Cass. civ. Sez. I, Sent., 10-04-2012, n. 5649 Divorzio

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. Con atto notificato il 24 dicembre 2007 D.M.A. ha proposto ricorso per cassazione, basato su otto motivi, avverso la sentenza della Corte d’appello di L’Aquila depositata in data 8 novembre 2006 nella causa di cessazione degli effetti civili del matrimonio contratto dal ricorrente con P.D.. La Corte di merito, accogliendo l’appello proposto dalla P., in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Avezzano del dicembre 2004 – che aveva fra l’altro rigettato l’istanza della appellante di riconoscimento di un assegno divorzile -, ha posto a carico del D.M. il pagamento di un assegno divorzile di Euro 750 mensili, con decorrenza dalla data della domanda e con rivalutazione monetaria annuale. La Corte ha ritenuto che la P. si trovi nella oggettiva impossibilità di procurarsi mezzi adeguati a mantenere l’alto tenore di vita goduto in costanza di matrimonio, desumibile dalle dichiarazioni fiscali e dalla documentazione relativa a numerosi importanti movimenti immobiliari posti in essere dal D.M. all’epoca; e che la indiscussa rilevante disparità delle posizioni reddituali degli ex coniugi, entrambi avvocati, sia inevitabile conseguenza non già di scelte asseritamente errate della P. – alle quali aveva fatto riferimento il Tribunale – di trasferimento della sede della propria attività professionale (dopo lo scioglimento della associazione professionale tra i due, nella quale la posizione del D.M., già titolare di un affermato studio legale, era quantomeno di gran lunga prevalente se non sostanzialmente l’unica, essendo la P. all’inizio dell’attività) bensì dal primario dato della fine dell’unione matrimoniale e professionale, che ha segnato anche l’impossibilità, per la P., di continuare a beneficiare sul piano lavorativo della clientela e dell’avviamento dello studio legale del coniuge. Ha quindi ritenuto di determinare l’assegno divorzile, tenendo presenti la durata del matrimonio (5 anni) ed i rispettivi redditi e condizioni delle parti, in Euro 750,00 mensili, somma peraltro sostanzialmente equivalente a quella concordata dalle parti in sede di separazione consensuale.

Resiste con controricorso, illustrato anche da memoria, la P..

MOTIVI DELLA DECISIONE 1. Con il primo motivo, il ricorrente censura la valutazione in ordine alle cause della incapacità della controparte di procurarsi mezzi adeguati, denunciando violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto ( L. n. 898 del 1970, art. 5, art. 2697 cod. civ., art. 116 cod. proc. civ). Deduce che la Corte d’appello ha erroneamente fatto risalire tale incapacità alla rottura dell’unione matrimoniale nonostante che, dopo lo scioglimento della associazione professionale, la P. abbia continuato ad esercitare la professione costituendo nell’ottobre 1997 altra associazione professionale con distinti soggetti. 1.1. Con il secondo motivo, torna a denunciare; la violazione o falsa applicazione delle norme suindicate perchè è stata considerata la situazione reddituale della P. al momento della separazione, non già a quello del divorzio successivo di circa sette anni; e in tal modo non si è considerato che nel frattempo la medesima ha esercitato l’attività professionale nel nuovo studio associato, essendo iscritta nell’Albo avvocati dal 1993. 2. Tali censure – da esaminare congiuntamente attesa la loro connessione – non meritano accoglimento. Sotto il primo profilo, il ricorso non individua un’erronea ricognizione in astratto del contenuto dispositivo delle norme di diritto che assume violate o falsamente applicate, bensì investe criticamente la ricostruzione e la valutazione dei fatti operata dal giudice di merito, e quindi la motivazione esposta nella sentenza impugnata, alla quale peraltro contrappone inammissibilmente la propria ricostruzione e valutazione.

Altrettanto vale per il secondo profilo di violazione di legge denunciato, salva la precisazione, relativa al dato temporale da considerare ai fini della valutazione della condizione reddituale dei coniugi, che la Corte d’appello non ha affatto tenuto presente la sola situazione delle parti al momento della separazione (ottobre 1997), avendo invece preso a base le rispettive dichiarazioni dei redditi per l’anno 2000 (dalle quali risulta un reddito dell’odierno ricorrente dieci volte superiore a quello della resistente), osservando che per gli anni successivi non si registrano apprezzabili variazioni in aumento dei redditi della P. in base ai documenti prodotti.

3. Con i successivi sei morivi, il ricorrente deduce l’omessa o insufficiente motivazione circa fatti controversi, quali la idoneità psico-fisica della richiedente a svolgere l’attività professionale svolta in costanza di matrimonio, la non riconducibilità della diminuita capacità reddituale alle scelte professionali errate, la incidenza dello scioglimento della associazione professionale piuttosto che della separazione dei coniugi, l’inattendibilità della dichiarazione dei redditi della P., la simulazione dell’atto di costituzione dell’associazione professionale tra gli ex coniugi, la riconducibilità degli acquisti e cessioni immobiliari effettuati dal ricorrente in costanza di matrimonio alla sua agiatezza.

3.1. Tali motivi sono inammissibili, ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c., applicabile nella specie trattandosi di impugnazione avverso provvedimento depositato nel novembre 2006 e quindi nel periodo di vigenza della norma. Tale norma deve invero interpretarsi nel senso che: a) l’illustrazione di ciascun motivo, nei casi di cui all’art. 360, comma 1, nn. da 1 a 4, deve concludersi, a pena di inammissibilità, con la formulazione di un quesito di diritto che, riassunti gli elementi di fatto sottoposti al giudice di merito e indicata sinteticamente la regola di diritto applicata da quel giudice, enunci la diversa regola di diritto che ad avviso del ricorrente si sarebbe dovuta applicare nel caso di specie, in termini tali che dalla risposta che ad esso si dia discenda in modo univoco l’accoglimento o il rigetto del gravame; b) analogamente, nei casi di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’illustrazione del motivo deve contenere (cfr. ex multis: Cass. S.U. n. 20603/2007; Sez. 3 n. 16002/2007; n. 8897/2008) un momento di sintesi – omologo del quesito di diritto – che ne circoscriva puntualmente i limiti, in maniera da non ingenerare incertezze in sede di formulazione del ricorso e di valutazione della sua ammissibilità. Sintesi che, nella specie, l’illustrazione di ciascun motivo non espone.

4. Si impone dunque il rigetto del ricorso, con la conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese, che si liquidano come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese di questo giudizio di cassazione, in Euro 2.000,00 per onorari e Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali e accessori di legge.

Dispone, ai sensi del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52, comma 5, che, in caso di diffusione della presente sentenza siano omesse le generalità e gli altri dati identificativi delle parti.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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