Cons. Giust. Amm. Sic., Sent., 22-11-2011, n. 895

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

L’appello è rivolto all’annullamento della sentenza n. 205/2008 del TAR di Palermo, che ha rigettato il ricorso con il quale erano stati impugnati: a) il provvedimento n. 841, Sez. 15 EP dell’11.2.1992, con il quale il Comune di Palermo ha determinato in Lire 57.568.160, oltre interessi dall’1.4.1986, la somma dovuta per l’integrazione dell’oblazione relativa all’istanza di concessione in sanatoria presentata in data 30.4.1986; b) il parere espresso dalla Commissione per il recupero edilizio in data 27.1.1993 ed ogni altro atto comunque relativo, dipendente e connesso ai precedenti.

Sosteneva il ricorrente che tali provvedimenti – relativi ad un manufatto realizzato sulla base di una concessione edilizia (n. 1665 del 26.7.1978) con varianti che avevano indotto il ricorrente medesimo ad avanzare, il 30 aprile 1986, domanda di sanatoria, ma ritenuto dal Comune realizzato in realtà non solo in totale difformità dalla concessione assentita, ma anche in misura non corrispondente nemmeno a quella per la quale era stata versata la oblazione che accompagnava la domanda di sanatoria – dovessero essere annullati in quanto: a) "l’opera realizzata non può essere considerata totalmente difforme da quella progettata e sulla quale fu rilasciata la concessione edilizia", le modifiche intervenute riguardando piuttosto solo una diversa "distribuzione interna degli ambienti"; b) in quanto, comunque, in subordine, il Comune non avrebbe "considerato che la superficie totale realizzata è inferiore a mq. 800", sicché avrebbe dovuto applicare non "il coefficiente del 2% … ma quello dell’1,2 previsto dalla legge"; c) perché, in ogni caso, il provvedimento impugnato non poteva essere reso prima che fosse acquisito il prescritto nulla osta della Soprintendenza ai BB.CC.AA. (poi tuttavia successivamente rilasciato, nelle more del giudizio, così come quello del Genio Civile di Palermo).

Con memoria del 23 novembre 2007 eccepiva poi anche la intervenuta prescrizione ai sensi dell’art. 35 comma 12 della legge n. 47/1985 e insisteva per l’accoglimento del ricorso lamentando inoltre la erroneità sul piano tecnico dei calcoli eseguiti dal Comune circa superfici e misura della oblazione.

Sosteneva di contro l’Amministrazione intimata la infondatezza dei motivi di ricorso, adducendo in particolare che: a) la concessione edilizia rilasciata assentiva "una edificazione complessiva di mq. 101,60 per un volume di mc. 762, come indicato dallo stesso ricorrente nell’istanza di sanatoria presentata in data 30.4.1986"; b) che l’interessato "ha pagato, a titolo di oblazione, un importo di Lire 1.402.000, calcolato in relazione ad una asserita superficie edificata in difformità a detta concessione pari a mq. 293,99"; c) che sarebbe invece "… stato accertato che … la superficie abusivamente edificata era ben maggiore rispetto a quella indicata dal ricorrente, essendo essa in realtà estesa mq. 819,03 per un volume complessivo di mc. 1.700 circa", così configurandosi una "difformità totale" tra quanto realizzato e quanto approvato; d) che l’Amministrazione "ha determinato l’integrazione dell’oblazione dovuta dal ricorrente in base alla effettiva consistenza della edificazione abusiva e facendo applicazione della maggiorazione del 2% prevista dal 2° comma dell’art. 34 della L. n. 47.85", dunque correttamente.

Il TAR – che aveva con ordinanza collegiale n. 589 dell’11 giugno 1993 accolto l’istanza di sospensione del provvedimento impugnato – ha rigettato, con la decisione ora appellata, il ricorso ritenendo infondati gli assunti del ricorrente in ordine alla inesistenza di "totale difformità" e al ritenuto contenimento entro gli 800 mq. della sua superficie utile, mentre ha respinto l’eccezione di prescrizione avanzata.

Contro tale decisione propone appello l’originario ricorrente, che avanza i seguenti motivi: a) violazione e falsa applicazione dell’art. 4 D.L. 12 gennaio 1988 n. 2, come convertito nella legge n. 68/1988; carenza e contraddittorietà della motivazione (l’appellante contesta, in particolare, la possibilità del Comune di conseguire il conguaglio dell’oblazione per la sanatoria, per intervenuta prescrizione del relativo diritto); b) violazione e falsa applicazione della legge n. 47/1985 e della legge n. 1034/1971; carenza e contraddittorietà della motivazione (contesta l’appellante l’assunto del Giudice, secondo il quale egli non avrebbe assolto all’onere probatorio della reale consistenza delle opere realizzate); c) violazione e falsa applicazione degli artt. 31 e 55 legge n. 47/1985 e della tabella allegata; insufficienza ed erroneità della motivazione (contesta l’appellante, in via subordinata, la erroneità della determinazione della misura della oblazione dovuta legata agli erronei criteri di calcolo adottati dal Comune, che non ha avrebbe per altro giustificato quelli adottati).

Si è costituito con memoria il Comune di Palermo, che assume per contro la incensurabilità della sentenza impugnata e eccepisce anche la inammissibilità delle doglianze relative all’erroneo calcolo dell’oblazione dovuta e agli interessi, perché entrambi motivi nuovi, rispetto ai motivi di ricorso dedotti.

Motivi della decisione

L’esame dei motivi di appello può avviarsi con l’esame congiunto dei primi due, per la intima connessione degli stessi, rivolti come sono ad evidenziare la erroneità della statuizione per avere considerato il Giudice corretta la richiesta di integrazione della oblazione avanzata dalla Amministrazione nei confronti dell’appellante.

Ha ritenuto il TAR che il ricorrente non avrebbe soddisfatto all’onere su di lui incombente di "indicare in modo specifico ed analitico (anche con il supporto di adeguate rappresentazioni cartografiche e/o fotografiche), la consistenza delle opere abusivamente realizzate; tanto in relazione al profilo della difformità totale o parziale tra ciò che è stato realizzato rispetto a ciò che è stato autorizzato dalla P.A., quanto in relazione alla specifica individuazione, in fatto ed in diritto, delle superfici ritenute o meno computabili". E ciò pur riconoscendo che "nemmeno il Comune resistente produce la copia del provvedimento (richiamato nel provvedimento impugnato) con cui l’UTC avrebbe concretamente determinato il conguaglio dell’oblazione". Tra i due, il comportamento più rilevante sarebbe stato da ritenere però quello appunto del ricorrente perché era su di lui che gravava l’onere processuale della prova dell’assunto proposto, anche perché egli "ben avrebbe potuto illustrare i propri assunti avvalendosi di dati e documenti in suo possesso e nella sua più totale disponibilità)". "La stessa perizia depositata dal ricorrente – rileva il giudice – espone una superficie utile di ben mq. 504 (da qui l’evidente non corrispondenza di tale superficie con quella che sarebbe indicata nell’istanza di sanatoria), a cui si debbono aggiungere gli ulteriori 656 mq. che la perizia stessa non computa definendoli genericamente "non residenziali".

Sul presupposto che non sussisteva dunque alcuna prova o principio di prova in atti (neanche indirettamente ricavabile) per dimostrare l’erroneità del presupposto da cui muove l’Amministrazione resistente, il TAR ha considerato infondata la doglianza del ricorrente, osservando come la superficie del manufatto realizzato eccedesse gli 800 mq., con conseguente totale difformità dell’abuso non solo rispetto alla concessione edilizia (assentita per mq. 101,60), ma anche rispetto a quello del quale era stata avanzata domanda di sanatoria (mq. complessivi 293,99) e come fosse giustificata perciò l’applicazione del corrispondente coefficiente di oblazione. Si sarebbe in presenza, insomma, di un discostamento-discostamento – tra quanto realizzato dal ricorrente, quanto a suo tempo autorizzato dalla P.A. e quanto indicato nell’istanza di sanatoria – così rilevante da fare ritenere che la fattispecie non possa essere "riconducibile ad una ipotesi di semplice difformità parziale del manufatto".

Orbene, può certamente convenirsi (per la evidenza delle circostanze) con il Giudice di prime cure che il ricorrente appellante non ha fornito alcuna prova del proprio assunto circa la effettiva superficie del manufatto realizzato e deve perciò senz’altro ritenersi che non possa accogliersi sotto questo profilo la censura che egli ha mosso prima al provvedimento dell’Amministrazione e ora alla decisione del Giudice. Ma deve anche osservarsi, con l’appellante, come tutte le argomentazioni utilizzate dall’Amministrazione e dal Giudice di prime cure trascurano il dato centrale: che si era consumato cioè il diritto dell’Amministrazione per intervenuta prescrizione, essendo la richiesta stata rivolta a quasi 7 anni (11.2.1993, rispetto a 30.4.1986) dalla presentazione della istanza in sanatoria (ad onta del termine triennale previsto dall’art. 4 del D.L. n. 2/1988).

Osserva in particolare il medesimo che non può avere rilievo la circostanza che la documentazione prodotta fosse in realtà, in ipotesi, carente. Giacché se tale essa si fosse dovuta ritenere, il Comune avrebbe dovuto approfondire l’istruttoria e non invece determinare – come ha fatto – la integrazione della oblazione sulla base della documentazione esibita e comunque a sua disposizione (che è stata ritenuta dunque sufficiente allo scopo).

L’argomento non è opposto. La difesa del Comune insiste sulla incompletezza della documentazione prodotta e sulla insufficienza della presentazione della istanza alla decorrenza del termine di prescrizione (che è un diverso problema).

Consegue da tali premesse che, indipendentemente dalla fondatezza o infondatezza in merito dell’assunto circa le effettive dimensioni del manufatto, il fatto che il Comune – avvalendosi solo della documentazione disponibile (in quanto di accompagnamento della istanza) o acquisita presso terzi (atti e pareri, tra i quali quelli di organismi interni, come la Commissione per il recupero edilizio), ma senza alcuna intimazione interruttiva rivolta all’interessato – abbia proceduto alla determinazione della oblazione dovuta dopo i 3 anni a disposizione fa ritenere prescritto il proprio diritto. Giacché – diversamente argomentando – si finirebbe con il riconoscere alla Amministrazione che omettesse di soddisfare ad un onere istruttorio il potere di prolungare indefinitamente nel tempo la possibilità di emanare il provvedimento definitivo.

Non merita pertanto consenso l’argomento del Giudice, che ha ritenuto l’eccezione di prescrizione infondata, sul presupposto "che il relativo termine può decorrere solamente in ipotesi di provata completezza della documentazione allegata all’istanza di sanatoria". Non è in discussione infatti la completezza della documentazione presentata. E’ in discussione il fatto che tale completezza non è stata contestata e, soprattutto, che – nonostante essa si pretenda mancasse – la Amministrazione ha ritenuto di potere ugualmente determinare la superficie delle opere realizzate (considerando dunque ininfluente tale carenza). Perché lo ha fatto allora oltre i 3 anni a disposizione?.

Delle due l’una: o la documentazione carente era necessaria, e allora doveva essere sollecitata perché impeditiva della determinazione o non lo era, e allora la determinazione doveva intervenire nel termine previsto perché non si dovesse considerare prescritto l’esercizio del diritto dell’Amministrazione.

Constatata la insufficienza della documentazione esibita, l’Amministrazione avrebbe dovuto richiederla. Giacché se è vero che "… l’omessa presentazione della documentazione prescritta per la domanda di condono edilizio impedisce il decorso sia del termine di ventiquattro mesi per la formazione del silenzio assenso sia di quello di trentasei mesi per la prescrizione di eventuali crediti a rimborso o a conguaglio dell’oblazione versata" (cfr. CGA. 19 aprile 2002 n. 199), è vero anche che non può essere nell’arbitrio dell’Amministrazione mantenere indefinitamente aperto il procedimento, omettendo di contestare all’interessato eventuali inadempienze e mettendolo, conseguentemente, nelle condizioni di conoscere in quali tempi certi la sua vicenda potrà trovare definizione. Può certamente ritenersi onere dell’interessato produrre gli elementi necessari perché la Amministrazione possa assumere i provvedimenti di competenza, ma non può addossarsi allo stesso l’onere di produrre documenti considerati dalla Amministrazione ininfluenti (come dimostrato dalla intervenuta adozione, ciò nonostante, del provvedimento).

La censura è assorbente.

Ritiene altresì il Collegio che ogni altro motivo od eccezione di rito e di merito possa essere assorbito in quanto ininfluente ed irrilevante ai fini della presente decisione. Sussistono giusti motivi per compensare tra le parti le spese e gli onorari del giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana in sede giurisdizionale, definitivamente pronunciando, accoglie in parte l’appello proposto e, per l’effetto, annulla il provvedimento impugnato.

Compensa interamente tra le parti le spese.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità Amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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