Cass. civ. Sez. I, Sent., 10-04-2012, n. 5661

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

B.C. e D.B.E., proprietari di aree comprese nel PdZ Apparizione- (OMISSIS), sull’assunto di essersi visti occupare i terreni l’1.8.1983 ed irreversibilmente trasformare il fondo prima dello scadere della occupazione legittima (16.6.1993) e senza adozione di alcun decreto di esproprio, con citazione del 25.1.1994 convennero il Comune di Genova innanzi al Tribunale di Genova al fine di ottenere il risarcimento dei danni. Il Tribunale con sentenza 12.3.1997 rigettò la domanda sull’assunto che gli attori avevano con atto 7.2.1990 dichiarato voler addivenire alla cessione volontaria, così accettando l’acquisizione e la indennità offerta, e che avrebbero dovuto limitarsi a chiedere il pagamento del corrispettivo. I sig.ri B. – D.B. proposero appello lamentando che fosse stata definita la loro mera proposta come "accettazione della indennità offerta" e denunziando che si fosse ignorato come comunque fosse intercorsa occupazione acquisitiva. Il Comune si costituì, lamentando in via incidentale che non si fosse acceduto alla prospettazione della proposta irrevocabile. La Corte di Genova, con sentenza 18.5.2005 ha riformato la sentenza ed ha condannato il Comune a versare agli attori, per danni da occupazione acquisitiva, la somma di Euro 101.956,00 oltre rivalutazione ed interessi ed a depositare in loro favore la somma di Euro 21.350,00 per indennità di occupazione legittima.

In motivazione la Corte di Genova ha affermato: che le aree occupate il 16.6.1983 a seguito della restituzione di altre in adesione alla richiesta di asservimento a pertinenze degli immobili, si erano ridotte a mq. 2354, che i proprietari con riguardo ad esse avevano bensì dichiarato di accettare l’indennità offerta ma poi, il 27.12.1991, avevano revocato la proposta, che l’irreversibile trasformazione delle aree era occorsa allo scadere della occupazione legittima e quindi il 16.6.1993, che pertanto era indubbio che l’atto di impegno 1.2.1990 fosse puro e semplice atto preliminare alla cessione bonaria la quale, come atto pubblico, non era mai intercorsa (di essa mancando alcuna accettazione scritta), che l’atto di impegno era altresì atto unilaterale revocabile, non seguito da alcuna cessione nè da conclusione di una compravendita tra le parti, che in pratica si era quindi realizzata occupazione appropriativa la quale aveva ingenerato il contestuale credito risarcitorio, non sottoposto ad alcuna transazione; che da tanto discendeva che il credito risarcitorio andava determinato ai sensi della L. n. 359 del 1992, art. 5 bis, comma 7 bis (escludendo la decurtazione del 40% ed ammettendo l’incremento del 10%) ed andava presa in valutazione la liquidazione del CTU pari ad Euro 86.462,00 oltre a quella, oggetto di supplemento peritale, di Euro 15.494,00, per il ristoro del decremento di valore delle aree residue, per un totale di Euro 101.956,00, che del pari andava riconosciuta l’indennità di occupazione legittima per i dieci anni di durata e da calcolare sulla indennità virtuale di esproprio.

Per la cassazione di tale sentenza hanno proposto ricorso i sigg.ri B. e D.B. con atto dell’1.6.2006 al quale si è opposto il Comune di Genova con atto dell’11.7.2006 contenente ricorso incidentale, resistito da controricorso dei B. – D.B.. Il Comune ha depositato memoria finale.

Motivi della decisione

Riuniti i ricorsi ai sensi dell’art. 335 c.p.c., ritiene il Collegio che entrambi debbano essere rigettati.

Occorre preliminarmente rilevare che la res litigiosa residuata in questa sede coinvolge solo la spettanza e la quantificazione dei danni da deprezzamento dell’area non espropriata e residuata in proprietà dei B. – D.B., costoro infatti contestando nell’unico motivo del ricorso solo la decurtazione del valore venale pieno alla luce di non valutabile "vantaggio" conseguito ed il Comune, di contro, contestando in via incidentale con il primo motivo la ammissibilità di tale domanda non proposta nelle dovute sedi processuali e, con il secondo motivo, la violazione della L. n. 2359 del 1865, art. 40 perpetrata con la doppia liquidazione.

Altrettanto preliminare è poi il rilievo, correttamente sollecitato dal Comune in memoria, per il quale la sopra indicata limitazione dell’impugnazione a parte actoris non offre l’opportunità di dare ingresso alla applicazione dello jus superveniens a seguito della dichiarazione di incostituzionalità operata con la sentenza 349/2007 nei confronti della L. n. 662 del 1996, art. 3, comma 65 (introduttivo del noto comma 7 bis), che la Corte di Appello ha applicato: se, infatti, per le vicende di occupazione acquisitiva ancora esaminabili il risarcimento dell’illecito non potrebbe che essere liquidato a pieno valore venale delle aree (Cass. nn. 14939 e 15835 del 2010 e 17316 del 2011), ciò presuppone che non si sia formato il giudicato sul bene del risarcimento da occupazione acquisitiva. Nella specie, se la domanda originaria, per come interpretata dalla Corte di merito, coinvolgeva unitariamente i danni afferenti sia la perdita della proprietà sia il deprezzamento del relitto sia l’indennità di occupazione legittima, è ben certo, come in premessa notato, che in questa sede dai ricorrenti principali è contestato solo che, per determinare il danno da "relitto", si sia operata la compensatio tra danni e vantaggi indotti dalla espropriazione sostanziale, sì che nè l’an nè il quantum del risarcimento per perdita della proprietà vengono in gioco e che neanche vi è questione sul parametro di valutazione del valore della residua proprietà (esso essendo stato ricavato dai dati di mercato senza alcuna dimidiazione per l’art. 5 bis, comma 7 bis sopra richiamato).

Si esamina per primo il ricorso del Comune il cui primo motivo, attingente la stessa ammissibilità della domanda afferente il danno alla residua proprietà, presenta carattere pregiudiziale.

Ricorso del Comune.

Il primo motivo censura la avvenuta pronunzia ex officio sulla componente risarcitoria de danno da decremento del residuo di proprietà, posto che tal ristoro sarebbe stato sottoposto tardivamente alla Corte di merito alla udienza del 18.5.2000: la censura non è condivisibile. La sentenza impugnata a pag. 12 della motivazione si è espressamente fatta carico di tale eccezione e la ha disattesa con adeguata motivazione dopo aver interpretato la domanda del 19.1.1994 ed averla ritenuta certamente "comprensiva" anche del danno da perdita di valore del relitto. Il Comune con il motivo in disamina contesta la persuasività di tale interpretazione ma non denunzia la violazione dei parametri legali di interpretazione degli atti processuali nè allega alcuna specifica illogicità o contraddizione e pertanto formula espressioni di dissenso non ricevibili in sede di legittimità.

Il secondo motivo denunzia la non spettanza di alcun ristoro da decremento di valore essendo la proprietà residua costituita da immobili certamente al "riparo" da alcun dato negativo e lamenta comunque la sua parametrazione aggiuntiva al valore dell’area espropriata. Il motivo è privo di fondamento. Sotto il primo profilo non si comprende la ragione per la quale la proprietà residua, essendo edificata, non potrebbe essere attinta da danno da espropriazione parziale nè si scorge la logica della allegazione per la quale l’impatto ambientale, paesistico e di veduta cagionato dalla realizzazione della strada pubblica sulla area espropriata non dovrebbe avere influenza "dannosa" sulla residua confinante area edificata. Sotto il secondo profilo la pretesa di ritenere compatibili con l’indennizzabilità da espropriazione parziale solo alcuni criteri (quelli proposti e desunti dall’art. 40) di valorizzazione del danno e non mai quello – seguito in sentenza – della separata valutazione del danno da esproprio e del danno da decremento di valore del relitto, appare in conflitto con il principio riaffermato da questa Corte. Si è infatti precisato (Cass. 10217 del 2009) che nel caso di espropriazione parziale l’indennità può essere determinata oltre che secondo il criterio differenziale di cui alla L. n. 2350 del 1865, art. 40 anche attraverso la sommatoria "algebrica" del valore venale della parte espropriata e del minor valore della parte residua, oppure aggiungendo al valore dell’area espropriata l’ammontare delle singole perdite e cioè delle spese e dei costi aggiuntivi necessari per l’utilizzazione del residuo o adottando altri parametri "equivalenti". E la Corte di Genova ha adottato il parametro della somma tra danno da perdita e decremento "reale" (per differenza tra decremento ed incremento) della residua proprietà, quindi giudicando in puntuale corrispondenza con le possibilità offerte dal principio sopra rammentato.

Ricorso B. – D.B..

Nell’unico motivo i ricorrenti censurano per violazione degli artt. 1223 e 1341 c.c. il fatto che la Corte, recependo la relazione del CTU, abbia computato per l’area residua sia il danno sia il "vantaggio" derivante ad essa dall’opera pubblica, dimenticando che la compensano non si sarebbe potuta disporre essendo il vantaggio derivante da fatto diverso (l’opera pubblica) da quello cagionante il danno (l’occupazione acquisitiva). La censura fa leva sulla giurisprudenza di questa Corte (Cass. 6009 del 2003) per la quale il risarcimento del danno spettante al proprietario del fondo illegittimamente occupato e destinato ad opera pubblica non può trovare limitazione in relazione ai vantaggi che derivano al fondo residuo dalla realizzazione dell’opera (c.d. compensatioo lucri cum damno), posto che il danno patito dal proprietario spossessato discende immediatamente dal fatto illecito costituito dall’occupazione illegittima, in ciò esaurendosi la fattispecie lesiva del diritto dominicale, nel mentre il vantaggio, in tesi pari all’incremento di valore del fondo residuo, discende dall’esecuzione dell’opera pubblica, ossia da un fatto diverso e successivo rispetto a quello produttivo del danno. La censura non è condivisibile. Giova rammentare che questa Corte ha anche assai opportunamente precisato (Cass. 1055 del 2006) che la compensazione è ammessa le volte in cui il vantaggio acquisito dal danneggiato sia particolare e diverso da quello eventualmente goduto da altri soggetti, lesi o no dalla condotta illecita, con la conseguenza per la quale è da escludere in radice la computabilità a carico dell’espropriato del vantaggio "da opera pubblica" ma è da affermare tale computabilità nei casi in cui a favore dell’espropriato l’opera in discorso realizzi uno specifico incremento di valore in ragione della attribuzione all’area di una opportunità nuova e peculiare (una sorta di plusvalore). La Corte di Appello ha fatto capo al supplemento peritale ricavando dalle sue precise considerazioni (delle quali richiama quelle a fol 16 e segg.) il dato di un valore "aggiunto" dall’opera pubblica rispetto a quello preesistente ma inferiore, appunto per Euro 15.494,00, al decremento cagionato dall’opera pubblica. La contestazione del ricorso, che non attinge le considerazioni peritali richiamate, e formulate con riguardo all’incremento di valore correlato alle specifiche opportunità offerte alla proprietà B. – D.B., si limita (pag. 8) ad una assai generica contestazione di inadeguatezza della motivazione senza allegare le ragioni per le quali la indicazione peritale condivisa dalla Corte fosse in realtà aspecifica e, quindi, senza affermare con autosufficienza il carattere comune de vantaggio del diverso assetto viario a tutti i proprietari espropriati.

Conclusivamente, si rigettano i due ricorsi e, data la reciproca soccombenza, si compensano le spese di giudizio tra le parti.

P.Q.M.

Riuniti i ricorsi, li rigetta e compensa tra le parti le spese del giudizio.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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