Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 14-07-2011) 24-10-2011, n. 38261

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con ordinanza in data 10.1.2011 il Tribunale del riesame di Reggio Calabria confermava l’ordinanza in data 24.11.2010 del GIP del Tribunale di Palmi con la quale era stata disposta la custodia cautelare in carcere di G.G. in ordine ai delitti di concorso esterno nel delitto di associazione di stampo mafioso ( art. 110 c.p., art. 61 c.p., n. 9 e art. 416-bis c.p.) e corruzione ( art. 319 c.p.) perchè il predetto, Carabiniere in servizio presso la Tenenza di Rosarno, pur non facendo parte dell’associazione mafiosa denominata ‘ndrina Pesce, concorreva, insieme all’appuntato L. C., nella commissione del reato associativo, contribuendo al perseguimento delle finalità della suddetta cosca e dei singoli associati, con specifico riferimento alla salvaguardia della cosca da iniziative giudiziarie e/o di Polizia, al fine di favorire l’associazione e/o i suoi esponenti di vertice, onde poterne trarre ingiusti vantaggi o profitti, ponendo in essere le seguenti condotte:

-1) per avere acquisito notizie riservate in possesso dell’Arma dei Carabinieri su di una persona, traendo in inganno circa l’utilizzazione di tali notizie un collega in servizio presso la Compagnia Carabinieri di Villa San Giovanni, per poi riferirle all’associato R.F.;

-2) per aver tentato di far risultare, al fine di far annullare un verbale di contestazione amministrativa elevato a carico di C. C. che era stata sorpresa alla guida di un’auto priva del tagliando assicurativo, che il contratto di assicurazione – a nome di R.F. – era stata stipulato prima del controllo;

-3) per aver avvertito la cosca Pesce, e in particolare P. F., dell’esistenza di iniziative giudiziarie e/o di Polizia a suo carico.

Quale corrispettivo dei favori resi il G. aveva ricevuto da R.F. svariati vantaggi, quali:

-a) il ritrovamento di un’autovettura rubata ad altro militare;

-b) il regalo di un lettore MP3;

-c) un carico di legna da ardere per il proprio padre;

-d) l’acquisto da P.M. a prezzo favorevole di un’auto.

Fatto accertato nel giugno 2009.

La corruzione, commessa in concorso con A.L. – Carabiniere in servizio presso la Tenenza di Rosarno -, è stata contestata per aver ricevuto dalla ‘ndrina Pesce, per il tramite di R.F., un lettore MP3 ciascuno, al fine di compiere atti contrari ai doveri d’ufficio; in particolare, il G., per aver avvertito P.F. di iniziative giudiziarie e/o di Polizia a suo carico; l’ A., per aver svolto il ruolo di nuncius fra i vari sodali.

Fatto commesso in epoca prossima al 27.2.2009.

Nella prima parte dell’ordinanza sono state descritte la struttura e le caratteristiche della potente cosca dei Pesce, operante in Rosarno e strettamente collegata con il clan dei Piromalli.

P.A. era l’esponente più rappresentativo della cosca, che aveva continuato a dirigere anche quando era stato arrestato, dopo un lungo periodo di latitanza.

L’elemento indiziario di maggior peso a carico di G.G. era stato tratto da una conversazione intercettata il 16.1.2009 nella sala colloqui della Casa Circondariale di Palmi tra P. F., detenuto, e suoi parenti, tra i quali il fratello P. G., che si erano recati ad un ordinario colloquio con il predetto detenuto.

Quanto era risultato dalla suddetta conversazione era stato poi confermato da intercettazioni telefoniche delle utenze in uso al G. e da indagini compiute dalla Polizia Giudiziaria su quanto era emerso dalle disposte intercettazioni.

Il Tribunale del riesame riteneva che dal contenuto della suddetta conversazione intercettata fosse emerso chiaramente che il G., pur non essendo organicamente inserito nelle attività della cosca Pesce, svolgeva in favore di detta cosca il ruolo di informatore, comunicando alla stessa, tramite R.F. con il quale era in contatto, notizie riservate su operazioni di Polizia ed iniziative giudiziarie riguardanti i singoli associati.

Nel corso di questa conversazione P.F. era stato informato che i Carabinieri avevano effettuato una perquisizione a P.S.; P.F. aveva incaricato il fratello G. di chiedere a D. o a F. di informarsi con "questo qua di Palmi" sulle ragioni della perquisizione; poi aveva commentato che era stato sfortunato quando l’avevano arrestato, perchè nessuno dei due – questo qua o quel figliolo di Bagnara – era in servizio il giorno prima del suo arresto, perchè se uno dei due lo fosse stato, l’avrebbe avvisato, consentendogli di sfuggire all’arresto.

Secondo il Tribunale del riesame il contenuto della conversazione era chiaro ed esplicito, e non vi erano motivi per pensare che P. F. avesse detto cose non vere.

Dalle indagini compiute, era emerso che il Carabiniere di Palmi si identificava nel Carabiniere G.G. (presso la Tenenza di Rosarno vi era solo G. originario e dimorante a Palmi) e quello di Bagnara si identificava nell’appuntato L.C. (presso la suddetta Tenenza vi era solo il L. originario e dimorante a Bagnara).

L’identificazione di G. nel militare di Palmi a cui si era riferito P.F. era stata confermata dai numerosi rapporti, emersi anche attraverso le intercettazioni telefoniche, che G. aveva con R.F., affiliato alla cosca Pesce (il F. a cui si era riferito P.F. come una delle persone che si sarebbero dovute informare sui motivi della perquisizione).

Dal contenuto della conversazione, a giudizio del Tribunale del riesame, era emerso che P.F., un esponente della cosca, aveva già ottenuto informazioni riservate dai Carabinieri ai quali aveva immediatamente pensato di rivolgersi, appena venuto a conoscenza della perquisizione subita da P.S.;

significativo era anche il fatto che il fratello G., incaricato di consultare gli amici carabinieri tramite F. e D., non si era affatto sorpreso di ricevere il suddetto incarico. il Tribunale del riesame riteneva integrato anche il delitto di corruzione, nonostante il modesto valore dell’apparecchio MP3 ricevuto dal R., poichè il regalo era stato compiuto per ottenere comportamenti contrari ai doveri d’ufficio.

Quanto alle esigenze cautelari, oltre alla presunzione di cui all’art. 275 c.p.p., comma 3, non superata sia per il fatto che la cosca Pesce era ancora operante sia per il fatto che il G. non aveva rescisso i suoi contatti con la suddetta organizzazione, si metteva in evidenza nell’ordinanza la pericolosità dell’indagato, desumibile dalla modalità della condotta e dalla posizione di pubblico ufficiale dal predetto rivestita.

Avverso l’ordinanza ha proposto ricorso per cassazione il difensore di G.G., chiedendone l’annullamento per i seguenti motivi.

Dalla motivazione dell’ordinanza impugnata non risultavano chiarite le ragioni per le quali P.F. dovrebbe essere ritenuto credibile; il predetto era consapevole di essere intercettato, e pertanto veniva meno il requisito della spontaneità della conversazione.

In questa non erano stati fatti nomi e l’identificazione del ricorrente era dubbia, poichè G. non era di Bagnara; era presente in servizio il giorno prima dell’arresto di P. F.; era a conoscenza del provvedimento coercitivo a carico del predetto P., così come tutta la Tenenza di Rosarno, in quanto nei giorni precedenti P.F. aveva sequestrato la propria fidanzata, poi diventata sua moglie.

Il rapporto del ricorrente con R.F. non era basato su affari illeciti e non aveva nulla a che vedere con la cosca Pesce. R., che gestiva una stazione di servizio presso la quale si rifornivano le autovetture della Tenenza di Rosarno, era considerato una persona di fiducia e solo a partire dal maggio 2010 sarebbe entrato a far parte della cosca Pesce.

Il ricorrente utilizzava R. per acquisire informazioni sulle persone del luogo e i reciproci piaceri che i due si erano fatti erano del tutto estranei agli interessi della cosca Pesce.

Non si poteva escludere che il rapporto parentale tra P. F. e R.F. avesse indotto quest’ultimo a millantare una disponibilità del G. a fornire notizie riservate.

Nella ordinanza impugnata non era stato individuato quale contributo effettivo avrebbe dato il G. alla associazione, potenziandone le capacità operative.

Le condotte contestate apparivano semmai orientate a un favoritismo personale nei confronti del R., senza alcun rapporto con le attività dell’associazione.

Non era stato reperito alcun riscontro a quanto affermato da P. F. nella conversazione intercettata, non potendosi qualificare un riscontro il rapporto tra G. e R..

Per contro, era stato provato che il G. era in servizio il giorno prima dell’arresto di P.F..

Dalle indagini non era emerso alcun indizio che il ricorrente fosse a conoscenza della intraneità del R. a una associazione mafiosa. Il Tribunale del riesame aveva omesso di motivare sulla sussistenza dell’elemento psicologico in capo al G., il quale si sarebbe dovuto rappresentare di agevolare con la propria condotta l’associazione diretta da P.F..

Il Tribunale del riesame, con riguardo alle esigenze cautelari, illogicamente aveva preteso dal ricorrente la rescissione di ogni legame con la cosca, poichè il G. non era neppure stato accusato di essere intraneo alla associazione, e quindi non poteva provare una rescissione di legami che non vi erano mai stati.

Motivi della decisione

I motivi di ricorso sono infondati.

Il Tribunale del riesame ha ritenuto che, dal contenuto sopra riportato della conversazione del 16.1.2009 tra P.F. e P.G., emergesse in modo chiaro che il carabiniere G.G. forniva alla cosca, tramite R.F., notizie riservate che poteva apprendere nell’ambito del suo servizio, mettendo così gli aderenti alla stessa cosca in condizioni di conoscere e neutralizzare le iniziative nei loro confronti degli organi inquirenti.

La deduzione del Tribunale del riesame, anche alla luce di tutti gli ulteriori elementi acquisiti nel corso delle indagini preliminari, non appare affetta da alcun vizio di illogicità, e le censure mosse alla motivazione dell’ordinanza impugnata appaiono inconsistenti.

Non è vero, innanzi tutto, che i giudici del riesame non abbiano spiegato le ragioni per le quali il contenuto della suddetta conversazione dovesse essere considerato attendibile.

Oltre a rilevare un’innegabile spontaneità del dialogo – originato dalla notizia della perquisizione subita da P.S. – hanno ritenuto, con considerazioni logicamente ineccepibili, che se anche P.F. e P.G. potevano sospettare che il colloquio fosse sottoposto ad intercettazione, gli stessi "erano comunque convinti di adottare minime cautele (movimenti labiali e gesti codificati) idonee ad assicurare loro garanzie di riservatezza".

L’ordinanza impugnata da ragione della identificazione del G. in uno dei Carabinieri disponibili a dare notizie dei motivi per i quali era stata effettuata una perquisizione nell’abitazione di P.S.. P.F. aveva incaricato il fratello G. di far contattare "questo qua di Palmi", tramite D. o F., sulle ragioni della perquisizione, e dalle indagini compiute era risultato che presso la Tenenza di Rosarno solo G. era originario e dimorante in Palmi; inoltre era anche risultato che il predetto intratteneva stretti rapporti con F. ( R.), risultato un parente dei Pesce e aderente alla cosca.

Il ricorrente ha equivocato il contenuto dell’ordinanza impugnata – sostenendo che G. non poteva essere identificato nel militare che aveva dato notizie riservate alla cosca, poichè lo stesso non era di Bagnara.

Nell’ordinanza, infatti, il G. è identificato come "questo qua di Palmi", mentre è l’appuntato L.C. identificato nel "figliolo di Bagnara".

Il ricorrente mette in evidenza, per negare che il G. fosse disponibile a dare notizie alla cosca, che lo stesso, pur essendo risultato in servizio il giorno prima dell’arresto di P. F. e a conoscenza – come tutti i militari appartenenti alla Tenenza di Rosarno – dell’imminenza dell’operazione, non aveva fatto trapelare quanto aveva appreso, e comunque non aveva avvertito alcun esponente della cosca dell’imminente arresto di P.F..

Quanto asserito dal ricorrente è però smentito dal contenuto dell’ordinanza impugnata, nella quale si sostiene, invece, che il G. non avrebbe comunque potuto conoscere dell’esistenza del provvedimento cautelare nei confronti, tra gli altri, di P. F., poichè detto provvedimento era stato ritirato brevi manu presso la Procura della Repubblica di Palmi dal tenente S. S., comandante della Tenenza Carabinieri di Rosarno, e fino all’esecuzione custodito con la massima riservatezza all’interno del proprio ufficio.

Gli accertati stretti rapporti del ricorrente con R.F. costituiscono un indubbio riscontro al contenuto della conversazione intercettata del 16.1.2009 e, tenuto conto dell’incarico dato da P.F. al fratello di chiedere immediate notizie anche tramite F. ( R.) per conoscere le ragioni della perquisizione eseguita nei confronti di P.S., la valenza accusatoria dei suddetti rapporti non è logicamente messa in dubbio nè dal fatto che il R. apparisse una persona insospettabile nè dall’epoca in cui lo stesso è stato indagato per appartenenza all’associazione di stampo mafioso dei Pesce.

Il ricorrente sostiene che, in ogni caso, non sarebbe individuato il contributo che il G. avrebbe dato alla conservazione e al rafforzamento dell’associazione.

Secondo la giurisprudenza di questa Corte, in tema di reati associativi è configurabile il concorso cd. "esterno" nel reato in capo alla persona che, priva della "affectio societatis" e non inserita nella struttura organizzativa del sodalizio, fornisce un contributo concreto, specifico, consapevole e volontario, a carattere indifferentemente occasionale o continuativo, purchè detto contributo abbia un’effettiva rilevanza causale ai fini della conservazione o del rafforzamento dell’associazione e l’agente se ne rappresenti, nella forma del dolo diretto, l’utilità per la realizzazione, anche parziale, del programma criminoso (V. Sez. U. sent. n. 22327 del 30.10.2002, Rv. 224181).

Orbene, alla stregua del contenuto dell’ordinanza impugnata, non si può dubitare che il G., prestandosi a fornire alla cosca dei Pesce notizie riservate apprese nell’ambito del proprio servizio, abbia fornito un contributo concreto, specifico e consapevole alla conservazione e al rafforzamento della suddetta cosca che, tramite un Carabiniere in servizio nel territorio in cui operava, ha accresciuto la sua capacità di agire e di attuare il programma criminoso, anche avvalendosi del riferimento su cui poteva contare nell’ambito delle forze dell’ordine che agivano sul territorio in cui la stessa cosca operava.

Dai contenuti dell’ordinanza impugnata risulta di tutta evidenza che il ricorrente fosse consapevole del prezioso apporto che forniva alla vitalità della cosca, prestandosi a dare notizie apprese nell’ambito del suo servizio.

Con riguardo, infine, alle esigenze cautelari, appare corretto il riferimento dell’ordinanza impugnata alla presunzione dell’art. 275 c.p.p., comma 3, non superata dalla pericolosità dell’indagato, desunta dalle modalità della condotta e dalla posizione nell’ambito dell’Arma dei Carabinieri dallo stesso rivestita.

Il ricorso, pertanto, deve essere rigettato, con la conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Dispone trasmettersi, a cura della cancelleria, copia del provvedimento al direttore dell’istituto penitenziario, ai sensi dell’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1-ter.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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