elementi di contraddittorietà o illogicità che rendano del tutto irrazionali le argomentazioni del giudice del merito e non possono risolversi nella richiesta di una lettura delle risultanze processuali diversa da quella operata nella sentenza impugnata (cfr., ex plurimis, Cass., nn. 8718/2005; 15693/2004; 2357/2004; 12467/2003; 16063/2003;

3163/2002).

16. Al contempo va considerato che, affinchè la motivazione adottata dal giudice di merito possa essere considerata adeguata e sufficiente, non è necessario che essa prenda in esame, al fine di confutarle o condividerle, tutte le argomentazioni svolte dalle parti, ma è sufficiente che il giudice, individuando le fonti del proprio convincimento e scegliendo tra le complessive risultanze del processo quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti, indichi le ragioni del proprio convincimento, dovendosi in questo caso ritenere implicitamente rigettate tutte le argomentazioni logicamente incompatibili con esse (cfr., ex plurimis, Cass., n. 12121/2004).

17. Nel caso all’esame la sentenza impugnata ha esaminato tutte le circostanze rilevanti ai fini della decisione, svolgendo un iter argomentativo esaustivo, coerente con le emergenze istruttorie acquisite (come già descritto nella parte narrativa) e immune da contraddizioni e vizi logici; le valutazioni svolte e le coerenti conclusioni che ne sono state tratte configurano quindi un’opzione interpretativa del materiale probatorio del tutto ragionevole, espressione di una potestà ropria del giudice del merito che non può essere sindacata nel suo esercizio.

18. In definitiva, il ricorso va, pertanto, rigettato. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo. Nulla spese per la parte rimasta intimata.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese, liquidate in Euro 40,00 per esborsi, oltre Euro 4.000,00 per onorari, oltre I.V.A., C.P.A. e spese generali. Nulla spese per la parte rimasta intimata.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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