Cass. civ. Sez. III, Sent., 10-04-2012, n. 5640 CE Formazione professionale

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1.- Con citazione del 14 giugno 2002 la dottoressa R. M., adducendo di essere medico specialista e di avere frequentato nel periodo 1988/1992 il relativo corso di specializzazione, conveniva in giudizio, davanti al Tribunale di Roma, il Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca Scientifica, il Ministero della Salute ed il Ministero dell’Economia e delle Finanze, nonchè l’Università degli Studi di Firenze e chiedeva che fosse accertato il suo diritto ad un’adeguata remunerazione e, per l’effetto, i convenuti fossero condannati, in solido oppure singolarmente ove ritenuti non tutti obbligati, al pagamento in suo favore della somma di Euro 10.845,59, oltre accessori, per ogni anno di corso frequentato.

I convenuti restavano contumaci.

2.- Con sentenza n. 1220/2005 il Tribunale di Roma accoglieva la domanda dell’attrice, condannando il Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, il Ministero dell’Economia e delle Finanze e il Ministero della Salute al pagamento della somma complessiva di Euro 44.415,28, oltre interessi legali dalla data della domanda; respingeva la domanda nei confronti dell’Università;

condannava i Ministeri anzidettì al pagamento delle spese di lite in favore dell’attrice.

3.- La sentenza veniva appellata davanti alla Corte d’Appello di Roma da tutti e tre i Ministeri, che proponevano le eccezioni di difetto di giurisdizione e di prescrizione, nonchè del proprio difetto di legittimazione passiva; contestavano, quindi, nel merito la pretesa dell’attrice come riconosciuta fondata in primo grado.

La Corte d’Appello, con sentenza del 17 marzo 2010, ha rigettato l’appello, condannando gli appellanti al pagamento delle spese del grado.

4.- Contro questa sentenza, il Ministero dell’Università e Ricerca, il Ministero della Salute ed il Ministero dell’Economia e delle Finanze propongono ricorso per cassazione affidato a tre motivi, illustrati da memoria.

L’intimata resiste con controricorso.

Motivi della decisione

1.- Col primo motivo di ricorso si deduce "difetto di legittimazione passiva degli intestati Ministeri ricorrenti; violazione art. 2043 cod. civ., D.Lgs. n. 257 del 1991, direttive 75/363 e 82/76 CEE;

motivazione omessa e illegittima; violazione L. n. 400 del 1988; art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5", per avere la Corte d’Appello rigettato l’eccezione di difetto di legittimazione passiva sollevata dai Ministeri appellanti, odierni ricorrenti. Sostengono questi ultimi che l’azione di recepimento delle direttive comunitarie nell’ordinamento interno spetterebbe esclusivamente alla Repubblica Italiana nella rappresentanza del Presidente del Consiglio dei Ministri pro tempore; i Ministeri ricorrenti, pertanto, non avrebbero alcuna attribuzione normativa suscettibile di tradursi in un’utile azione di recepimento dell’ordinamento comunitario; e ciò anche con riferimento alla L. n. 400 del 1985, riguardo alle attribuzioni della Presidenza del Consiglio dei Ministri. Aggiungono ulteriori considerazioni relativamente al D.Lgs. n. 257 del 1991, art. 6: si tratterebbe di norma comunque non applicabile al caso di specie, in quanto relativa al diritto ad un’adeguata retribuzione in capo ai medici frequentanti le scuole di specializzazione, quindi a fattispecie diversa da quella del recepimento delle direttive comunitarie, che è compito del Governo.

3.1.- Il motivo è fondato là dove la sentenza impugnata ha ravvisato la legittimazione dei Ministeri ricorrenti come tali, ma la sua fondatezza non può comportare la cassazione della sentenza, poichè si evidenzia semplicemente una situazione nella quale l’essere stata proposta la domanda contro i tre Ministeri attuali ricorrenti vede questi ultimi comunque legittimati quali articolazioni direttamente riferibili alla Presidenza del Consiglio dei Ministri, quale vertice dell’esecutivo abilitato a contraddire alla domanda La motivazione deve essere perciò corretta.

In primo luogo, va effettivamente sgomberato il campo da ogni riferimento al D.Lgs. n. 257 del 1991, art. 6.

La Corte d’Appello ha infatti qualificato la domanda della dottoressa R. facendo riferimento alla sentenza a Sezioni Unite del 17 aprile 2009 n. 9147, che ha espressamente richiamato, riportando in particolare la parte della motivazione in cui è menzionato il credito del danneggiato "alla riparazione del pregiudizio subito per effetto del c.d. fatto illecito del legislatore di natura indennitaria" nel quale, secondo la stessa sentenza, consiste il mancato o tardivo recepimento di direttive comunitarie. Coerente con tale (ri)qualificazione è il riferimento, più volte fatto in sentenza, al diritto al risarcimento del danno piuttosto che a quello ad una "adeguata remunerazione" ai sensi della normativa comunitaria.

Questa (ri)qualificazione della domanda non risulta censurata dai Ministeri, nè, sia pure con impugnazione incidentale, dalla dottoressa R..

Pertanto, ai fini del presente ricorso, va tenuto fermo il riferimento alla sentenza a Sezioni Unite n. 9147/09. Va, quindi, dato atto che la Corte d’Appello ha motivato il rigetto dell’eccezione di difetto di legittimazione passiva sollevata dai Ministeri appellanti con l’argomentazione per la quale "erano i soggetti tenuti, ciascuno per il profilo di propria competenza, a dare attuazione alle direttive 75/362 e 82/76, con l’introduzione, poi realizzata, di un nuovo ordinamento delle scuole di specializzazione in medicina. …omissis…".

Quest’ultima affermazione va corretta alla stregua del seguente principio di diritto: "Il limite introdotto, dalla disposizione di cui alla L. 25 marzo 1958, n. 260, art. 4 (recante Modificazioni alle norme sulla rappresentanza in giudizio dello Stato), alla rilevanza dell’erronea individuazione dell’autorità amministrativa competente a stare in giudizio (limite in virtù del quale l’errore di identificazione della persona alla quale l’atto introduttivo del giudizio e ogni altro atto doveva essere notificato, deve essere eccepito dall’Avvocatura dello Stato nella prima udienza, con la contemporanea indicazione della persona alla quale l’atto doveva essere notificato; eccezione dalla cui formulazione discende la rimessione in termini della parte attrice, alla quale il giudice deve assegnare un termine entro il quale l’atto introduttivo deve essere rinnovato), opera non solo con riguardo alla ipotesi di erronea vocatio in ius, in luogo del Ministro titolare di una determinata branca della P.A., di altra persona preposta ad un ufficio della stessa, ma anche con riferimento alla ipotesi di vocatio in ius di un Ministro diverso da quello effettivamente competente in relazione alla materia dedotta in giudizio" (Cass. n. 8697/2001; in senso conforme Cass. n. 11808/2003; sostanzialmente conformi: Cass. n. 16031/2001; n. 1405/2003; n. 4755/2003).

Questo orientamento – contraddetto isolatamente da Cass. n. 6917/2005 – ma riscontrato da Cass. sez. un. n. 3117 del 2006, è stato seguito anche nella materia de qua da Cass. n. 10814/11, che qui si richiama.

2.- Col secondo motivo di ricorso, si deduce "violazione art. 2043 cod. civ.; omessa, insufficiente contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio – art. 360 cod. proc. civ., nn. 3 e 5". I ricorrenti richiamano i principi espressi dalle Sezioni Unite di questa Corte con la sentenza n. 9147 del 2009, al fine di sostenere che, trattandosi di diritto a natura indennitaria e non risarcitoria, la Corte di merito avrebbe dovuto riconoscere al medico specializzando un mero indennizzo, e non liquidare somme ingenti a titolo risarcitorio.

In ogni caso, secondo i ricorrenti, la sentenza sarebbe viziata nella motivazione, poichè non darebbe contezza del ragionamento seguito per addivenire alla liquidazione del danno a titolo risarcitorio piuttosto che alla compensazione dell’istante "in termini esclusivamente indennitari". 2.1.- Va in premessa richiamato il principio espresso dalle Sezioni Unite di questa Corte, con la sentenza n. 9147 del 2009, secondo cui In caso di omessa o tardiva trasposizione da parte del legislatore italiano nel termine prescritto delle direttive comunitarie (nella specie, le direttive n. 75/362/CEE e n. 82/76/CEE, non autoesecutive, in tema di retribuzione della formazione dei medici specializzandi) sorge, conformemente ai principi più volte affermati dalla Corte di Giustizia, il diritto degli interessati al risarcimento dei danni che va ricondotto – anche a prescindere dall’esistenza di uno specifico intervento legislativo accompagnato da una previsione risarcitoria allo schema della responsabilità per inadempimento dell’obbligazione ex lege dello Stato, di natura indennitaria per attività non antigiuridica, dovendosi ritenere che la condotta dello Stato inadempiente sia suscettibile di essere qualificata come antigiuridica nell’ordinamento comunitario ma non anche alla stregua dell’ordinamento interno".

Orbene, va rilevato che la qualificazione dell’obbligazione come "indennitaria" consegue alla considerazione che la giurisprudenza della Corte di Giustizia (richiamata sia nella stessa sentenza che nelle sentenze di questa Corte nn. 10813, 10814, 10815, 10816 del 2011) esige che l’obbligazione risarcitoria dello Stato non sia condizionata al requisito della colpa; quindi, consegue all’operazione di sistemazione che le Sezioni Unite hanno fatto, collocando la responsabilità dello Stato nell’ambito della norma generale dell’art. 1176 cod. civ. e svincolandola dai presupposti soggettivi dell’art. 2043 cod. civ..

Tuttavia, l’obbligazione in parola si distingue da quella risarcitoria ex art. 2043 cod. civ. per la peculiarità della sua fonte, al di là del suo contenuto; il contenuto è, infatti, lato sensu risarcitorio. Le Sezioni Unite, richiamati i principi espressi al riguardo dalla Corte di Giustizia, hanno affermato che il credito del danneggiato "deve essere determinato, con i mezzi offerti dall’ordinamento interno, in modo da assicurare al danneggiato un’idonea compensazione della perdita subita in ragione del ritardo oggettivamente apprezzabile". 2.2.- Il dictum delle sezioni unite comporta che l’"idonea compensazione" debba rispondere, da un canto, al requisito della serietà, congruità e non irrisorietà, dovendosi ristorare un danno alla luce "della perdita subita in conseguenza del ritardo oggettivamente apprezzabile"; dall’altro, in assenza di alcuni degli elementi strutturali dell’illecito aquiliano, all’esigenza di non trasmutare in diritto al risarcimento tout court sì come predicato dall’art. 2043 c.c.; dall’altro ancora, all’inammissibilità di un’identificazione con il corrispettivo di una prestazione eseguita e non retribuita, secondo una concezione strettamente giuslavoristica e non, come nella specie, "paracontrattuale" da responsabilità statuale per atto privo, sul piano interno, del carattere della illiceità.

La remunerazione da ritenersi adeguata per la frequenza a della scuola di specializzazione in epoca anteriore al 1991 (e la cui perdita l’odierna resistente ha lamentato sub specie di danno risarcibile) non può essere equiparata alla remunerazione corrisposta per la frequenza dei corsi istituiti a far data dall’anno 1991/1992, poichè, come rilevato anche in altri precedenti di questa Corte, un’operazione in tal guisa concepita finirebbe per comportare l’applicazione retroattiva del Decreto n. 257 del 1991, e la trasformazione, in altri termini, di una disciplina comunque discrezionale quanto all’individuazione della misura della retribuzione (e pacificamente rimessa al legislatore statuale) e comunque irretroattiva sul piano della sua decorrenza, in una disposizione normativa sostanzialmente retroattiva.

Il motivo va quindi accolto; la sentenza impugnata va perciò cassata nella parte in cui ha confermato la sentenza di primo grado con riferimento al quantum debeatur ed ha accolto l’appello incidentale con riferimento alla decorrenza degli interessi.

2.3.- Al giudice del rinvio è demandato il compito di quantificare l’anzidetto peculiare diritto (para)risarcitorio spettante al medico specializzando.

Parametro di riferimento per il giudice territoriale sarà costituito dalle indicazioni contenute nella L. 19 ottobre 1999, n. 370, con la quale lo Stato italiano ha ritenuto di procedere ad un sostanziale atto di adempimento parziale soggettivo nei confronti di tutte le categorie astratte in relazione alle quali, dopo il 31 dicembre 1982, sì erano potute verificare le condizioni fattuali idonee a dare luogo all’acquisizione dei diritti previsti dalle direttive comunitarie, e che non risultavano considerate dal D.Lgs. del 1991.

In particolare, come affermato di recente da questa Corte (cfr. Cass. n. 1917/12, alla cui motivazione si fa integrale rinvio) la L. n. 370 del 1999 viene, tra l’altro, a caratterizzarsi come un intervento del legislatore italiano che, per i soggetti contemplati, sulla sola condizione dell’essere beneficiari di taluni giudicati, procedette alla quantificazione del dovuto per l’obbligo risarcitorio, di modo che la relativa "quantificazione assunse anche nei confronti degli specializzandi non contemplati il valore di una sorta di aestimatio dell’obbligo risarcitorio, fatta spontaneamente dallo Stato". Quanto detto rileva anche ai fini della decorrenza degli interessi, dovendo trovare applicazione il principio affermato nel menzionato precedente n. 1917/12 per il quale il giudice di rinvio dovrà riconoscere sulle somme dovute per ciascun anno, determinate alla stregua della L. n. 370 del 1999, art. 11, gli accessori soltanto dalla data dell’eventuale messa in mora o, in mancanza, dalla notificazione della domanda giudiziale.

3.- Il terzo motivo di ricorso, dato quanto sopra, è in parte inammissibile ed in parte infondato.

Con questo motivo si deduce "violazione decisioni Corte Giustizia U.E. 25.2.99, causa C.131/97 e 3/10/2000; art. 2043 cod. civ.;

Direttiva CEE 82/76, 75/362; errata individuazione caratteri direttive comunitarie pertinenti – omessa e illegittima motivazione.

Art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5".

I ricorrenti sostengono che, non essendo immediatamente applicabili nell’ordinamento interno le direttive delle quali è stata dedotta la violazione, il giudice di merito non avrebbe potuto riconoscere il diritto all’adeguata remunerazione dalle stesse previsto.

Sostengono altresì che non potrebbe sussistere nemmeno il diritto del singolo al risarcimento del danno per mancato recepimento delle direttive, in quanto questo potrebbe essere riconosciuto soltanto se si tratti di direttive sufficientemente precise e se la condotta dello Stato membro si sia concretata in una violazione grave e manifesta: secondo i ricorrenti, tali condizioni non sussisterebbero nel caso di specie.

3.1.- Il primo profilo di censura è inammissibile perchè non pertinente rispetto alla ratio della sentenza impugnata che, come detto sopra, va intesa nel senso che, riqualificando la domanda dell’attrice, abbia fatto applicazione dei principi espressi dalle Sezioni Unite di questa Corte nella più volte richiamata sentenza n. 9147/09.

Proprio siffatti principi inducono, altresì, al rigetto del secondo profilo di censura.

4.- Conclusivamente, rigettati il primo ed il terzo, va accolto il secondo motivo di ricorso. La sentenza va cassata in relazione, con rinvio alla Corte d’Appello di Roma, in diversa composizione, che deciderà anche sulle spese del giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La Corte accoglie il secondo motivo ricorso, rigettati gli altri;

cassa la sentenza impugnata nei limiti di cui in motivazione, rinvia alla Corte d’Appello di Roma in diversa composizione, anche per la decisione sulle spese del giudizio di cassazione.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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