Cass. civ. Sez. III, Sent., 10-04-2012, n. 5642 CE Formazione professionale

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1.- Con citazione del 19 marzo 2002 i dottori C.M., C.F., D.C.M., L.R.F., Co.Ma., V.B., V.F.R., R.G. e B.G., adducendo di essere medici specialisti e di avere frequentato in diversi periodi, tutti compresi nell’arco temporale dal 1985 al 1990, i relativi corsi di specializzazione, convenivano in giudizio, davanti al Tribunale di Roma, lo Stato Repubblica Italiana, la Presidenza del Consiglio dei Ministri, il Ministero della Salute, il Ministero dell’Università e della Ricerca Scientifica e Tecnologica ed il Ministero dell’Economia e delle Finanze e chiedevano:

in via principale, accertare il loro diritto ad un’adeguata remunerazione e, per l’effetto, condannare in solido oppure singolarmente ove ritenuti non tutti obbligati, i Ministeri dell’Economia e delle Finanze, dell’Università e della Ricerca Scientifica e Tecnologica e della Salute al pagamento in favore di ciascuno di loro della somma di Euro 11.103,82, oltre accessori, per ogni anno di corso frequentato o, in subordine, nella misura ritenuta di giustizia;

– in via subordinata, accertare la responsabilità dello Stato Repubblica Italiana in persona del Presidente protempore e/o in persona del Presidente pro tempore del Consiglio dei Ministri, in qualità di Stato membro della Comunità Europea e/o del Governo Italiano nella Presidenza del Consiglio dei Ministri in persona del Presidente pro tempore per i danni derivati agli attori a causa della mancata tempestiva, corretta e completa trasposizione delle direttive comunitarie, con conseguente condanna al risarcimento dei danni, da quantificarsi nella misura di Euro 11.103,82, oltre accessori, per ogni anno di corso frequentato, oppure in subordine nella misura di Euro 6.713,94, oltre accessori, per ogni anno di corso;

– in via di ulteriore subordine, condannare i convenuti in solido al pagamento di un indennizzo ex art. 2041 cod. civ., per ingiustificato arricchimento, da commisurarsi all’effettivo risparmio di spesa ottenuto dal Servizio Sanitario Nazionale in virtù delle prestazioni professionali rese dagli attori, oltre accessori.

1.1.- Delle amministrazioni convenute, si costituiva soltanto il Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, eccependo il difetto di giurisdizione del giudice ordinario e la prescrizione del diritto vantato dagli attori. Nel merito, contestava la propria responsabilità, chiedendo il rigetto della domanda. Gli altri convenuti restavano contumaci.

2.- Con sentenza del 10 marzo 2005 il Tribunale di Roma accoglieva la domanda degli attori, condannando soltanto il Ministero dell’Economia e delle Finanze e il Ministero della Salute al pagamento in favore di ciascuno della somma di Euro 11.103,82, oltre interessi, per ciascun anno di corso; respingeva la domanda nei confronti degli altri convenuti; condannava i due Ministeri anzidetti al pagamento delle spese di lite in favore degli attori, compensando le spese tra questi ultimi ed il Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca.

3.- La sentenza veniva appellata davanti alla Corte d’Appello di Roma dal Ministero della Salute e dal Ministero dell’Economia e delle Finanze, che proponevano le eccezioni di difetto di giurisdizione e di prescrizione, nonchè del proprio difetto di legittimazione passiva; contestavano, quindi, nel merito la pretesa degli attori come riconosciuta fondata in primo grado.

La Corte d’Appello, con sentenza del 3 maggio 2010, ha rigettato l’appello, condannando gli appellanti al pagamento delle spese del grado.

4.- Contro questa sentenza, il Ministero della Salute ed il Ministero dell’Economia e delle Finanze propongono ricorso per cassazione affidato a tre motivi, illustrati da memoria.

Gli intimati resistono con controricorso.

Motivi della decisione

1.- Con il primo motivo si denuncia "violazione e falsa applicazione artt. 1306, 1310, 2937, 2939 cod. civ. – D.Lgs. n. 257 del 1991, art. 6; D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 1, comma 2; art. 360 c.p.c., n. 3".

Vi si deduce che erroneamente la Corte territoriale non avrebbe dichiarato la prescrizione del diritto al risarcimento nei confronti degli attori, stante la rituale tempestiva eccezione formulata dal Ministero dell’Istruzione, Università e Ricerca. Sostengono i ricorrenti che si potrebbero giovare dell’eccezione di prescrizione tempestivamente sollevata, perchè la mancata estinzione dell’obbligazione nei confronti dei Ministeri impugnanti, genererebbe e genera effetti pregiudizievoli anche per il Ministero eccipiente.

1.1.- Il motivo appare fondato: anche in ragione di quanto si dirà trattando del terzo motivo di ricorso, è corretta la critica della sentenza impugnata per avere ritenuto che l’eccezione di prescrizione non fosse stata utilmente formulata in primo grado.

Tuttavia, la sua fondatezza non potrà giustificare la cassazione della sentenza perchè il dispositivo di essa è conforme a diritto sulla base di una diversa motivazione in iure, la quale dimostra l’infondatezza, comunque, dell’eccezione di prescrizione.

La domanda degli attori è stata già qualificata dalla Corte d’Appello, alla stregua di Cass. sez. un. n. 9147 del 2009, come domanda di risarcimento danni per inadempimento dello Stato per omessa o tardiva trasposizione da parte del legislatore, nel termine prescritto, di direttive comunitarie non auto esecutive.

Essendo tale qualificazione corrispondente all’unico diritto che la Corte di merito ha ritenuto, con statuizione non oggetto di censura, configurabile in relazione alla vicenda, va altresì applicato il principio espresso dalla sentenza citata (e da numerose altre che l’hanno seguita) in merito al termine decennale della prescrizione.

Quanto all’individuazione del dies a quo, vanno richiamate le sentenze nn. 10813, 10814, 10815, 10816 del 2011 (per le quali: "A seguito della tardiva ed incompleta trasposizione nell’ordinamento interno delle direttive n. 75/362/CEE e n. 82/76/CEE, relative al compenso in favore dei medici ammessi ai corsi di specializzazione universitari – realizzata solo con il D.Lgs. 8 agosto 1991, n. 257 – è rimasta inalterata la situazione di inadempienza dello Stato italiano in riferimento ai soggetti che avevano maturato i necessari requisiti nel periodo che va dal 1 gennaio 1983 al termine dell’anno accademico 1990-1991. La lacuna è stata parzialmente colmata con la L. 19 ottobre 1999, n. 370, art. 11, che ha riconosciuto il diritto ad una borsa di studio soltanto in favore dei beneficiari delle sentenze irrevocabili emesse dal giudice amministrativo; ne consegue che tutti gli aventi diritto ad analoga prestazione, ma tuttavia esclusi dal citato art. 11, hanno avuto da quel momento la ragionevole certezza che lo Stato non avrebbe più emanato altri atti di adempimento alla normativa europea. Nei confronti di costoro, pertanto, la prescrizione decennale della pretesa risarcitoria comincia a decorrere dal 27 ottobre 1999, data di entrata in vigore del menzionato art. 11").

Essendo stata la citazione introduttiva notificata il 19 marzo 2002, il termine di prescrizione non era a tale data decorso, e la relativa eccezione avrebbe dovuto essere comunque rigettata.

2.- Col secondo motivo di ricorso, si deduce "violazione art. 2043 cod. civ.; L. n. 370 del 1999, art. 11; omessa, insufficiente contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio – art. 360 cod. proc. civ., nn. 3 e 5".

I ricorrenti richiamano i principi espressi dalle Sezioni Unite di questa Corte con la sentenza n. 9147 del 2009, al fine di sostenere che, trattandosi di diritto a natura indennitaria e non risarcitoria, la Corte di merito avrebbe dovuto riconoscere ai medici specializzandi un mero indennizzo, e non liquidare loro somme ingenti a titolo risarcitorio.

In ogni caso, secondo i ricorrenti, la sentenza sarebbe viziata nella motivazione, poichè non darebbe contezza del ragionamento seguito per addivenire alla liquidazione del danno a titolo risarcitorio piuttosto che alla compensazione dei medici istanti "in termini esclusivamente indennitari". 2.1.- Va in premessa richiamato il principio espresso dalle Sezioni Unite di questa Corte, con la sentenza n. 9147 del 2009, secondo cui in caso di omessa o tardiva trasposizione da parte del legislatore italiano nel termine prescritto delle direttive comunitarie (nella specie, le direttive n. 75/362/CEE e n. 82/76/CEE, non autoesecutive, in tema di retribuzione della formazione dei medici specializzandi) sorge, conformemente ai principi più volte affermati dalla Corte di Giustizia, il diritto degli interessati al risarcimento dei danni che va ricondotto anche a prescindere dall’esistenza di uno specifico intervento legislativo accompagnato da una previsione risarcitoria – allo schema della responsabilità per inadempimento dell’obbligazione ex lege dello Stato, di natura indennitaria per attività non antigiuridica, dovendosi ritenere che la condotta dello Stato inadempiente sia suscettibile di essere qualificata come antigiuridica nell’ordinamento comunitario ma non anche alla stregua dell’ordinamento interno".

Orbene, va rilevato che la qualificazione dell’obbligazione come "indennitaria" consegue alla considerazione che la giurisprudenza della Corte di Giustizia (richiamata sia nella stessa sentenza che nelle sentenze di questa Corte nn. 10813, 10814, 10815, 10816 del 2011) esige che l’obbligazione risarcitoria dello Stato non sia condizionata al requisito della colpa; quindi, consegue all’operazione di sistemazione che le Sezioni Unite hanno fatto, collocando la responsabilità dello Stato nell’ambito della norma generale dell’art. 1176 cod. civ. e svincolandola dai presupposti soggettivi dell’art. 2043 cod. civ..

Tuttavia, l’obbligazione in parola si distingue da quella risarcitorìa ex art. 2043 cod. civ. per la peculiarità della sua fonte, al di là del suo contenuto; il contenuto è, infatti, lato sensu risarcitorio. Le Sezioni Unite, richiamati i principi espressi dalla Corte di Giustizia, hanno affermato che il credito del danneggiato "deve essere determinato, con i mezzi offerti da 1l’ordinamento interno, in modo da assicurare al danneggiato un’idonea compensazione della perdita subita in ragione del ritardo oggettivamente apprezzabile". 2.2.- Il dictum delle sezioni unite comporta che l’"idonea compensazione" debba rispondere, da un canto, al requisito della serietà, congruità e non irrisorietà, dovendosi ristorare un danno alla luce "della perdita subita in conseguenza del ritardo oggettivamente apprezzabile"; dall’altro, in assenza di alcuni degli elementi strutturali dell’illecito aquiliano, all’esigenza di non trasmutare in diritto al risarcimento tout court sì come predicato dall’art. 2043 c.c.; dall’altro ancora, all’inammissibilità di un’identificazione con il corrispettivo di una prestazione eseguita e non retribuita, secondo una concezione strettamente giuslavoristica e non, come nella specie, "paracontrattuale" da responsabilità statuale per atto privo, sul piano interno, del carattere della illiceità.

La remunerazione da ritenersi adeguata per la frequenza della scuola di specializzazione in epoca anteriore al 1991 (e la cui perdita gli specializzandi odierni resistenti hanno lamentato sub specie di danno risarcibile) non può essere equiparata alla remunerazione corrisposta per la frequenza dei corsi istituiti a far data dall’anno 1991/1992, poichè, come rilevato anche in altri precedenti di questa Corte, un’operazione in tal guisa concepita finirebbe per comportare l’applicazione retroattiva del decreto 257/91 e la trasformazione, in altri termini, di una disciplina comunque discrezionale quanto all’individuazione della misura della retribuzione (e pacificamente rimessa al legislatore statuale) e comunque irretroattiva sul piano della sua decorrenza, in una disposizione normativa sostanzialmente retroattiva.

Il motivo va quindi accolto; la sentenza impugnata va perciò cassata nella parte in cui ha confermato la sentenza di primo grado con riferimento al quantum debeatur.

2.3.- Al giudice del rinvio è demandato il compito di quantificare l’anzidetto peculiare diritto (para)risarcitorio spettante al medico specializzando.

Parametro di riferimento per il giudice territoriale sarà costituito dalle indicazioni contenute nella L. 19 ottobre 1999, n. 370, con la quale lo Stato italiano ha ritenuto di procedere ad un sostanziale atto di adempimento parziale soggettivo nei confronti di tutte le categorie astratte in relazione alle quali, dopo il 31 dicembre 1982, si erano potute verificare le condizioni fattuali idonee a dare luogo all’acquisizione dei diritti previsti dalle direttive comunitarie, e che non risultavano considerate dal D.Lgs. del 1991. In particolare, come affermato di recente da questa Corte (cfr. Cass. n. 1917/12, alla cui motivazione si fa integrale rinvio) la legge n. 370 del 1999 viene, tra l’altro, a caratterizzarsi come un intervento del legislatore italiano che, per i soggetti contemplati, sulla sola condizione dell’essere beneficiari di taluni giudicati, procedette alla quantificazione del dovuto per l’obbligo risarcitorio, di modo che la relativa "quantificazione assunse anche nei confronti degli specializzandi non contemplati il valore di una sorta di aestimatio dell’obbligo risarcitorio, fatta spontaneamente dallo Stato".

Quanto detto rileva anche ai fini della rivalutazione e della decorrenza degli interessi, dovendo trovare applicazione il principio affermato nel menzionato precedente n. 1917/12 per il quale il giudice di rinvio dovrà riconoscere sulle somme dovute per ciascun anno, determinate alla stregua della L. n. 370 del 1999, art. 11, gli accessori soltanto dalla data dell’eventuale messa in mora o, in mancanza, dalla notificazione della domanda giudiziale.

3.- Col terzo motivo di ricorso si deduce "difetto di legittimazione passiva degli intestati Ministeri ricorrenti; violazione art. 2043 cod. civ., L. n. 400 del 1988, D.Lgs. n. 257 del 1991; violazione dei principi in materia di responsabilità dello Stato membro in materia di recepimento dell’ordinamento comunitario; violazione Direttiva 75/363, 82/76 CEE. Motivazione omessa e illegittima. Art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, per avere la Corte d’Appello rigettato l’eccezione di difetto di legittimazione passiva sollevata dai Ministeri appellanti, odierni ricorrenti. Sostengono questi ultimi che l’azione di recepimento delle direttive comunitarie nell’ordinamento interno spetterebbe esclusivamente alla Repubblica Italiana nella rappresentanza del Presidente del Consiglio dei Ministri pro tempore; i Ministeri ricorrenti, pertanto, non avrebbero alcuna attribuzione normativa suscettibile di tradursi in un’utile azione di recepimento dell’ordinamento comunitario; e ciò anche con riferimento alla L. n. 400 del 1985, riguardo alle attribuzioni della Presidenza del Consiglio dei Ministri. Aggiungono ulteriori considerazioni relativamente al D.Lgs. n. 257 del 1991, art. 6, menzionato in sentenza: si tratterebbe di norma in forza della quale la legittimazione passiva spetterebbe tutt’al più al Ministero dell’Istruzione, Università e Ricerca; si tratterebbe di norma comunque non applicabile al caso di specie, attesa la qualificazione data dalla Corte d’Appello al diritto riconosciuto in favore degli originari attori.

3.1.- Il motivo è fondato là dove la sentenza impugnata ha ravvisato la legittimazione dei Ministeri ricorrenti come tali, ma la sua fondatezza non può comportare la cassazione della sentenza, poichè si evidenzia semplicemente una situazione nella quale l’essere stata proposta la domanda, tra gli altri, anche contro i due Ministeri attuali ricorrenti vede questi ultimi comunque legittimati quali articolazioni direttamente riferibili alla Presidenza del Consiglio dei Ministri quale vertice dell’esecutivo abilitato a contraddire alla domanda.

La motivazione deve essere corretta secondo quanto appresso.

In primo luogo, va effettivamente sgomberato il campo da ogni riferimento al D.Lgs. n. 257 del 1991, art. 6, che, per quanto detto sopra, non trova applicazione al caso di specie.

Va, quindi, dato atto che la Corte d’Appello ha motivato il rigetto dell’eccezione di difetto di legittimazione passiva del Ministero della Salute e del Ministero dell’Economia e Finanze non solo col riferimento alla norma anzidetta, ma anche con l’ulteriore argomentazione per la quale "trattasi di organismi centrali dello stato membro della comunità europea, inadempiente all’obbligo di trasposizione nell’ordinamento interno", ritenendo gli stessi perciò responsabili dell’inadempimento.

Quest’ultima affermazione va corretta alla stregua del seguente principio di diritto: "Il limite introdotto, dalla disposizione di cui alla L. 25 marzo 1958, n. 260, art. 4 (recante Modificazioni alle norme sulla rappresentanza in giudizio dello Stato), alla rilevanza dell’erronea individuazione dell’autorità amministrativa competente a stare in giudizio (limite in virtù del quale l’errore di identificazione della persona alla quale l’atto introduttivo del giudizio e ogni altro atto doveva essere notificato, deve essere eccepito dall’Avvocatura dello Stato nella prima udienza, con la contemporanea indicazione della persona alla quale l’atto doveva essere notificato; eccezione dalla cui formulazione discende la rimessione in termini della parte attrice, alla quale il giudice deve assegnare un termine entro il quale l’atto introduttivo deve essere rinnovato), opera non solo con riguardo alla ipotesi di erronea vocatio in ius, in luogo del Ministro titolare di una determinata branca della P.A., di altra persona preposta ad un ufficio della stessa, ma anche con riferimento alla ipotesi di vocatio in ius di un Ministro diverso da quello effettivamente competente in relazione alla materia dedotta in giudizio" (Cass. n. 8697/2001; in senso conforme Cass. n. 11808/2003; sostanzialmente conformi: Cass. n. 16031/2001; n. 1405/2003; n. 4755/2003).

Questo orientamento – contraddetto isolatamente da Cass. n. 6917/2005 – ma riscontrato da Cass. sez. un. n. 3117 del 2006, è stato seguito anche nella materia de qua da Cass. n. 10814/11, che qui si richiama.

4.- Conclusivamente sono rigettati il primo ed il terzo motivo di ricorso. E’ accolto il secondo motivo e la sentenza è cassata in relazione, con rinvio alla Corte d’Appello di Roma, in diversa composizione, che deciderà anche sulle spese del giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La Corte accoglie il secondo motivo ricorso, rigettati gli altri;

cassa la sentenza impugnata nei limiti di cui in motivazione, rinvia alla Corte d’Appello di Roma in diversa composizione, anche per la decisione sulle spese del giudizio di cassazione.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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