Cass. civ. Sez. III, Sent., 10-04-2012, n. 5639 Collegi e ordini professionali

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza del 29/6/2010 la Corte d’Appello di Ancona respingeva il gravame interposto dal Consiglio dell’Ordine nazionale dei dottori agronomi e dottori forestali (Conaf) nei confronti della pronunzia Trib. Pesaro 5/11/2009 di accoglimento del ricorso proposto dal sig. P.A. in relazione alla decisione del suindicato Consiglio Nazionale di conferma della sanzione disciplinare della sospensione dall’esercizio della professione per mesi 6 al medesimo irrogata dal Consiglio provinciale dell’Ordine degli agronomi e dottori agrari per avere redatto atti e relazioni contabili ed economiche a sostegno di pratiche di finanziamenti europei in campo agricolo, operando come dipendente della società Società Impresa Verde Pesaro e Urbino s.r.l., a tale stregua "riducendosi a mere mansioni esecutive, e così venendo meno al dovere di autonomia professionale gravante su tutti i professionisti iscritti all’albo".

Avverso la suindicata pronunzia della corte di merito il Conaf propone ora ricorso per cassazione, affidato a 2 motivi, illustrati da memoria.

Resiste con controricorso il P., che ha presentato anche memoria.

Motivi della decisione

Con il 1 motivo il ricorrente denunzia violazione e falsa applicazione dell’art. 2232 c.c., art. 12 preleggi, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Lamenta non essersi dalla corte di merito considerato che il principio desumibile dall’impugnata sentenza in base al quale "l’incarico professionale con la conclusione del relativo contratto d’opera di cui all’art. 2230, e segg. potrebbe essere sottoscritto da chiunque (cioè anche da soggetti non professionisti), mentre risulterebbe rispettata la prescrizione dell’art. 2232 c.c., per il fatto di garantire che la prestazione professionale sia poi resa da un soggetto professionista" si pone in evidente contrasto con il principio di personalità della prestazione da parte del professionista, che "costituisce un elemento essenziale … (sia nella fase genetica, che funzionale) del contratto, in quanto espressione di interessi certamente determinanti nell’affidamento dell’incarico".

Con il 2 motivo il ricorrente denunzia violazione e falsa applicazione della L. n. 3 del 1976, art. 3, art. 12 preleggi, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Lamenta essersi dalla corte di merito erroneamente ritenuta ammissibile la prestazione di attività professionale non limitatamente all’ambito di società "professionali" riconosciute dall’ordinamento, e cioè di società diversa da quella di ingegneria, bensì anche alle dipendenze altrui (nella specie, società di capitali), atteso che "il rapporto rimane pur sempre legato sulla personalità, che, secondo la corretta interpretazione … va inteso come permeante sia la fase genetica del rapporto, sia la fase esecutiva".

I motivi, che possono congiuntamente esaminarsi in quanto connessi, sono in parte inammissibili e in parte infondati.

Come questa Corte ha già avuto più volte modo di affermare, i motivi posti a fondamento dell’invocata cassazione della decisione impugnata debbono avere i caratteri della specificità, della completezza, e della riferibilità alla decisione stessa, con -fra l’altro-l’esposizione di argomentazioni intelligibili ed esaurienti ad illustrazione delle dedotte violazioni di norme o principi di diritto, essendo inammissibile il motivo nel quale non venga precisato in qual modo e sotto quale profilo (se per contrasto con la norma indicata, o con l’ interpretazione della stessa fornita dalla giurisprudenza di legittimità o dalla prevalente dottrina) abbia avuto luogo la violazione nella quale si assume essere incorsa la pronuncia di merito.

Sebbene l’esposizione sommaria dei fatti di causa non deve necessariamente costituire una premessa a sè stante ed autonoma rispetto ai motivi di impugnazione, è tuttavia indispensabile, per soddisfare la prescrizione di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4, che il ricorso, almeno nella parte destinata alla esposizione dei motivi, offra, sia pure in modo sommario, una cognizione sufficientemente chiara e completa dei fatti che hanno originato la controversia, nonchè delle vicende del processo e della posizione dei soggetti che vi hanno partecipato, in modo che tali elementi possano essere conosciuti soltanto mediante il ricorso, senza necessità di attingere ad altre fonti, ivi compresi i propri scritti difensivi del giudizio di merito, la sentenza impugnata ed il ricorso per cassazione (v. Cass., 23/7/2004, n. 13830; Cass., 17/4/2000, n. 4937; Cass., 22/5/1999r n. 4998).

E’ cioè indispensabile che dal solo contesto del ricorso sia possibile desumere una conoscenza del "fatto", sostanziale e processuale, sufficiente per bene intendere il significato e la portata delle critiche rivolte alla pronuncia del giudice a quo (v.

Cass., 4/6/1999, n. 5492).

Orbene, i suindicati principi risultano invero non osservati dall’odierno ricorrente.

Già sotto l’assorbente profilo dell’autosufficienza, va posto in rilievo come il medesimo faccia richiamo ad atti e documenti del giudizio di merito es., alla "copia di progetti, relazioni tecnico- contabili e tecnico-economiche, fatture od altri documenti di spesa presentati dalla Società Impresa Verde Pesaro e Urbino s.r.l. (nella quale vi erano gli atti a firma del Dott. P.)", alla Delib.

17 marzo 2008 con la formulazione degli addebiti, alla documentazione prodotta dal P. "a suo discarico", al "verbale n. 8/2008" del "Consiglio Provinciale di Pesaro e Urbino", alla "decisione del 12-2-6.3.2009, n. 1/2009" del Conaf, all’"atto depositato in data 10 aprile 2009 e notificato al Conaf a mezzo posta in data 22-29 aprile 2009", alla "comparsa del 18 maggio 2009", alla "sentenza n. 3/2009" del Tribunale di Pesaro, all’"atto di appello depositato in data 18 dicembre 2009", alla "comparsa di costituzione con appello incidentale del 15 giugno 2010", di cui lamenta la mancata o erronea valutazione, limitandosi a meramente richiamarli, senza invero debitamente – per la parte d’interesse in questa sede – riprodurli nel ricorso, ovvero, laddove riprodotti, senza puntualmente indicare in quale sede processuale, pur individuati in ricorso, gli stessi risultino prodotti, e ai sensi dell’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, se siano stati prodotti anche in sede di legittimità (v. Cass., 23/9/2009, n. 20535; Cass., 3/7/2009, n. 15628; Cass., 12/12/2008, n. 29279), la mancanza anche di una sola di tali indicazioni rendendo il ricorso inammissibile (cfr. Cass., 19/9/2011, n. 19069; Cass., 23/9/2009, n. 20535; Cass., 3/7/2009, n. 15628; Cass., 12/12/2008, n. 29279).

A tale stregua non pone questa Corte nella condizione di effettuare il richiesto controllo (anche in ordine alla tempestività e decisività dei denunziati vizi), da condursi sulla base delle sole deduzioni contenute nel ricorso, alle cui lacune non è possibile sopperire con indagini integrative, non avendo la Corte di legittimità accesso agli atti del giudizio di merito (v. Cass., 24/3/2003, n. 3158; Cass., 25/8/2003, n. 12444; Cass., 1/2/1995, n. 1161).

Quanto al merito, va ulteriormente sottolineato come la legge L. n. 3 del 1976 (come modificata dalla L. n. 152 del 1992 e dal D.P.R. n. 169 del 2005) preveda espressamente che i dottori agronomi e i dottori forestali possono esercitare l’attività professionale (volta a valorizzare e gestire i processi produttivi agricoli, zootecnici e forestali, a tutelare l’ambiente e, in generale, le attività riguardanti il mondo rurale: art. 2, comma 1) sia in "forma autonoma", e cioè come liberi professionisti, sia "con rapporto d’impiego o collaborazione a qualsiasi titolo", e pertanto anche come dipendenti privati, in entrambe le ipotesi dovendo essere obbligatoriamente iscritti all’albo (art. 3, comma 2).

La chiara previsione normativa trova invero sintomatica conferma nell’ulteriore precisazione che i dottori agronomi e i dottori forestali possono esercitare attività professionale anche se "dipendenti dello Stato o di altra pubblica amministrazione", in tal caso non necessitando di iscrizione all’albo qualora esercitino la loro attività professionale nell’esclusivo interesse dello Stato (art. 3, comma 3).

Su loro richiesta, anche in tale ipotesi essi possono essere peraltro iscritti all’albo, ma non anche esercitare la libera professione, se non "nei casi previsti dagli ordinamenti loro applicabili" (art. 3, comma 4).

Orbene, nel fare espressamente richiamo a siffatta disciplina, la corte di merito ha nell’impugnata sentenza della medesima dato congrua interpretazione e fatto corretta applicazione, traendone i debiti corollari, atteso che alla stregua dell’interpretazione letterale e funzionale della sopra riportata normativa non è dato invero in alcun modo desumere, diversamente da quanto sostenuto dal ricorrente, la limitazione della relativa portata alla mera ipotesi che "il professionista agronomo e forestale presti la propria attività in rapporto di collaborazione/dipendenza con le società di ingegneria".

La corte di merito ha in termini condivisibili al riguardo ulteriormente sottolineato che allorquando l’attività di agronomo venga come nella specie svolta in forma di lavoro dipendente è invero sufficiente che i relativi profili "strettamente intellettuali" risultino assolti "entro la personale sfera di signoria metodologica del professionista, il quale pur si avvalga di un più ampio supporto logistico", ponendo – all’esito dell’accertamento di merito spettategli – in rilievo come non sia stata dall’odierno ricorrente, in assolvimento dell’onere su di esso incombente, data invero la prova che nel redigere le relazioni tecnico-economiche da allegare alle domande di finanziamento nell’ambito del Piano di Sviluppo Rurale (PSR) 2000-2006 della Regione Marche il P. abbia nel caso operato in assenza di autonomia inerenti incarichi direttamente assunti dalla società Impresa Verde Pesaro e Urbino s.r.l..

Nè, si noti, valore alcuno può in contrario riconoscersi all’assunto del ricorrente secondo cui "il contraente l’obbligazione professionale … può e deve essere solo colui che può assumere l’obbligo di adempiere all’attività professionale e cioè il professionista iscritto nel relativo albo ( art. 2231 c.c.)", l’art. 2232 c.c. (così come l’art. 2231 c.c.) avendo invero riguardo alla mera esecuzione dell’attività d’opera intellettuale, e non venendo nel caso in rilievo la diversa tematica della nullità dei contratti stipulati da soggetto non iscritto nell’apposito albo professionale.

All’inammissibilità ed infondatezza dei motivi consegue il rigetto del ricorso.

Le spese, liquidate come in dispositivo in favore del controricorrente P., seguono la soccombenza.

Non è a farsi luogo a pronunzia in ordine alle spese in favore degli altri intimati, non avendo i medesimi svolto attività difensiva.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in complessivi Euro 9.200,00, di cui Euro 9.000,00 per onorari, oltre a spese generali ed accessori come per legge, in favore del controricorrente P..

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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