Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 10-04-2012, n. 5665 Invalidi civili

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con ricorso depositato in data 3/5/07 F.M. rappresentato ex lege dalla madre R.M. conveniva dinanzi alla Corte di Appello di Milano l’INPS, l’ASL Provincia di Milano (OMISSIS) e il Ministero dell’Economia e delle Finanze, chiedendo la riforma della sentenza n 1632/2006 del Tribunale di Milano, che le aveva rigettato la domanda volta al conseguimento della indennità di frequenza.

L’appellante lamentava che il Giudice avesse rigettato la domanda sulla base della relazione del CTU che aveva ritenuto che il minore, dopo essere stato sottoposto a numerosi interventi a causa della grave malattia da cui era affetto dalla nascita, non avesse bisogno di sostegno, nel frequentare le scuole, revocatogli nell’aprile 2005.

Faceva presente che, come aveva già riferito in primo grado, il minore aveva bisogno del sostegno, indispensabile, avendo egli difficoltà persistenti a svolgere i compiti e le funzioni della propria età.

Si costituivano l’INPS e il Ministero e resistevano all’appello.

Con sentenza del 26 settembre-29 ottobre 2008, l’adita Corte d’appello, ritenuto che ricorrevano i presupposti di legge per il riconoscimento del vantato diritto, in riforma della decisione di primo grado, condannava l’INPS a pagare al F. i ratei di indennità di frequenza di cui alla L. n. 289 del 1990, con decorrenza dal giorno della revoca (19/4/2005), oltre interessi, condannando l’INPS ed il Ministero al pagamento delle spese del doppio grado e l’INPS a pagare le spese di ctu.

Per la cassazione di tale pronuncia ricorre il solo Ministero dell’Economia e delle Finanze, mentre l’INPS si è limitato a rilasciare delega in calce al ricorso notificato.

La R. e la ASL Provincia di Milano (OMISSIS) non si sono costituite.

Motivi della decisione

Con il primo motivo il Ministero ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione del D.L. 30 settembre 2003, n. 269, art. 42, convertito nella L. 24 novembre 2003, n. 326, e richiamando talune argomentazioni di Cass. 9 agosto 2004 n. 15347, deduce che nei giudizi concernenti il riconoscimento del diritto ai benefici economici per l’invalidità civile, il Ministero è presente solo ai fini di una mera partecipazione per effetto di denunzia di lite, con funzioni di controllo delle condizioni sanitarie necessarie per ottenere la prestazione richiesta, nessuna domanda potendo essere proposta contro di esso e nessuna condanna, di conseguenza, potendo essere pronunciata nei suoi confronti, neppure con riferimento alla rifusione delle spese di lite o delle spese di consulenza tecnica.

Alla qualità di parte in senso formale del Ministero dell’economia e delle finanze non corrisponde la natura di parte sostanziale del processo, atteso che esso non è titolare di una vera e propria legittimazione passiva in ordine alla prestazione da erogare, e dunque alla domanda dell’assistibile. La sua partecipazione ai predetti giudizi è giustificata solo dall’essere "soggetto informato dei fatti" con riferimento all’accertamento del requisito sanitario, il quale solitamente viene constatato in sede giudiziale mediante l’espletamento della consulenza tecnica di ufficio, ed in tale indagine il Ministero, avendo provveduto a verificare la esistenza del requisito sanitario durante la fase amministrativa, può coadiuvare l’INPS nella difesa.

Con il secondo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 91 c.p.c.. Si assume che solo l’INPS, titolare dal lato passivo del diritto controverso, può risultare soccombente nei giudizi concernenti i benefici economici per l’invalidità civile, per cui il Ministero, che non può essere soccombente in detti giudizi, neppure può essere condannato al pagamento delle spese processuali. Con il terzo motivo, il ricorrente, nel denunciare vizio di motivazione, critica la sentenza impugnata, perchè, dopo avere evidenziato che alla natura di parte necessaria del Ministero dell’Economia e delle Finanze, non corrisponde la natura di parte sostanziale del processo, afferma l’assoggettabilità della medesima Amministrazione al pagamento delle spese in solido con l’INPS, malgrado essa sia parte solo in senso formale e non in senso sostanziale.

Il ricorso è infondato, anche alla luce delle soluzioni adottate da questa Corte in analoghe occasioni (ex plurimis, Cass. n. 16691/2009).

Trattando congiuntamente i tre motivi, data la loro connessione, si deve rilevare l’inconsistenza dell’argomentazione svolta dall’Amministrazione a sostegno dell’assunto di non potere essere tenuta alla rifusione delle spese di giudizio, in quanto solo parte formale nel giudizio de quo.

Questa nozione evidenziata in contrapposizione a quella di parte in senso sostanziale, cioè con riferimento ai soggetti del rapporto sostanziale affermato, non esclude che il soggetto così individuato abbia un ruolo nel processo e sia da considerarsi, comunque, secondo la distinzione più comunemente affermata in dottrina, parte in senso processuale.

Indiscutibile è questo ruolo in considerazione dell’esplicita affermazione contenuta nella disposizione dettata dal D.L. n. 269 del 2003, art. 42, comma 1, poi convertito in legge. La norma stabilisce, infatti, al comma 1: "Gli atti introduttivi dei procedimenti giurisdizionali concernenti l’invalidità civile, la cecità civile, il sordomutismo, l’handicap e la disabilità ai fini del collocamento obbligatorio al lavoro, devono essere notificati anche al Ministero dell’economia e delle finanze… Nei predetti giudizi il Ministero… è litisconsorte necessario ai sensi dell’art. 102 c.p.c…". Con questa disposizione, così come rimarcato anche dalla sentenza impugnata, si è inteso sopperire all’inconveniente determinato dall’individuazione dell’INPS quale unico legittimato passivo nelle suddetta controversie a seguito della modifica introdotta dal D.Lgs. 31 marzo 1998, n. 112, art. 130, ente però che non era grado di svolgere alcun controllo sulle condizioni sanitarie, essendo rimasto estraneo alla fase amministrativa in cui l’accertamento doveva essere compiuto (cioè le commissioni mediche presso le ASL ai sensi del D.P.R. n. 698 del 1994).

L’ultima parte del comma 1 del citato art. 42 prevede che nei casi in cui il giudice nomina un consulente tecnico, alle indagini assiste un componente delle commissioni mediche di verifica indicato dal direttore della direzione provinciale su richiesta, formulata a pena di nullità, del consulente nominato dal giudice, componente al quale, secondo l’espressa previsione della norma, competono le facoltà indicate nell’art. 194 c.p.c, comma 2.

La presenza del Ministero dell’Economia e delle Finanze – successivamente è intervenuto il D.L. 30 settembre 2005, n. 203, art. 10 convertito nella L. 2 dicembre 2005, n. 248, che ha stabilito il subentro dell’INPS nell’esercizio delle funzioni residuate allo Stato in materia di invalidità civile, cecità civile, sordomutismo, handicap e disabilità, già di competenza del predetto Ministero – è stata, dunque, prevista come necessaria, anche se nei suoi confronti non viene spiegata alcuna domanda, essendo stata ritenuta opportuna per l’accertamento dello stato invalidante ed essendo altresì giustificata con il venir meno, a decorrere dalla data di entrata in vigore del richiamato D.L. n. 269 del 1993, dei ricorsi amministrativi avverso i provvedimenti in materia di invalidità civile, secondo la disposizione contenuta nel comma 3 del medesimo art. 42, ove pure era introdotto, e per la prima volta, un termine di decadenza per proporre la domanda giudiziale (cfr. in proposito Cass. 13 giugno 2008 n. 16047).

Connessa al ruolo di parte nel processo, è la responsabilità in ordine alle relative spese, al rimborso delle quali, in favore della parte vittoriosa, quella soccombente è condannata dal giudice con la sentenza che chiude il processo davanti a lui ( art. 91 c.p.c.), salva l’ipotesi della compensazione.

A nulla rileva il rapporto sostanziale, dovendo la soccombenza essere riferita al rapporto processuale, nè d’altra parte la richiamata pronuncia di questa Corte n. 15347 del 9 agosto 2004 contiene argomentazioni utili a contrastare la qualità di parte processuale del Ministero, pure lì confermandosi che esso è litisconsorte necessario nei giudizi indicati dal D.L. n. 269 del 2003, art. 42, comma 1, convertito nella L. n. 326 del 2003.

E non si vede perchè l’assistibile, che per far valere il suo diritto alla prestazione assistenziale, sia stato costretto a chiamare in giudizio il Ministero, litisconsorte necessario, non debba essere rimborsato anche delle spese processuali sostenute per citare tale parte, nè di converso, nel caso ove lo stesso fosse soccombente e non fosse applicabile l’ipotesi di esonero dal pagamento delle spese stabilito dall’art. 152 disp. att. c.p.c., non si dovesse fargli carico delle spese di lite da liquidare in favore dell’Amministrazione.

Non va infine trascurato di considerare il comportamento di quest’ultima che, secondo quanto emerge dalla sentenza impugnata, nell’atto di appello aveva concluso per il rigetto del ricorso proposto dalla R., oltre che per la riforma della statuizione sulle spese, così mostrando, proprio nel contrastare la pretesa avversaria, di avere quell’interesse alla causa che ad essa derivava dal ruolo di litisconsorte necessario nel giudizio promosso dall’assistibile.

Il ricorso va dunque rigettato.

Stimasi compensare le spese nei confronti dell’INPS, che si è limitato al deposito della procura al difensore, senza svolgere argomenti in favore della parte soccombente. Nulla per le spese nei confronti delle altre parti, che non hanno svolto attività difensiva.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e compensa le spese nei confronti dell’INPS; nulla nei confronti delle restanti parti.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *