Cass. civ. Sez. III, Sent., 10-04-2012, n. 5645

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1.- Con sentenza del 22.11.1995 il Gup di Lucera applicò a G. M., ex art. 444 ce.p.p., la pena di due anni di reclusione per il delitto di concussione continuata, commessa nella qualità di dirigente del servizio veterinario della Usl Fg/(OMISSIS) in danno di D. R.R., titolare di un complesso zootecnico in agro di (OMISSIS), corredato di stalla, laboratorio lattiero-caseario, magazzino ed annesso locale per la vendita dei prodotti aziendali.

Nel maggio del 1996 il D.R. convenne in giudizio il G., la Usl Fg/(OMISSIS) (poi ASL della Provincia di Foggia) nonchè la Gestione liquidatoria della ex Usl Fg/(OMISSIS) chiedendone la condanna solidale al risarcimento dei danni – indicati in non meno di L. dieci miliardi – subiti per l’illecita condotta del G. e di altri funzionari della Usl Fg/(OMISSIS), risoltesi nel diniego, da parte del Sindaco, dell’autorizzazione alla macellazione e del completamento della procedura di risanamento dell’allevamento di ovini, sottoposto a misure cautelari a seguito della riscontrata presenza di capi affetti da brucellosi. Affermò che per questo la sua azienda era andata incontro ad un progressivo declino, culminato nella chiusura della stessa alla fine del 1994, per cessazione dell’attività di allevamento conseguente all’estinzione dell’intero gregge. A riprova dell’intento persecutorio del G. sostenne di avergli corrisposto somme di denaro mai restituite (per complessive L. 13.500.000) e prodotti alimentari mai pagati (per un ammontare di L. 1.322.000).

I convenuti si costituirono e resistettero.

Il G. agì in via riconvenzionale per la condanna dell’attore al pagamento del compenso per prestazioni effettuate quale libero professionista; la Usl Fg/(OMISSIS) e la menzionata Gestione liquidatoria chiamarono in garanzia la Unipol s.p.a., che a sua volta resistette, tra l’altro contestando che la polizza coprisse anche i rischi per danni del tipo di quello in questione.

Con sentenza n. 812 del 2003 il Tribunale di Foggia rigettò la domanda nei confronti dei convenuti diversi dal G. e la accolse nei confronti di quest’ultimo limitatamente ad Euro 7.655,35 a titolo di restituzione delle somme ricevute e di controvalore dei prodotti alimentari consegnati. Condannò inoltre il G. a pagare al D.R. Euro 103.291,38 per risarcimento del danno morale.

2.- La decisione è stata parzialmente riformata dalla Corte d’appello di Bari che, decidendo con sentenza n. 31 del 2010 sugli appelli di tutte le parti, ha invece eliminato la condanna dell’attore al risarcimento del danno morale, per non essere stato lo stesso mai domandato; ha esteso la condanna del G. al pagamento di Euro 7.635,35 alla Asl della Provincia di Foggia ed alla Gestione liquidatoria in l.c.a.; ha infine accolto la loro domanda di garanzia nei confronti di Unipol Assicurazioni s.p.a..

3.- Avverso tale sentenza ricorre per cassazione D.R.R., affidandosi a due motivi cui resistono con distinti controricorsi tutti gli intimati (in luogo della Unipol, l’incorporante UGF Assicurazioni s.p.a.).

Il D.R., il G. e la Asl hanno depositato memorie illustrative.

Motivi della decisione

1.- Col primo motivo il ricorrente si duole – deducendo violazione o falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., nonchè insufficiente e contraddittoria motivazione su fatto controverso decisivo – che la Corte d’appello abbia accolto il primo motivo dell’appello del G., col quale questi aveva lamentato la violazione del principio del contraddittorio per essersi il Tribunale pronunciato ultra petita sul risarcimento del danno morale a fronte di una domanda (reiterata mediante richiamo in sede di conclusioni) con la quale era stato richiesto "il risarcimento di tutti i danni subiti e subendi, costituiti sia dagli esborsi effettuati in denaro o in natura, sia del lucro cessante e del danno emergente subito per la distruzione del l’avviamento ed il mancato utile di esercizio, ascendenti, sulla base della relazione peritale che sarà depositata, a non meno di L. 10.000.000.000".

Sostiene che, alla luce dei principi enunciati dalla Corte di legittimità circa l’infrazionabilità del giudizio risarcitorio, solo in presenza di un’espressa rinuncia da parte dell’attore a specifiche categorie di danni queste possano ritenersi escluse dal tema del contendere. Essendo tale rinuncia mancata ed essendo stato chiesto il risarcimento di "tutti" i danni, la domanda doveva ritenersi estesa ad ogni possibile profilo di danno, incluso dunque quello non patrimoniale derivato all’attore dal reato commesso in suo danno dal convenuto. Del resto, l’attore aveva sin dall’atto di costituzione in giudizio prodotto copia della denuncia presentata alla Procura della Repubblica ed aveva poi depositato la sentenza di applicazione della pena su richiesta successivamente emessa.

1.1.- La censura – pur ampiamente e suggestivamente illustrata – è infondata.

Alle pagine da 17 a 21 della sentenza è dato ampio conto delle ragioni per le quali la Corte d’appello ha escluso, sulla scorta del puntuale ed analitico esame degli atti processuali, che la domanda potesse considerarsi estesa al risarcimento del pregiudizio non patrimoniale subito dall’attore.

Sullo specifico punto relativo alla valenza da ricollegare al principio della infrazionabilità del giudizio di liquidazione, nel senso di favorire un’interpretazione della domanda risarcitoria volta a ricomprendervi il danno non patrimoniale pur se non esplicitamente domandato, la Corte territoriale ha escluso che a tale conclusione possa addivenirsi quante volte siano state specificamente indicate le componenti del pregiudizio di cui si domanda il ristoro, dovendosi coordinare il principio di infrazionabilità della richiesta di risarcimento con il principio dispositivo della domanda di cui agli artt. 99 e 112 c.p.c..

Tale affermazione di principio – senz’altro corretta in diritto – è stata applicata in relazione ad un caso nel quale, com’è ampiamente spiegato in sentenza, non solo l’attore aveva indicato in citazione da che cosa i danni fossero "costituiti" (con termine che conferisce ovvia natura specificativa alla richiesta di risarcimento di "tutti i danni"), ma nel corso del giudizio non vi era mai stato alcun riferimento o allegazione probatoria relativi a possibili pregiudizi di natura non patrimoniale, i quali non costituiscono mai un effetto automatico, ma solo una possibile conseguenza della condotta. Il fatto che, segnatamente quando sussistano gli estremi di un reato, quella conseguenza sia il più delle volte presumibile, comunque non esclude che sulla sussistenza e sull’entità del pregiudizio patito dall’attore debba essere garantita al convenuto la possibilità di interloquire, risultandone altrimenti leso il diritto di difesa per violazione del principio del contraddittorio.

Va soggiunto che, nella specie, la domanda era connotata dalla precisa indicazione di una somma complessiva (L. dieci miliardi) effettuata sulla base della relazione peritale che sarà depositata, la quale non concerneva punto il danno non patrimoniale, ma soltanto i riflessi patrimoniali negativi sotto i profili del danno emergente e del lucro cessante; e, ancora, che, in tale contesto, l’omessa considerazione nel senso propugnato dal ricorrente della produzione della denuncia e poi della sentenza emessa in sede penale sono del tutto privi di rilievo, giacchè l’illiceità del comportamento del G. costituiva il presupposto pure della domanda risarcitoria relativa al danno patrimoniale.

Si verteva dunque, inequivocamente, in un caso nel quale la specificazione delle singole voci di danno si prestava ad essere ragionevolmente intesa come volontà di escludere dal petitum quelle non menzionate, giusta il principio da ultimo enunciato, tra le altre, da Cass., n. 17879/2011 (richiamata dal ricorrente in memoria).

2.- Col secondo motivo, il vizio di insufficiente e contraddittoria motivazione su fatto controverso e decisivo è denunciato in riferimento al rigetto del secondo motivo del ricorso incidentale del D.R., relativo all’omesso riconoscimento del danno patrimoniale ulteriore (non meno di Euro 5.165.568,00) rispetto alla pretesa restitutoria.

La Corte territoriale avrebbe superficialmente letto le risultanze processuali: così come costituiva dato certo e riconosciuto dalla stessa Corte d’appello – si afferma a pag. 34, secondo capoverso, del ricorso – che l’illecito comportamento del G. "non" aveva consentito il risanamento del gregge del D.R., altrettanto inconfutabile era che la preclusione della possibilità di risanamento aveva determinato istantaneamente ed automaticamente un decremento considerevole del suo valore.

2.1.- Anche tale censura è infondata.

Nella sentenza impugnata si afferma incidentalmente (a pag. 31, righe da 10 a 12) che nella relazione tecnica d’ufficio era detto che il declino dell’azienda sarebbe da collegare "non già" al mancato completamento della procedura di risanamento, bensì alle scelte imprenditoriali del D.R..

Difetta, dunque il presupposto stesso del vizio dedotto, ovvio essendo che l’eventuale errore percettivo del giudice su quanto il consulente aveva invece concluso – e che la Corte d’appello ha affermato essere appunto l’opposto di quanto si assume in ricorso – si sarebbe potuto denunciare solo col mezzo della revocazione.

Il ricorrente prescinde, inoltre, dal passo della sentenza (a pag.

32, secondo e terzo capoverso) nel quale si pone in evidenza come fosse risultato positivamente accertato che, al contrario di quanto sostenuto dall’attore in citazione circa l’intervenuta chiusura dell’azienda nel dicembre del 1994 per estinzione del gregge, (a) il 22.11.1995 era stata eseguita una prescrizione veterinaria per 500 ovini, (b) il 20.2.1996 il D.R. aveva comunicato all’autorità sanitaria di aver venduto n. 200 capi in data 18.2.1996, (c) nell’anno 1996 egli aveva presentato domanda di aiuto comunitario ai sensi del reg. CEE n. 173/80 per n. 1143 ovini, costituenti proprio l’allevamento in agro di (OMISSIS).

E’ dunque del tutto coerente e consequenziale la conclusione della Corte di merito che l’attore non aveva assolto l’onere probatorio su di lui gravante in ordine alla dedotta circostanza della chiusura dell’azienda nel dicembre 1994 per intervenuta estinzione dell’allevamento in conseguenza del mancato completamento della procedura di risanamento del gregge.

3.- Il ricorso è respinto.

Le spese seguono la soccombenza.

P.Q.M.

LA CORTE DI CASSAZIONE rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alle spese, che liquida in Euro 4.200,00, di cui Euro 4.000,00 per onorari quanto a G. M. ed in Euro 2.700,00, di cui Euro 2500,00 per onorari, per ognuna delle altre controricorrenti.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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