Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 14-07-2011) 24-10-2011, n. 38260

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con ordinanza in data 30.9.2010 il Tribunale del riesame di Reggio Calabria confermava l’ordinanza del GIP del Tribunale di Reggio Calabria in data 4.8.2010 con la quale era stata disposta la custodia cautelare in carcere nei confronti di P.G.A. in ordine al delitto di cui all’art. 416-bis c.p., commi 1, 2, 3, 4, 5 e 6, per avere il predetto fatto parte dell’associazione mafiosa denominata ‘Ndrangheta, operante sul territorio della provincia di Reggio Calabria nonchè su quello nazionale ed estero, costituita da molte decine di locali, articolate in tre mandamenti e con organo di vertice denominato Provincia…. con la qualità di organizzatore, dirigendo e organizzando il sodalizio, assumendo le decisioni più rilevanti, impartendo le disposizioni o comminando sanzioni agli altri associati a lui subordinati, decidendo e partecipando ai riti di affiliazione, curando rapporti con le altre articolazioni dell’associazione, dirimendo contrasti interni ed esterni al sodalizio. Nella prima parte dell’ordinanza del Tribunale del riesame venivano passati in rassegna gli elementi, molti dei quali tratti da sentenza passate in giudicato, dai quali potevano desumersi l’esistenza e l’operatività di un’associazione di stampo mafioso denominata ‘Ndrangheta, avente le caratteristiche e la struttura indicate nel capo di imputazione contestato al P..

In particolare, nel corso dell’attività di indagine svolta nel presente procedimento si erano avute significative conferme che l’associazione di cui trattasi aveva un organismo di vertice denominato Provincia, composto da esponenti di rilievo della ‘Ndrangheta, dotati almeno del grado del "vangelo".

Intercettazioni effettuate nell’estate 2009 avevano consentito di individuare anche la composizione della Provincia e le cariche dei componenti:

– capo crimine: O.D. di Rosarno;

– capo società: L.A. di Reggio Calabria;

– mastro generale: G.B. di Bovalino;

– mastro di giornata: M.R. di Bovalino;

– contabile: un soggetto di Platì non identificato.

Nell’ordinanza del Tribunale del Riesame, prima di inquadrare la figura del P., si è messo a fuoco il ruolo che aveva assunto nella ‘Ndrangheta O.D..

Dalle indagini svolte nel presente processo era emerso il particolare peso che aveva nell’ambito dell’associazione il predetto O., il quale, oltre a far parte della Provincia, era uno degli esponenti più influenti della locale di Rosarno, locale che da sola poteva contare su un centinaio di uomini e che controllava tutto il mandamento tirrenico, comprendente sia la fascia costiere che la Piana di Gioia Tauro, nelle quali operavano altre numerose locali.

La partecipazione alla suddetta associazione di P.G. A. è stata desunta, in particolare, dal contenuto di conversazioni intercettate che lo stesso aveva avuto proprio con O.D., il quale aveva parlato con lui di aspetti delicati dall’associazione, evidentemente perchè entrambi ne facevano parte e P. non era considerato un semplice soldato.

Nella conversazione del 17.12.2008, svoltasi tra i predetti, O. aveva comunicato a P., tra l’altro, i ritmi con i quali l’organizzazione stava procedendo a nuove affiliazioni e si era intrattenuto sulle modalità con le quali si sale nella scala gerarchica nell’ambito della ‘Ndrangheta, riferendosi a dissidi insorti per attribuzioni di cariche. Nel corso della stessa conversazione P. aveva ricordato di aver ricevuto la carica dall’anno 1993.

In data 26.12.2008 P. era andato con altre tre persone a trovare O. e dalla conversazione intercettata si evinceva che quest’ultimo si stava adoperando per risolvere un dissidio sorto tra membri dell’associazione.

Dopo il predetto colloquio, era stato effettuato un controllo – facendolo apparire come casuale – delle persone che erano andate a trovare O., e tra loro veniva compiutamente identificato anche P.G.A., nato a (OMISSIS).

Il ruolo di vertice del P. all’interno del territorio di Fabrizia, città nella quale risiedeva il predetto, era stato desunto dai rapporti che lo stesso aveva avuto con un tale N. – il quale pretendeva di estendere i suoi poteri oltre che sulla locale in Svizzera che già controllava anche su alcune zone della Germania – in quanto il P. aveva mostrato nell’occasione di avere l’autorità per impedire a N. di estendere la propria influenza anche in Germania. Questi rapporti erano stati ricostruiti attraverso intercettazioni telefoniche del luglio 2009 disposte sia nell’ambito del presente procedimento sia dalla Polizia tedesca.

Secondo il Tribunale del riesame, la partecipazione all’associazione poteva essere desunta, oltre che da comportamenti rilevanti all’esterno quali la commissione di delitti fine, anche da comportamenti interni all’associazione, quali quelli volti a rendere più efficiente l’organizzazione, mediante la regolamentazione dei rapporti tra gli affiliati, l’attribuzione di cariche e la pianificazione dei contrasti insorti all’interno delle varie consorterie.

Nell’ordinanza venivano poi esaminate le contestazioni al quadro accusatorio mosse dalla difesa dell’indagato, con riguardo in particolare al significato delle conversazioni intercettate e alla pretesa inconciliabilità della partecipazione del P. all’associazione con la sua regolare attività di operaio forestale e con comportamenti tenuti, quali quelli di denunciare all’autorità giudiziaria danneggiamene subiti.

Quanto alle esigenze cautelari, il Tribunale rilevava l’assenza di elementi da cui desumere l’insussistenza di dette esigenze, presunte per legge ai sensi dell’art. 275 c.p.p., comma 3.

Avverso l’ordinanza del Tribunale del riesame hanno presentato distinti ricorsi i difensori di P.G.A..

L’avvocato Maria Antonietta Cestra ha chiesto l’annullamento dell’ordinanza per i seguenti motivi.

In primo luogo, ha contestato la rispondenza della sintesi della conversazione ambientale del 17.12.2008 ad opera della Polizia Giudiziaria a quanto invece era stato l’effettivo contenuto del dialogo tra O. e i suoi interlocutori.

La versione della conversazione elaborata dalla Polizia Giudiziaria era illogica, rispetto all’ipotesi di accusa, perchè non si comprendeva la ragione per la quale O. avrebbe dovuto spiegare al P., intraneo all’associazione dal 1993, i meccanismi con i quali venivano attribuite le cariche nell’ambito della ‘Ndrangheta.

La difesa aveva dato incarico ad un esperto consulente di trascrivere integralmente la conversazione in questione, il quale aveva ritenuto incomprensibili alcuni passi della stessa per la pessima qualità del materiale intercettivo e trascritto in modo diverso alcune frasi, di tal che veniva a cadere in punti qualificanti l’interpretazione che di questa conversazione aveva dato la Polizia Giudiziaria.

Illogicamente il Tribunale del Riesame aveva continuato a dar credito alla elaborazione della conversazione effettuata dalla Polizia Giudiziaria, ritenendo quest’organo più idoneo del consulente della difesa a comprendere il significato e il contenuto della conversazione di cui trattasi.

Tra l’altro, mentre la Polizia Giudiziaria aveva ritenuto che la conversazione in questione si fosse svolta solo tra l’ O. e il P., secondo il consulente della difesa, invece, gli interlocutori dell’ O. erano più d’uno.

Quindi si erano attribuite della frasi al P. senza che vi fosse un riscontro fonico che quelle frasi fossero state effettivamente pronunciate da lui.

La difesa aveva fatto trascrivere integralmente anche la conversazione intercettata del 26.12.2008 ed anche per questa conversazione, di difficile interpretazione per la cattiva qualità della registrazione, appariva diverso dalla trascrizione integrale il significato delle frasi alle quali prima il GIP nell’ordinanza cautelare e poi il Tribunale del riesame avevano dato un significato accusatorio.

Per quanto riguarda le intercettazioni telefoniche effettuate nel luglio 2009, del tutto immotivatamente si era ritenuto che il " T." a cui avevano fatto riferimento gli interlocutori di una telefonata intercettata dalla Polizia tedesca fosse P. A..

Nella stessa ordinanza cautelare, in altro episodio descritto a pag.

775, si faceva riferimento ad un " T." che era stato identificato in U.A..

Peraltro il P. di cui alle conversazioni del luglio 2009 poteva anche essere identificato in P.A., di cui si era parlato nell’ordinanza cautelare a pag. 1357 come uomo di riferimento per locali dislocate in Germania.

L’ordinanza del Tribunale del riesame aveva acriticamente aderito alla ricostruzione dei fatti contenuta nell’ordinanza cautelare, la quale aveva in toto recepito la prospettazione degli organi inquirenti.

Con un secondo motivo il ricorrente ha dedotto che gli esigui indizi raccolti a carico del P. riguardavano esclusivamente l’aspetto organizzativo di imprecisati organismi, senza alcuna indicazione dei termini nei quali il predetto si sarebbe accordato con altri soggetti per il perseguimento di un programma criminoso con il metodo mafioso.

Non chiarito sarebbe stato il ruolo del P. nell’ambito della ‘Ndragheta, anche perchè allo stesso non veniva attribuita la commissione di delitti-scopo, e quindi non era individuabile quale contributo effettivo e concreto lo stesso avrebbe dato all’associazione.

Inconsistenti apparivano, nei confronti del P., anche le aggravanti contestate con il reato associativo, poichè, se è vero che ogni locale opera in piena autonomia e che il predetto è stato incluso nella locale di Fabrizia, non risultava in alcun modo che i componenti di questa locale avessero la disponibilità di armi o che avessero in programma di assumere il controllo di attività economiche con il prezzo, il prodotto o il profitto di delitti.

Con un terzo motivo il ricorrente ha dedotto l’insussistenza di esigenze cautelari, tenuto conto della personalità dell’indagato, avanti con l’età, fortemente provato dalla esperienza del carcere, in cattive condizioni di salute e non proclive al compimento di delitti, come risultava anche dalla attestazione in data 20.1.2001 del Parroco della chiesa frequentata dall’indagato.

L’avvocato Giovanni Vecchio con un unico motivo ha denunciato la violazione della legge penale nell’interpretazione data al delitto di cui all’art. 416-bis c.p. e la motivazione illogica e contraddittoria dell’ordinanza impugnata.

Era stato attribuito al P. il ruolo di promotore e capo della locale di Fabrizia, senza che fossero stati individuati altri componenti della predetta locale.

Al P., inoltre, non erano state contestate azioni finalizzate a realizzare una serie indeterminata di delitti caratterizzate dal metodo mafioso, ma solo di aver colloquiato con O.D. in merito all’attribuzione di cariche ndranghetistiche.

Tra gli indicatori fattuali elaborati dalla giurisprudenza dai quali desumere la partecipazione di un soggetto all’associazione di stampo mafioso non vi era la mera frequentazione di un appartenente all’associazione , nel corso della quale, peraltro, non erano state attribuite cariche, ma si era semplicemente discusso in merito a presunte attribuzioni di cariche a terzi soggetti.

Dalle indagini non era mai emerso che il P. avesse fatto uso del metodo mafioso per ottenere un qualsiasi risultato nè erano emersi accadimenti avvenuti nel territorio di Fabrizia, presunta zona di competenza della locale diretta dall’indagato.

Non era stato individuato il contributo, anche minimo, che il ricorrente avrebbe dato al mantenimento in vita dell’associazione di cui trattasi e al perseguimento degli scopi della stessa.

Prescindendo dalla sussistenza dell’associazione, che al ricorrente non interessava contestare, non si erano raccolti gravi indizi del ruolo che all’interno della struttura il P. avrebbe svolto.

Non erano stati indicati, infine, elementi dai quali desumere che il P. avesse svolto nell’ambito dell’associazione un ruolo di promotore e organizzatore, dovendosi anche considerare che nulla risulta in merito ad una presunta attività di coordinamento di altri partecipanti, anche perchè nessun altro componente della presunta locale di Fabrizia è stato mai individuato.

L’avv. Cestra, in data 8.7.2011, ha presentato memoria ex art. 311 c.p.p., comma 4 nella quale ha precisato e sviluppato temi già contenuti nei motivi di ricorso. In particolare, ha sostenuto che dalla consulenza tecnica eseguita su incarico della difesa si evinceva che il P. – quando nella conversazione del 17.12.2008 si era riferito a un incarico (e non a una carica) assunto nel 1993 – si era riferito a l’incarico di capo squadra rivestito presso l’Azienda Forestale della Regione Calabria.

Inoltre, il nome del P. non era mai emerso nell’ambito di indagini svolte sul territorio di Fabrizia, come risultava da provvedimenti giudiziari indicati e allegati alla memoria.

Motivi della decisione

I motivi di ricorso sono infondati.

Il Tribunale del riesame ha dedotto il ruolo di dirigente e organizzatore di P.G.A. nell’ambito dell’associazione di stampo mafioso denominata ‘Ndrangheta dai rapporti che il predetto ha intrattenuto con uno dei suoi massimi dirigenti, O.D., e dal ruolo svolto dallo stesso P. nella vicenda riguardante un tale N., che voleva estendere i suoi poteri su "locali" della ‘Ndrangheta che operavano in Germania. Il ricorrente non contesta che esista un’associazione di stampo mafioso denominata ‘Ndrangheta nè che O.D. debba essere considerato uno degli esponenti di maggiore spicco di questa associazione (secondo l’ordinanza impugnata è stato accertato che rivestiva la carica di capo crimine nell’ambito della Provincia, cioè del ristretto gruppo dirigente di tutta la vasta organizzazione), e neppure contesta di avere avuto rapporti con il predetto O., riconoscendo anche di essere uno degli interlocutori delle conversazioni intercettate il 17 e il 26 dicembre 2008.

Contesta, invece, particolarmente, il contenuto delle trascrizioni eseguite dagli operanti e la valenza probatoria delle conversazioni in questione, sostenendo che le stesse non dimostrerebbero la partecipazione del P. alla suddetta organizzazione mafiosa.

Rileva questa Corte che le conversazioni del 17 e del 26 dicembre 2008, nel significato dato alle stesse nell’ordinanza impugnata, delineano logicamente un grave quadro indiziario a carico del ricorrente in ordine al delitto di cui all’art. 416-bis c.p., costituito da una pluralità di elementi sicuramente indicativi della partecipazione del P. all’organizzazione mafiosa denominata ‘Ndrangheta: gli stretti rapporti che intratteneva con uno dei capi dell’organizzazione; il contenuto dei colloqui con lo stesso riguardanti la distribuzione delle cariche e i dissidi insorti nell’assegnazione delle stesse; la partecipazione ad un incontro nel quale si discuteva come risolvere un dissidio sorto tra membri dell’associazione; l’ammissione dello stesso P., colta nel primo dei suddetti colloqui, di ricoprire una carica nell’ambito dell’organizzazione dall’anno 1993.

Il suddetto quadro probatorio è poi rafforzato dalla intercettazione telefonica del 5 luglio 2009 e dalle indagini svolte in collaborazione con la Polizia tedesca, dalle quali, secondo quanto risulta dall’ordinanza impugnata, emerge che il P. si è opposto alle mire espansive di un non meglio identificato N., che avrebbe voluto ottenere il controllo, che già esercitava su "locali" svizzere, anche su "locali" che operavano in Germania.

Il ricorrente sostiene che gli investigatori non avrebbero trascritto in modo corretto le conversazioni intercettate e che ne avrebbero travisato il reale significato, adducendo a riprova i risultati di una consulenza tecnica fatta eseguire dai difensori dell’indagato.

Ovviamente non è compito di questa Corte di legittimità esaminare le intercettazioni e stabilire quali siano le esatte parole pronunciate durante le conversazioni intercettate.

Può e deve però rilevare che il Tribunale del riesame ha preso in esame la suddetta deduzione della difesa, dando alla stessa una risposta che appare ineccepibile sotto l’aspetto logico giuridico.

A fronte di una consulenza che ha messo soprattutto in risalto la cattiva qualità della registrazione e la difficile comprensione di molti passaggi, il Tribunale del riesame ha ritenuto che fosse attendibile la trascrizione eseguita a cura degli organi investigativi, in quanto gli stessi erano avvezzi alle espressioni utilizzate dai soggetti indagati e in grado di capire e correttamente trascrivere espressioni apparentemente incomprensibili anche perchè esposte in dialetto, aggiungendo che l’interpretazione offerta dalla difesa attraverso la consulenza tecnica, invece, rendeva le parole pronunciate prive di senso logico nel contesto. Anche con riguardo agli argomenti dai quali il Tribunale del riesame ha desunto il ruolo di dirigente ed organizzatore del P., nell’ambito della suddetta organizzazione criminale, non si rinvengono illogicità, contraddizioni o mere congetture.

Detto ruolo è stato, infatti, desunto non solo dai rapporti intrattenuti con un capo del sodalizio criminoso e dal coinvolgimento in questioni che non riguardano i semplici "soldati" dell’organizzazione, ma anche dal significativo intervento già ricordato del P. nella vicenda del non meglio identificato N., poichè solo un dirigente dell’associazione aveva il potere di limitare le competenze di altro dirigente.

Questa Corte non ha il compito di appurare se il " T." della suddetta vicenda potrebbe identificarsi, in via di mera ipotesi, con altra persona indicata nei motivi di ricorso, una volta verificato che l’identificazione nell’odierno indagato è avvenuta nell’ordinanza impugnata sulla base di solidi elementi probatori, quali intercettazioni di conversazioni telefoniche ed indagini eseguite in collaborazione con la Polizia tedesca.

In punto di diritto, non ha alcuna rilevanza ai fini dell’attribuzione del delitto di cui all’art. 416-bis c.p. il fatto che al P. non siano stati contestati reati compiuti in esecuzione del programma criminoso dell’associazione, essendo dimostrativo della sua partecipazione all’organizzazione criminosa anche lo svolgimento di un ruolo interno volto a rendere più efficiente e meglio organizzata l’associazione di cui trattasi.

Il ricorrente ha contestato la sussistenza di aggravanti riportate nel capo di imputazione, ma a proposito di organizzazioni delle dimensioni e della potenza di Cosa Nostra o della ‘Ndrangheta la giurisprudenza di questa Corte ha stabilito, per quanto riguarda la circostanza aggravante di cui all’art. 416 bis cod. pen., comma 6 (reimpiego del profitto dei delitti nelle attività economiche di cui gli associati hanno il controllo), che la stessa ha natura oggettiva e va riferita all’attività dell’associazione e non necessariamente alla condotta del singolo partecipe, il quale ne risponde per il solo fatto della partecipazione, dato che – appartenendo da anni al patrimonio conoscitivo comune che "Cosa Nostra" opera nel campo economico utilizzando ed investendo i profitti di delitti che tipicamente pone in essere in esecuzione del suo programma criminoso – un’ignoranza al riguardo in capo ad un soggetto che sia a tale organizzazione affiliato è inconcepibile (V. Sez. 2 sent. n. 5343 del 28.1.2000, Rv. 215908).

Anche per quanto riguarda l’aggravante prevista dall’art. 416-bis c.p., comma 4, la giurisprudenza di questa Corte ha più volte ribadito che la stessa è configurabile a carico di ogni partecipe che sia consapevole del possesso di armi da parte degli associati o lo ignori per colpa. Con riferimento alla organizzazione mafiosa denominata "Cosa Nostra", ha poi ritenuto che la stabile dotazione di armi di detta organizzazione costituisca fatto notorio non ignorabile (V. Sez. 1 sent. n. 5466 del 18.4.1995, Rv. 201650 e sent. n. 13008 del 28.9.1998, Rv. 211901).

Tenuto conto della presunzione prevista dall’art. 275 c.p.p., comma 3, il Tribunale del riesame ha adeguatamente motivato l’insussistenza di elementi che lascino ritenere superata tale presunzione; e gli elementi indicati nei motivi di ricorso (personalità dell’indagato, età, cattive condizioni di salute, attestazione del parroco) non appaiono idonei, prima facie, a superare la presunzione di pericolosità stabilita dalla legge, in presenza di gravi indizi in ordine al delitto de quo.

Il ricorso, pertanto, deve essere rigettato, con la conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Dispone trasmettersi, a cura della cancelleria, copia del provvedimento al direttore dell’istituto penitenziario, ai sensi dell’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1-ter.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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