Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 10-04-2012, n. 5664

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con ricorso al Tribunale di Roma C.E. esponeva di aver ottenuto il 10 novembre 1995 da WINTERTHUR ASSICURAZIONI S.p.A. e da WINTERTHUR VITA S.p.A. il mandato di agente per l’Agenzia di (OMISSIS).

Aggiungeva di aver stipulato nel 1997 con le stesse imprese assicuratrici un nuovo contratto in regime di esclusiva (unilaterale dell’agente), denominato "Patto WINTERTHUR", contenente l’integrale riproduzione dell’Accordo Integrativo Aziendale.

Soggiungeva di aver ricevuto comunicazione il 27 giugno 2000 ed il 3 luglio 2000 dalle citate imprese assicuratrici dello "……scioglimento del contratto di Agenzia per recesso dell’impresa" e di aver contestato con nota 11 luglio 2000 la validità e l’efficacia dell’indicato recesso in quanto avvenuto in violazione dell’Accordo Integrativo Aziendale allegato al contratto di Agenzia.

Tanto esposto, conveniva in giudizio le imprese WINTERTHUR ASSICURAZIONI S.p.A. e WINTERTHUR VITA S.p.A. affinchè, in primo luogo, fosse riconosciuto nullo, invalido e/o inefficace il provvedimento di recesso dal contratto di agenzia e, per l’effetto, fossero condannate entrambe le imprese convenute a ripristinare il rapporto ed a pagare, in solido o ciascuna per quanto di ragione, l’integrale risarcimento del danno da lui stesso patito;

secondariamente, affinchè fosse riconosciuto il grave inadempimento contrattuale delle medesime imprese convenute rispetto agli obblighi assunti con il "Patto WINTERTHUR" e, per l’effetto, fossero condannate entrambe le imprese convenute, in solido o ciascuna per quanto di ragione, all’integrale risarcimento del danno, comprensivo del danno emergente e del lucro cessante.

Entrambe le imprese si costituivano contestando le avverse pretese.

Con sentenza in data 9-15 aprile 2003, il Tribunale di Roma rigettava la domanda.

Tale decisione veniva confermata, con sentenza depositata il 29 aprile 2009, dalla Corte d’appello di Roma, la quale osservava che la clausola del patto Winterthur, invocata dall’appellante C. a sostegno dell’illegittimità del recesso, era da annoverare fra le cosiddette clausole programmatiche o di "tregua", inidonee a creare diritti in quanto costituenti solo esplicazione di "obiettivi politico sindacali".

Per la cassazione di tale pronuncia ricorre C.E. con tre motivi.

Resiste con controricorso la UGF Assicurazioni S.p.A. (nuova denominazione assunta dalla Compagnia assicuratrice Unipol S.p.A., quale società incorporante Aurora Assicurazioni S.p.A., già Winterthur Assicurazioni S.p.A. e Winterthur Vita S.p.A.).

Motivi della decisione

Con il primo motivo il ricorrente, denunciando violazione dell’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, in relazione agli artt. 1362, 1363, 1366 e 1367 c.c., nonchè contraddittorietà della motivazione, sostiene che l’interpretazione letterale e logico sistematica della clausola contrattuale limitatrice del diritto di recesso, presente nel contratto di agenzia "Patto Winterthur" avrebbe – contrariamente all’assunto della Corte d’appello – contenuto e natura obbligatoria nei confronti delle parti sottoscriventi il contratto, con conseguente violazione della stessa, da parte della società, che ha proceduto, nei suoi confronti, al recesso ad nutum.

Il motivo non può trovare accoglimento.

Invero, la Corte d’Appello di Roma ha correttamente interpretato il contenuto dell’accordo integrativo, individuando, nel rispetto delle norme di diritto di riferimento, la comune volontà delle parti, sulla base delle dichiarazioni contenute nell’accordo medesimo e dello spirito complessivo risultante dalle premesse dell’accordo e pervenendo, in tal modo, alla conclusione che dovesse escludersi la fondatezza della richiesta tutela di carattere reale.

Va puntualizzato, con riferimento alla norma dell’art. 1363 c.c., che la Corte d’appello non si è limitata ad una interpretazione letterale della previsione contenuta nell’accordo integrativo;

mentre, con riferimento all’art 1367 c.c., nessun dubbio ha avuto, che potesse farle propendere per una decisione volta a riconoscere un effetto giuridico obbligatorio ad una previsione contenuta in un accordo in relazione al quale la stessa Corte non aveva individuato nessuna vincolatività tra le parti, se non di carattere programmatico.

Ed invero, quanto al contenuto ed alla valenza dell’accordo integrativo aziendale, si deve sottolineare che l’asserita pattuizione contenuta nell’accordo integrativo aziendale, si presenta -come evidenziato dalla stessa Corte d’Appello di Roma sulla base della giurisprudenza di legittimità pronunciatasi in analoga fattispecie (v. Cass. n. 22165/2008)-, come una dichiarazione programmatica senza alcuno specifico valore vincolante ed a maggior ragione immediato; a riprova di ciò, nel paragrafo immediatamente precedente quello oggetto di discussione, si rimandava ad un momento successivo la discussione della disciplina del recesso unilaterale ed inoltre nessuna previsione sanzionatoria vi era nella clausola, che infatti era inserita nelle sole premesse e non nella parte dispositiva dell’accordo.

In tale operazione, la sentenza della Corte d’Appello di Roma ha passato in rassegna l’intera fattispecie sottoposta al suo esame, sia pure attraverso un analitico richiamo ad una decisione della Corte d’appello di Firenze (Sez. Lav., 19/23 ottobre 2004,n. 1149, riprodotta pressochè per intero), concernente una controversia perfettamente sovrapponibile alla presente, e l’ha valutata sulla base delle norme a cui doveva riferirsi, sia sotto il profilo della contrattazione collettiva, sia sotto il profilo dell’interpretazione contrattuale, giungendo, con ampia ed esauriente motivazione, a stabilire come, nel caso di specie, non sussistesse nessun diritto ad una stabilità del rapporto e neanche nessuna forma di tutela obbligatoria aggiuntiva, non potendosi considerare illegittima la revoca esercitata dalle due compagnie in forza di un preciso diritto previsto tanto dalle norme codicistiche che da quelle dell’ANA. In particolare, la Corte d’Appello di Roma ha ritenuto non sussistente a monte nessun diritto di stabilità, sulla base di una semplice dichiarazione programmatica che costituiva al più un impegno delle parti in ordine alla possibilità di una successiva discussione in ordine all’istituto della revoca "ad nutum". In questa prospettiva, non appare esatto sostenere che l’impugnata sentenza abbia ritenuto che il contenuto della clausola in oggetto non fosse direttamente riversato nella disciplina applicata ai singoli rapporti, poichè la Corte ha giustamente affermato che nessuna disciplina di carattere obbligatorio poteva ritenersi inclusa nei singoli rapporti, che rimanevano disciplinati, quanto alle ipotesi di cessazione dell’incarico, alle regole previste dell’Accordo Nazionale Agenti, che nessuna stabilità di rapporto prevedono.

Non ravvisandosi nell’iter argomentativo adottato dalla Corte di merito le denunciate violazzioni, la censura va disattesa.

Con il secondo motivo il ricorrente denuncia violazione dell’art. 2077 c.c., art. 1753 c.c., art. 2, comma 2 ultimo alinea dell’Accordo Nazionale del 1994; omessa o insufficiente motivazione sul punto;

violazione dell’art. 2069 c.c., relativamente all’efficacia e prevalenza dell’Accordo Collettivo Aziendale successivo rispetto all’Accordo Nazionale. In particolare, il C. lamenta che la Corte d’appello abbia, erroneamente, negato la possibilità che il contratto individuale risultasse migliorativo rispetto a quello nazionale e, così pure, che l’Accordo Collettivo Aziendale prevalesse sull’Accordo Nazionale precedentemente stipulato, disapplicandosi, in tal modo, la disciplina di miglior favore limitativa del recesso di cui all’Accordo Aziendale del 7.7.1997.

Il motivo è infondato.

Invero, la Corte territoriale non ha negato la possibilità che il contratto individuale possa risultare potenzialmente migliorativo rispetto a quello collettivo nazionale, ma si è fermata ad un livello precedente, affermando quale fosse l’esatta natura del contenuto dell’accordo integrativo, e delle premesse dello stesso.

Nella specie, pertanto, di fronte ad una semplice previsione valutata come programmatica sia per il tenore letterale, sia per la collocazione all’interno delle premesse, non poteva configurarsi alcun carattere obbligatorio e vincolante per le parti.

Con il terzo motivo, infine, il ricorrente, denunciando violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., ed omessa e contraddittoria motivazione, lamenta, in subordine, il mancato riconoscimento della somma aggiuntiva prevista dall’art. 12 bis dell’Accordo Nazionale Agenti, dovuta in tutti i casi di recesso non validamente motivato da parte dell’impresa.

Anche questo motivo va disatteso, avendo la Corte di merito esaurientemente motivato sul punto, richiamando le argomentazioni adottate dal primo Giudice. Si afferma, infatti, nella sentenza che giustamente il primo giudice ha ricordato come non possa ritenersi "… rilevante ai fini del decidere su tutte le domande proposte indagare circa la sussistenza o meno di una giusta causa del recesso, che inciderebbe solo sulla debenza o meno dell’indennità in parola, la quale…" però "… non è stata richiesta …"; il che è come dire che essendo stato in concreto azionato solo il preteso inadempimento agli obblighi derivanti dall’Accordo Integrativo Aziendale, risulta del tutto indifferente ed anzi ultroneo vagliare l’esistenza o meno di una giusta causa del recesso ad nutum che trova riferimento solo nel contesto di una specifica domanda volta all’ottenimento dell’indennità prevista dall’art. 12 bis A.N.A. (quando peraltro non è stata specificamente richiesta neppure alcuna indagine in ordine all’esistenza o meno di una giusta causa dell’intimato recesso ad nutum, con l’evidente conseguente impossibilità, dunque, di far luogo a qualsivoglia pronuncia circa la citata indennità aggiuntiva completata nell’art. 12 bis A.N.A.)".

Pertanto, la sentenza della Corte d’Appello, essendo ampiamente motivata sul punto, non merita di essere censurata per la dedotta asserita violazione in ordine alla mancata analisi di una domanda.

Per quanto precede, il ricorso va rigettato.

Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alle spese di questo giudizio, liquidate in Euro 50,00 oltre Euro 3.000,00 per onorari ed oltre spese generali, I.V.A. e C.P.A..

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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