Cass. civ. Sez. III, Sent., 10-04-2012, n. 5643 Capacità o incapacità a deporre

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1.- Il (OMISSIS) nel bar del Circolo del tennis Giotto, L. F. di tre anni bevve idrossido di potassio, invece di acqua, riportando lesioni personali con esiti permanenti.

Nel (OMISSIS) il padre, quale esercente la potestà, convenne in giudizio per il risarcimento dei danni (indicati in L. 1.500.000.000) B.D.S.M.A. ed il Circolo, prospettandone la responsabilità, quanto alla prima, per aver versato il liquido al minore da una bottiglia destinata a contenere acqua e, quanto al Circolo, per dovere lo stesso rispondere del fatto dei preposti ex art. 2049 c.c..

I convenuti resistettero.

Con sentenza del 22.3.2003 il Tribunale di Arezzo accolse parzialmente la domanda nei confronti della D.S. (quantificandone l’apporto causale colposo nel 10% e condannandola dunque al pagamento di circa sedicimila Euro) e la rigettò nei confronti del Circolo.

2.- La Corte d’appello di Firenze ha respinto gli appelli di L.F. e della D.S. sui sostanziali rilievi che, per le modalità dei fatti, l’apporto causale di quest’ultima al verificarsi dell’evento era stato minimo e che, essendo il bar del Circolo gestito direttamente ed autonomamente dalla D.S. e dalla madre dello stesso piccolo L., difettassero i presupposti per predicare la responsabilità ex art. 2049 c.c., del Circolo stesso.

3.- Avverso la sentenza ricorre per cassazione L.F. affidandosi a cinque motivi, cui resiste con controricorso il Circolo del tennis Giotto.

L’intimata B.D.S. non ha svolto attività difensiva.

Motivi della decisione

1.- Col primo motivo è denunciata violazione della legge processuale nella parte in cui la Corte d’appello aveva ritenuto che le non accolte eccezioni di incapacità a testimoniare di alcuni testi, escussi in primo grado, non fossero state coltivate nè in sede di precisazione delle conclusioni nè, prim’ancora, mediante specifica rilevazione della nullità nella prima difesa successiva all’assunzione.

1.1.- La censura è infondata alla stregua delle seguenti concordanti enunciazioni, di cui il ricorrente non si fa carico, limitandosi sul punto al rilievo che l’onere di sollevare due volte la questione dell’incapacità – nella specie solo preliminarmente prospettata – è eccessivamente gravoso per la parte (prima riga del sesto capoverso di pag. 12 del ricorso):

a) la nullità di una testimonianza resa da persona incapace ai sensi dell’art. 246 cod. proc. civ., essendo posta a tutela dell’interesse delle parti, è configurabile come una nullità relativa e, in quanto tale, deve essere eccepita subito dopo l’espletamento della prova, rimanendo altrimenti sanata ai sensi dell’art. 157 cod. proc. civ., comma 2; qualora detta eccezione venga respinta, la parte interessata ha l’onere di riproporla in sede di precisazione delle conclusioni e nei successivi atti di impugnazione, dovendosi la medesima, in caso contrario, ritenere rinunciata, con conseguente sanatoria della nullità stessa per acquiescenza, rilevabile d’ufficio dal giudice in ogni stato e grado del processo (Cass., sez. 3^, 30.10.2009, n. 23054);

b) qualora il giudice abbia respinto con ordinanza l’eccezione di incapacità a testimoniare tempestivamente sollevata, essa deve essere nuovamente riproposta in sede di precisazione delle conclusioni, chiedendosi la revoca del provvedimento emesso; in caso contrario, l’eccezione deve intendersi rinunciata (Cass., sez. 2^, 7.2.2003, n. 1840);

c) l’eventuale nullità derivante dalla incapacità di un teste rimane sanata qualora la relativa eccezione non venga ritualmente e tempestivamente proposta immediatamente dopo che la prova è stata assunta e ribadita in sede di precisazione delle conclusioni, ex art. 189 cod. proc. civ. (Cass., sez. 3^, 29.3.2005, n. 655);

d) la nullità della testimonianza resa da persona incapace deve essere eccepita subito dopo l’espletamento della prova, ai sensi dell’art. 157 cod. proc. civ., comma 2, sicchè deve intendersi sanata in mancanza di tempestiva eccezione, senza che la preventiva eccezione di incapacità a testimoniare, proposta a norma dell’art. 246 cod. proc. civ., possa ritenersi comprensiva dell’eccezione di nullità della testimonianza comunque ammessa ed assunta nonostante la previa opposizione (Cass., sez. 1^, 3.4.2007, n. 8358, cui adde, ex plurimis, Cass., 3^, 25.9.2009, n. 20652).

2.- Col secondo motivo è dedotta violazione degli artt. 2208, 2556, 2704, 2721 e 2725 c.c. e di numerose altre disposizioni sostanziali e processuali per avere la Corte d’appello ritenuto che il bar fosse autonomamente gestito dalla D.S. e da A.L., madre di L.F., sulla scorta di deposizioni testimoniali, senza che fosse stata data prova di un contratto d’appalto opponibile ai terzi ed in violazione dei principi dell’apparenza, dell’affidamento e della buona fede, essendo il bar collocato nel circolo del tennis, cui erano anche intestate le licenze per l’esercizio dell’attività. 2.1.- La censura è manifestamente infondata.

Tutti i principi richiamati dal ricorrente nell’illustrazione del motivo hanno riguardo all’ambito contrattuale (come Cass., nn. 6596/86 e 2838/2005, richiamate in ricorso), al quale soltanto sono riferibili quelli dell’apparenza, della buona fede e dell’opponibilità delle scritture ai terzi.

Qui si trattava invece di stabilire se sussistessero i reali presupposti per l’applicazione dell’art. 2049 c.c. (responsabilità dei padroni e dei committenti), la cui insussistenza (a fronte del dato della collocazione del bar e delle intestazioni di fatture e licenze) era suscettibile di essere provata in qualunque modo.

L’improprietà del riferimento all’apparenza ed all’affidamento (quanto a questo, nel senso prospettato in ricorso) è resa evidente dal rilievo che il possibile affidamento nel fatto che il bar fosse riferibile al circolo anche negli aspetti gestori non avrebbe provocato nessuna modifica nei comportamenti dei soggetti coinvolti nella vicenda, non potendosi certo ipotizzare, perchè in contrasto con criteri di logica elementare, che tanto avrebbe indotto maggiori cautele o precauzioni in capo a chi aveva la custodia del bambino o la effettiva gestione del bar.

3.- Col terzo motivo si imputa alla Corte d’appello di non aver indagato se la responsabilità della B.D.S. fosse contrattuale o extracontrattuale e per non aver ravvisato comunque la responsabilità esclusiva della stessa, finendo invece col ritenere prevalentemente responsabile la nonna, che in quel momento aveva in custodia il nipote.

3.1.- Nella parte in cui non è inammissibile perchè impinge in valutazioni di fatto in ordine alle quali la motivazione è del tutto esauriente e niente affatto contraddittoria, il motivo è inammissibile per l’assorbente ragione che il ricorrente non afferma di aver posto alla Corte d’appello la questione della qualificazione della responsabilità della B. nè chiarisce perchè essa avrebbe avuto in ipotesi rilevanza, volta che il 10% stimato dai giudici di merito concerne l’entità del suo apporto causale al verificarsi dell’evento. Ed è noto che il nesso di causalità si atteggia allo stesso modo nei due plessi (contrattuale ed extracontrattuale) anche sotto il profilo della distribuzione dell’onere della prova.

4.- Col quarto motivo è prospettata omessa motivazione (nonchè violazione dell’art. 116 c.p.c. e art. 132 c.p.c., n. 4) in ordine alla valutazione delle prove, nella parte in cui la Corte d’appello ha concluso che il bambino avesse direttamente preso la bottiglia, benchè un teste lo avesse visto solo "gironzolare con la bottiglia in mano" e benchè fosse stata la B. a versargli da bere.

4.1.- La Corte d’appello ha ampiamente ricostruito la vicenda con motivazione logica e coerente.

La censura è, per il resto, inammissibile, risolvendosi in una critica all’apprezzamento del fatto compiuto dal giudice del merito.

5.- Col quinto motivo, da ultimo, è denunciata violazione di numerose disposizioni di rito sostanziale per essersi la Corte limitata, in punto di quantificazione del danno, ad affermare che la valutazione del primo giudice era "conforme ai parametri applicati in ambito distrettuale, con riferimento al momento della liquidazione".

Si sostiene che tanto equivale a non aver detto nulla perchè la Corte d’appello (così testualmente il ricorso alle prime due righe di pagina 22) "nulla ha detto in punto di rilevanza degli esiti della malattia residuata sull’esponente". 5.1.- Il motivo è inammissibile perchè il ricorrente non espone quel che aveva domandato che la Corte d’appello accertasse.

6.- Il ricorso è respinto. Le spese seguono la soccombenza.

P.Q.M.

LA CORTE DI CASSAZIONE rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alle spese che liquida in Euro 7.200,00, di cui 7.000,00 per onorari, oltre alle spese generali ed agli accessori di legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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