Cass. civ. Sez. I, Sent., 10-04-2012, n. 5656 Prelazione e riscatto

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza n. 5255/93 confermata dalla Corte d’appello di Napoli e quindi con sentenza della Cassazione n. 8369/1998, il Tribunale di Napoli accoglieva la domanda di riscatto L. n. 392 del 1978, ex artt. 38 e 39, proposta dalla società Gruppo Cinque s.r.l., conduttrice di un immobile commerciale in (OMISSIS), e dichiarava inefficace l’atto di vendita del locale stipulato in data 15.6.90 tra B.A.M. e R.M., rispettivamente alienante ed acquirente del cespite. Nel contempo dichiarava la surrogazione soggettiva della società attrice in sostituzione del R..

La società Gruppo Cinque, depositata la somma di L. 120.000.000, necessaria per l’esercizio del riscatto, chiedeva quindi al Tribunale di Nola la convalida dell’offerta reale per mancata accettazione del prezzo da parte del R.. Questi, ritualmente costituito, eccepiva la decadenza della società dall’esercizio dell’azione di riscatto per esser stata pretermessa in quella causa la consorte A.C., comproprietaria dell’immobile acquistato in regime di comunione legale.

Il Tribunale di Nola, con sentenza n. 1577/2003, convalidava l’offerta reale, e la decisione, impugnata dal R. innanzi alla Corte d’appello di Napoli veniva riformata con sentenza n. 115/2010 essendo stata l’offerta reale ritirata dal curatore del fallimento della società istante, intervenuto nelle more del giudizio.

In pendenza di questo giudizio, con contratto del 4 aprile 2000, la società Gruppo Cinque alienava il cespite in favore dei sigg.

G.G., G.P. e M.P..

Con successivo atto del 18 luglio 2000 A.C. citava innanzi al Tribunale di Napoli le parti del menzionato contratto ed il MPS per sentir dichiarare l’inefficacia nei suoi confronti della sentenza che aveva accolto il retratto esercitato dalla società alienante, essendo stata essa pretermessa in quel giudizio nonostante avesse veste di litisconsorte necessaria essendo comproprietaria del cespite controverso in regime di comunione legale, e per l’effetto chiedeva dichiararsi l’inefficacia del contratto di compravendita del locale e dell’ipoteca iscritta a favore del Monte dei Paschi di Siena.

Integrato il contraddittorio nei confronti delle parti del giudizio di riscatto, il Tribunale di Napoli con sentenza n. 7746/2004 rigettava la domanda dichiarandola inammissibile, in quanto carente dell’illustrazione delle ragioni che l’attrice avrebbe dovuto e potuto esporre nel giudizio di riscatto proposto dalla società Gruppo Cinque nei soli confronti del suo coniuge R.M., rilevando, altresì, che il mezzo d’impugnazione attivato non fosse sorretto da esigenze di tutela del diritto sostanziale della opponente, ma rivolto ad ottenere l’annullamento della sentenza senza plausibile ragione di merito.

La statuizione veniva impugnata innanzi alla Corte d’appello di Napoli dalla A., che deduceva l’inopponibilità nei suoi confronti della sentenza di riscatto siccome pronunciata nei soli confronti del marito nonostante questi avesse acquistato il locale in regime di comunione legale, la nullità dell’atto di compravendita controverso perchè stipulato in frode delle sue ragioni, e la legittimità dell’opposizione di terzo da essa proposta.

La Corte territoriale, ritenuto che la A. avesse proposto opposizione di terzo ordinaria fondata sulla violazione del litisconsorzio necessario che di per sè è causa di pregiudizio, con sentenza n. 2626 depositata il 1 settembre 2009 e notificata il 16 dicembre 2009, ha accolto il gravame dichiarando l’inefficacia nei confronti della A. sia della sentenza n. 5255/1993 del Tribunale di Napoli che dell’istrumento di compravendita per notaio De Vivo del 4.4.2004 n. rep. 61791.

Avverso quest’ultima decisione G.G. ha infine proposto ricorso per cassazione sulla base di due motivi resistiti dalla sola A. con controricorso, ulteriormente illustrato con memoria difensiva depositata ai sensi dell’art. 378 c.p.c.. Gli altri intimati non hanno svolto difese.

Motivi della decisione

Col primo motivo il ricorrente denunzia violazione e falsa applicazione degli artt. 99, 112, 345 e 404 c.p.c., ed ascrive alla Corte territoriale errore consistito nell’aver qualificato opposizione di terzo l’azione proposta dalla A. che di contro aveva ad oggetto mera domanda d’accertamento, ed in quanto tale era inammissibile siccome mirava alla rimozione della cosa giudicata. Con richiamo all’arresto delle S.U. n. 11092/2002, rileva che la domanda originaria mirava alla declaratoria d’inefficacia del giudicato e non alla nullità, effetto tipico dell’accoglimento dell’opposizione di terzo. Soggiunge che deporrebbero in tal senso l’omesso riferimento nelle conclusioni rassegnate nella domanda originaria al merito della vicenda, l’omessa chiamata in giudizio delle parti del giudizio di riscatto, pur necessarie, la richiesta di mero accertamento e non di nullità della surroga. Di qui l’errore della Corte del merito, che ha dichiarato d’ufficio la nullità del giudicato anche nei confronti delle altri parti non citate in giudizio.

Col secondo motivo lamenta inoltre che la Corte d’appello avrebbe erroneamente attribuito alla A. la qualità di parte necessaria del giudizio di riscatto, che non necessariamente va invece riconosciuta al coniuge in regime di comunione. Richiama a conforto il precedente delle Sezioni Unite n. 9660/2009 secondo cui Qualora uno dei coniugi, in regime di comunione legale dei beni, abbia da solo acquistato o venduto un bene immobile da ritenersi oggetto della comunione, il coniuge rimasto estraneo alla formazione dell’atto è litisconsorte necessario in tutte le controversie in cui si chieda al giudice una pronuncia che incida direttamente e immediatamente sul diritto, mentre non può ritenersi tale in quelle controversie in cui si chieda una decisione che incide direttamente e immediatamente sulla validità ed efficacia del contratto. Pertanto, in riferimento all’azione revocatoria esperita, ai sensi sia dell’art. 66 che della L. Fall., art. 67, in favore del disponente fallito, non sussiste un’ipotesi di litisconsorzio necessario, poichè detta azione non determina alcun effetto restitutorio nè traslativo, ma comporta l’inefficacia relativa dell’atto rispetto alla massa, senza caducare, ad ogni altro effetto, l’atto di alienazione".

La controricorrente replicai alle censure deducendo anzitutto l’inammissibilità del ricorso per sopravvenuta carenza dell’interesse del ricorrente alla sua definizione a seguito della pronuncia della Corte d’appello di Napoli n. 115/2010 che darebbe atto della rinuncia della ricorrente, conduttrice del cespite controverso, al riscatto. Nel merito deduce l’infondatezza delle censure esposte nei motivi.

Venendo in rilievo in linea preliminare, l’eccezione d’inammissibilità del ricorso deve essere respinta non riferendosi il giudicato richiamato alle questioni dibattute in questa sede.

In ordine al merito, il primo motivo appare inammissibile dal momento che la qualificazione della domanda rientra nei poteri del giudice del merito, che in narrativa ha dato atto che anche il tribunale assunse il giudizio attivato in quel tipo d’impugnazione ora contestato. La sentenza impugnata tratta infatti della questione d’ammissibilità dell’opposizione per mancata deduzione del pregiudizio sostanziale, ma non accenna ad alcuna discussione sulla natura del mezzo attivato. La questione rappresentata risulta pertanto introdotta per la prima volta in questa sede, ed in quanto nuova non merita ingresso.

Il secondo motivo deduce invece fondatamente il vizio della decisione impugnata per aver accolto l’opposizione della A. fondandola sulla mera ravvisata non integrità del contraddittorio instaurato nel giudizio di riscatto esercitato dalla conduttrice nei confronti del solo suo coniuge, unico stipulante l’atto d’acquisto dedotto in causa. Occorre invero rilevare che, secondo quanto aveva già correttamente rilevato il giudice di primo grado che aveva dichiarato inammissibile la domanda proposta dalla A. perchè basata sulla sola questione di rito, l’opposizione di terzo proposta da un litisconsorte necessario pretermesso non può arrestarsi alla sola declaratoria di nullità del giudizio celebrato senza la sua partecipazione, che non arreca alcun sensibile vantaggio, ma deve investire il merito delle questioni dibattute e trattate in quel giudizio. L’art. 404 c.p., comma 1, prevede infatti che il rimedio è esperibile dall’opponente "quando la decisione pregiudica i suoi diritti" intendendo riferirsi alla sfera soggettiva sostanziale che riceve pregiudizio dalla decisione opposta i cui effetti si chiede di rimuovere, e dunque postula non solo la fase rescindente, tesa all’accertamento del vizio, ma anche la fase rescissoria, che rimossa quella causa, introduca l’indagine sulla questione destinata a ripercuotersi su quella sfera soggettiva asseritamente pregiudicata.

Questa costruzione è stata emendata erroneamente dalla Corte d’appello in contrasto con la consolidata, giurisprudenza, da ultimo confermata dalle sezioni unite nella sentenza n. 17 del 2011, secondo cui, interesse a proporre opposizione di terzo e merito, consistente nell’impugnazione di una decisione che si assume erronea, sono strettamente connessi, col corollario che, constatata l’inefficacia della sentenza opposta nei confronti del terzo, per non esser stato questo parte nel procedimento in cui è stata pronunciata, "deve svolgersi la fase rescissoria comportante necessariamente il riesame della decisione che ha costituito la ragione dell’opposizione". Le Sezioni unite richiamano a fondamento di tale esegesi il principio ripetutamente enunciato da questa Corte anche a sezioni unite in materia di appello, ma applicabile ad ogni tipo di impugnazione secondo cui "l’impugnazione con la quale l’appellante si limiti a dedurre soltanto i vizi di rito avverso una pronuncia, che abbia deciso anche nel merito in senso a lui sfavorevole è ammissibile solo ove i vizi denunciati comporterebbero, se fondati, una rimessione al primo giudice ai sensi degli artt. 353 e 354 cod. proc. civ.; mentre nelle ipotesi in cui, il vizio denunciato non rientri in uno dei casi L tassativamente previsti dagli artt. 353 e 354 cit., è necessario che l’appellante deduca ritualmente anche le questioni di merito, con la conseguenza che, in tali ipotesi, l’appello fondato esclusivamente su vizi di rito dovrà ritenersi inammissibile, oltre che per difetto di interesse, anche per non rispondenza al modello legale di impugnazione (Cass. nn. 2053/2010, 1199/2007, 19159/2005, S.U. 12541/1998). L’opposizione di terzo occorre aggiungere, cui non è evidentemente applicabile il rinvio al primo giudice ex art. 354 c.p.c., al pari però dell’ipotesi prevista dall’art. 344 c.p.c. che legittima l’intervento dei terzi in appello, è pertanto esperibile solo da parte di chi faccia valere il proprio diritto autonomo incompatibile col rapporto giuridico già accertato in sentenza e quindi ne sia pregiudicato pur non essendo destinatario degli effetti diretti del giudicato. Dal momento che "l’interesse ad agire, necessario anche ai fini dell’impugnazione del provvedimento giudiziale, va apprezzato in relazione alla utilità concreta derivabile alla parte dall’eventuale accoglimento dell’impugnazione e non può consistere in un mero interesse astratto ad una più corretta soluzione di una questione giuridica, non avente riflessi pratici sulla decisione adottata" (Cass. nn. 15353/2010, 29766/2011), va dunque dichiarata l’inammissibilità dell’opposizione qualora, tesa a rimuovere la decisione per un vizio processuale, non deduca nel contempo una situazione incompatibile in concreto con quella accertata nella sentenza denunciata, e non contenga richiesta al giudice di riesame della questione di merito, risolta in presenza di quella causa.

Nella specie, secondo quanto emerge pacificamente dalla lettura degli atti del presente giudizio, la A. ha fatto valere con l’opposizione la sola violazione del litisconsorzio necessario, omettendo qualsiasi difesa attinente al merito delle questioni trattate nel giudizio conclusosi con la sentenza opposta. La mera denuncia di quella lesione, non accompagnata dall’esposizione delle eventuali eccezioni di merito in cui si sarebbe concretato il suo evocato diritto a contraddire alla domanda di riscatto della conduttrice dell’immobile di cui si era reso acquirente il coniuge, in sostanza ha mirato ad una pronuncia solo rescindente, priva di rilievo pratico, che non ha specificato e da cui non è dato individuare quale danno la statuizione abbia in concreto arrecato alìesercizio dei suoi diritti, nè in che modo la sua mancata partecipazione a quel giudizio abbia inciso sulla definizione nel merito di quella lite secondo quanto avrebbe potuto rappresentare al giudicante se fosse stata convenuta in quel giudizio. E’ pertanto sicuramente errata la decisione impugnata che, impostata sulla mera rilevata lesione del diritto della A. all’integrità del contraddittorio nei suoi confronti, non ha attribuito rilievo a siffatta omissione e, correggendo erroneamente la precedente pronuncia, argomentata invece in senso assolutamente coerente alla riferita costruzione esegetica, ha finito in sostanza con l’attribuire all’opponente, per la sua mera qualità di litisconsorte necessaria pretermessa, la facoltà di rimuovere il giudicato senza verificare se vi fosse il suo concreto interesse ad ottenere una diversa pronuncia nel merito.

L’unicità del rapporto sostanziale, che non poteva "esistere che in un solo modo rispetto a tutti i partecipanti", comportava la stretta inscindibile connessione tra l’interesse a proporre l’opposizione di terzo ed il merito, dunque la trattazione delle due fasi, rescindente e rescissoria, v’in quanto solo l’accertata sussistenza di un diritto del terzo, incompatibile con la sentenza opposta, può dar luogo al pregiudizio che fa sorgere l’interesse e la stessa legittimazione ad opporsi". Deve per l’effetto essere cassata senza rinvio, atteso che l’opposizione di terzo proposta dalla A. era inammissibile. Le spese del presente giudizio, liquidate come da dispositivo, seguono il principio della soccombenza; quelle delle fasi di merito vengono invece compensate per l’intero atteso il contrasto interpretativo enunciato nelle divergenti pronunce emesse nel loro seno.

P.Q.M.

La Corte:

accoglie il ricorso nei sensi di cui in motivazione e cassa senza rinvio la sentenza impugnata. Condanna la controricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità liquidandole in complessivi Euro 6.200,00 di cui Euro 200,00 per esborsi oltre spese generali ed accessori di legge e compensa per l’intero le spese delle fasi di merito.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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