Cass. civ. Sez. I, Sent., 10-04-2012, n. 5654 Divorzio

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza definitiva in data 16/01/2007, preceduta da sentenza non definitiva del 02/11/2004, che aveva pronunciato lo scioglimento del matrimonio tra V.E. e S.R., il Tribunale di Roma disponeva affidamento della figlia minore delle parti, C., alla madre, con contributo al mantenimento da parte del padre; rigettava la domanda di assegno divorzile a favore della V., nonchè le reciproche domande di assegnazione della casa coniugale.

Proponeva appello la V.. Costituitosi il contraddittorio, il S. ne chiedeva il rigetto. La Corte di Appello di Roma, con sentenza 16/04/- 08/07/2009, in parziale accoglimento dell’appello, condannava il S. a corrispondere assegno divorzile a favore della moglie, cui pure assegnava la casa coniugale; rigettava la domanda di questa, volta alla corresponsione a suo favore di quota di indennità di fine rapporto percepita dal marito.

Ricorre per cassazione la V., sulla base di un unico motivo.

Resiste, con controricorso, il S., che pure propone ricorso incidentale, sulla base di tre motivi.

La ricorrente principale ha depositato memoria per l’udienza.

Motivi della decisione

Vanno preliminarmente riuniti i ricorsi ai sensi dell’art. 335 c.p.c..

Con un unico motivo la ricorrente principale lamenta violazione e falsa applicazione della L. n. 898 del 1970, art. 12 bis, circa il diritto del coniuge titolare di assegno di divorzio a quota di indennità di fine rapporto, percepita dall’altro coniuge.

Il motivo presenta profili in parte di infondatezza in parte di inammissibilità.

Va precisato che, ai sensi del predetto art. 12 bis, il coniuge nei cui confronti sia stata pronunciata sentenza di divorzio, se non passato a nuove nozze e in quanto sia titolare di assegno divorzile, ha diritto ad una percentuale dell’indennità di fine rapporto (pari al 40% dell’indennità totale riferibile agli anni in cui il rapporto di lavoro è coinciso con il matrimonio), percepita dall’altro coniuge all’atto di cessazione del rapporto di lavoro, anche se l’indennità venga a maturare dopo la sentenza. La norma da una definizione necessariamente generica, e, nella nozione di indennità, va sicuramente ricompreso qualsiasi trattamento di fine rapporto, indipendentemente dalle espressioni usate, nei diversi settori, dal legislatore. Questa Corte (Cass. N. 28874 del 2005) ha avuto modo di precisare che è ricompresa pure l’indennità di risoluzione di rapporto di agenzia, essendo determinante l’incremento patrimoniale prodotto nel corso del rapporto dal lavoro dell’ex coniuge, che si è giovato del contributo indiretto dell’altro coniuge.

Come si è detto, presupposto per la corresponsione è il godimento dell’assegno di divorzio da parte del coniuge: secondo una linea coerente privilegiata dal legislatore, presupposto dell’assegno, e di ogni altro beneficio che il coniuge possa ottenere: quota di indennità di fine rapporto, pensione di reversibilità, assegno a carico dell’eredità è "l’inadeguatezza dei mezzi", ai sensi dell’art. 5, comma 6 L. divorzio.

Sussiste diritto "anche" se l’indennità venga a maturare dopo la sentenza e ciò significa che essa potrebbe pure maturare prima.

Escluso che sussista diritto se il lavoratore avesse riscosso l’indennità durante la convivenza familiare, neppure esso sorge durante lo stato di separazione: legittimato alla domanda è il coniuge divorziato, non quello separato. Anteriormente alla separazione, è da ritenere che l’indennità, quale provento dell’attività separata del coniuge, rientrerebbe nella comunione dei beni (ove i coniugi avessero scelto il regime legale) ma solo allo scioglimento di questa (e dunque, tra l’altro, al momento della separazione personale, ai sensi dell’art. 191 c.c.).

Si può dunque ritenere che l’indennità possa maturare nel corso del procedimento di divorzio o successivamente. E’ palese, per quanto si è detto, la volontà del legislatore di ricondurre il diritto alla quota di indennità a quello all’assegno divorzile che sorge, ove spettante, contestualmente alla domanda di divorzio, benchè esso venga determinato e risulti esigibile solo dal momento del passaggio in giudicato della sentenza. E va pure ricordato l’art. 4, comma 10 Legge divorzio,in virtù del quale gli effetti patrimoniali del divorzio stesso possono retroagire al momento della domanda (al riguardo Cass. N. 21002 del 2008; n. 19046 del 2005). In tale prospettiva, l’evidente connessione tra la domanda di attribuzione di una quota del trattamento di fine rapporto e quella di assegno divorzile, giustifica la proposizione della prima nell’ambito del procedimento di divorzio, risultando contrario al principio di economia processuale esigere che, nel caso di liquidazione dell’indennità, la domanda di attribuzione della quota debba proporsi mediante un giudizio autonomo tra le stesse parti (al riguardo Cass. N. 27233 del 2008).

Va, in tal senso, corretta la motivazione della sentenza della Corte di Appello, là dove essa precisa che il S. ha percepito il trattamento in un arco temporale compreso tra il 2001 e il 2004,e cioè prima del passaggio in giudicato della sentenza di divorzio, pubblicata il 2/11/2004. Per quanto si è sopra osservato, sicuramente l’indennità può maturare prima del passaggio in giudicato di tale sentenza, purchè ciò avvenga dopo la proposizione della domanda. E’ al momento della "maturazione" che va fatto riferimento (come indica letteralmente l’art. 12 bis), e cioè a quello dell’esigibilità del relativo diritto, a nulla rilevando eventuali pagamenti differiti o rateizzati. E’ infondato dunque il motivo, là dove si sostiene che il momento di riferimento debba essere quello dell’ultimata percezione.

Il motivo presenta altresì gravi profili di non autosufficienza (e dunque di inammissibilità) perchè non indica concretamente il momento della maturazione, facendo un generico riferimento alla "percezione " tra il 2001 e il 2004, mentre la proposizione della domanda risale al 2003.

Conclusivamente va rigettato il motivo, apparendo i profili di infondatezza prevalenti su quelli di inammissibilità, e, conseguentemente, va rigettato il ricorso.

Quanto al ricorso incidentale, va precisato che esso non appare inammissibile, come sostiene la ricorrente principale, ai sensi dell’art. 360 bis c.p.: il ricorrente incidentale sollecita semmai una diversa valutazione degli orientamenti giurisprudenziali di questa Corte.

I primi due motivi attengono all’assegnazione della casa coniugale:

con il primo, si lamenta vizio di motivazione nonchè violazione dell’art. 41 Cost., artt. 1372 e 1373 c.c., con il secondo vizio di motivazione e falsa applicazione del combinato disposto dell’art. 155 quater c.c. e L. n. 54 del 2006, art. 4, comma 2, sostenendo che l’impegno comune dei coniugi alla vendita della casa coniugale doveva necessariamente escludere l’assegnazione di essa alla moglie.

Si deve innanzitutto prescindere dal riferimento specifico al contenuto e ai limiti della sentenza n. 24321 del 2007 di questa Corte, resa tra le medesime parti in procedimento di modifica delle condizioni di separazione, non essendo stata proposta eccezione alcuna di giudicato esterno.

Va invece del tutto condiviso il principio generate sostenuto da tale pronuncia, circa la piena compatibilità tra un impegno dei coniugi alla vendita e la richiesta di una delle parti, in contraddicono con l’altra, di assegnazione della casa coniugale. E infatti tale assegnazione non incide certo sul diritto di proprietà e sulla facoltà di alienazione; viene disposta preferibilmente a favore del coniuge affidatario (o collocatario) dei figli, ma solo fino alla maggiore età o, successivamente, all’autosufficienza economica di questi; il provvedimento, sussistendo determinati presupposti, è opponibile ai terzi a seguito di trascrizione sui registri immobiliari. Non ne consegue dunque, com’ è evidente, una giuridica impossibilità di alienazione, ma semmai soltanto una maggiore difficoltà "economica" di rinvenire un acquirente.

Del resto la casa viene assegnata, a tutela del preminente interesse dei figli (per tutte Cass. N. 23591 del 2010). E il Giudice a quo fornisce a riguardo una motivazione adeguata e non contraddittoria, considerando la condizione della V., quale affidataria esclusiva della figlia minore, che ha sempre vissuto nella medesima abitazione, divenuta così per lei luogo privilegiato di interessi e relazioni (cui l’art. 155 quinquies c.c. attribuisce netta preminenza rispetto alle ragioni della proprietà).

Con il terzo motivo, il ricorrente incidentale lamenta vizio di motivazione nonchè violazione dell’art. 5, comma 6 legge divorzio, nonchè dell’art. 2697 c.c. e art. 115 c.p.c., in punto assegno divorzile. Lamenta il ricorrente che il giudice a quo non abbia fornito indicazione alcuna sul tenore di vita goduto durante la convivenza matrimoniale, al fine di valutare l’inadeguatezza dei redditi del coniuge, quale presupposto per la corresponsione di assegno.

Va, al contrario,osservato che, in mancanza di prova specifica sul tenore di vita goduto dai coniugi in costanza di matrimonio, il giudice può desumerne induttivamente le caratteristiche, sulla base delle condizioni economiche dei coniugi (e del loro divario) al momento della pronuncia di divorzio (tra le altre Cass. N. 2156 del 2010). Con motivazione adeguata e non illogica, la Corte di merito analizza le condizioni economiche dei coniugi rilevando, "una marcata disparità" a favore del S..

Vanno pertanto rigettati, siccome infondati, i motivi proposti, e, conclusivamente, rigettato il ricorso incidentale.

Il tenore della decisione richiede la compensazione delle spese tra le parti.

P.Q.M.

La Corte riunisce i ricorsi e li rigetta; dichiara compensate le spese del presente giudizio tra le parti. In caso di diffusione omettere generalità e atti identificativi a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52, in quanto imposto dalla legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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