Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 07-07-2011) 24-10-2011, n. 38208

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1) Con sentenza in data 22.3.2010 la Corte di Appello di Trento, sez. dist. di Bolzano, confermava la sentenza del Tribunale di Bolzano del 10.3.2006, con la quale W.K. era stato condannato alla pena di anni 7 di reclusione per il reato di cui all’art. 81 c.p., comma 2, art. 609 bis c.p., e art. 609 ter c.p., comma 1, n. 1 (per avere, in esecuzione di un medesimo disegno criminoso con più azioni, con la minaccia consistita nel dirle, qualora non avesse taciuto, che sarebbe dovuta tornare dal padre naturale, con il quale non aveva un buon rapporto, costretto la minore T.J., nata il (OMISSIS), per 3-4 volte, ad atti sessuali..).

Premetteva la Corte territoriale che, in considerazione dei rilievi difensivi in ordine all’attendibilità della parte offesa, al carattere suggestivo delle domande poste dal GIP in sede di incidente probatorio, ed alla discutibile metodologia scientifica adottata dal perito di ufficio chiamato a pronunciarsi su un eventuale disagio psicologico della minore e sulla sua capacità a rendere testimonianza, era stata disposta una nuova perizia, che era stata effettuata in lingua tedesca (lingua della parte offesa).

Al perito erano state affidate tre distinte perizie e le relazioni erano state poi tradotte in lingua italiana.

Tanto premesso e richiamata la sentenza di primo grado, logica e coerente nella ricostruzione dei fatti, rilevava la Corte territoriale che non erano emersi elementi idonei a minare l’attendibilità della parte offesa, le cui dichiarazioni risultavano confermate anche "ab externo".

In ordine alle tre perizie le parti nulla avevano eccepito, tranne rilievi marginali confutati dal perito in sede di esame e di replica scritta.

La pena non poteva essere irrogata in termini più favorevoli all’imputato; nè poteva essere concessa la circostanza attenuante del fatto di minore gravità, per la estrema gravità dei fatti e per il danno cagionato alla psiche della ragazza.

2) Propone ricorso per cassazione W.K., a mezzo del difensore, denunciando con il primo motivo, la mancanza e manifesta illogicità della motivazione in relazione alla ritenuta attendibilità della parte offesa.

In accoglimento della richiesta contenuta nei motivi di appello la Corte aveva nominato un nuovo perito che aveva espresso giudizi severissimi sulla indagine condotta dal perito nominato nel corso del giudizio di primo grado, ritenendo, comunque, a sua volta, credibile la minore.

Dopo aver richiamato la giurisprudenza di legittimità in relazione al metodo di assunzione ed alla valenza probatoria delle dichiarazioni testimoniali rese dal minore, rileva che la Corte territoriale si è adagiata sulle conclusioni del perito senza procedere ad un esame rigoroso e prudente di quelle dichiarazioni.

Con il secondo motivo denuncia la mancanza e manifesta illogicità della motivazione, la omessa motivazione in relazione alla valutazione di un mezzo probatorio dedotto nei motivi di appello, il travisamento della prova.

La Corte territoriale apoditticamente ha ritenuto la piena attendibilità della parte offesa sol perchè la stessa aveva confermato anche nel dibattimento di appello gli episodi di cui alla contestazione, senza che emergessero elementi che ne minassero l’attendibilità.

Non ha tenuto conto, però, che le dichiarazioni della ragazza non solo non erano confermate ab externo, ma erano contraddette da altri elementi che facevano dubitare della loro veridicità.

E’ evidente l’errore in procedendo, avendo la Corte negato, di fatto, l’esistenza di un atto probatorio (vizio di travisamento della prova che può essere fatto valere, come error in procedendo a norma dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. c) in sede di legittimità).

In ogni caso il palese travisamento della prova sarebbe censurabile ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. e).

La Corte di merito ha infatti completamente trascurato ed omesso di motivare in ordine ad elementi probatori fondamentali, quali le dichiarazioni della madre della parte offesa, della nonna materna, dei testi Tr.He., M.Z., U. P., del padre della parte offesa.

Con il terzo motivo denuncia la mancanza e manifesta illogicità della motivazione in relazione alla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche e dell’attenuante di cui all’art. 609 quater c.p., comma 3. 3) Con memoria in data 7.6.2011 il difensore di parte civile, in via preliminare, eccepisce l’inammissibilità del ricorso, per non avere l’imputato specificato in modo chiaro i capi e i punti della sentenza impugnati, e comunque l’inconsistenza, non decisività ed infondatezza del ricorso medesimo, confutando i rilievi in esso contenuti in relazione alla inattendibilità della parte offesa.

Rileva poi che, correttamente, sono state negate le circostanze attenuanti generiche e la circostanza attenuante di cui all’art. 609 quater c.p., comma 3. 4) Il ricorso è infondato.

4.1) Va ricordato, preliminarmente, che, come ribadito costantemente da questa Corte, pur dopo la nuova formulazione dell’art. 606 c.p.p., lett. e), novellato dalla L. 20 febbraio 2006, n. 46, art. 8, "il sindacato del giudice di legittimità sul discorso giustificativo del provvedimento impugnato deve essere volto a verificare che la motivazione della pronunzia: a) sia "effettiva" e non meramente apparente, ossia realmente idonea a rappresentare le ragioni che il giudicante ha posto a base della decisione adottata; b) non sia "manifestamente illogica", in quanto risulti sorretta, nei suoi punti essenziali, da argomentazioni non viziate da evidenti errori nell’applicazione delle regole della logica; c) non sia internamente contraddittoria, ovvero sia esente da insormontabili incongruenze tra le sue diverse parti o da inconciliabilità logiche tra le affermazioni in essa contenute; d) non risulti logicamente "incompatibile" con "altri atti del processo" (indicati in termini specifici ed esaustivi dal ricorrente nei motivi posti a sostegno del ricorso per Cassazione) in termini tali da risultarne vanificata o radicalmente inficiata sotto il profilo logico (Sez. 6^, 15 marzo 2006, ric. Casula).

Non è, dunque, sufficiente che gli atti del processo invocati dal ricorrente siano semplicemente "contrastanti" con particolari accertamenti e valutazioni del giudicante o con la sua ricostruzione complessiva e finale dei fatti e delle responsabilità nè che siano astrattamente idonei a fornire una ricostruzione più persuasiva di quella fatta propria dal giudicante.

Ogni giudizio, infatti, implica l’analisi di un complesso di elementi di segno non univoco e l’individuazione, nel loro ambito, di quei dati che – per essere obiettivamente più significativi, coerenti tra loro e convergenti verso un’unica spiegazione – sono in grado di superare obiezioni e dati di segno contrario, di fondare il convincimento del giudice e di consentirne la rappresentazione, in termini chiari e comprensibili, ad un pubblico composto da lettori razionali del provvedimento.

E’, invece, necessario che gli atti del processo richiamati dal ricorrente per sostenere l’esistenza di un vizio della motivazione siano autonomamente dotati di una forza esplicativa o dimostrativa tale che la loro rappresentazione sia in grado di disarticolare l’intero ragionamento svolto dal giudicante e determini al suo interno radicali incompatibilità, cosi da vanificare o da rendere manifestamente incongrua o contraddittoria la motivazione (Sez. 6^, 15 marzo 2006, ric. Casula).

Il giudice di legittimità è, pertanto, chiamato a svolgere un controllo sulla persistenza o meno di una motivazione effettiva, non manifestamente illogica e internamente coerente, a seguito delle deduzioni del ricorrente concernenti "atti del processo".

Tale controllo, per sua natura, è destinato a tradursi – anche a fronte di una pluralità di deduzioni connesse a diversi "atti del processo" e di una correlata pluralità di motivi di ricorso – in una valutazione, di carattere necessariamente unitario e globale, sulla reale "esistenza" della motivazione e sulla permanenza della "resistenza" logica del ragionamento del giudice.

Al giudice di legittimità resta, infatti, preclusa, in sede di controllo sulla motivazione, la pura e semplice rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione o l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, preferiti a quelli adottati dal giudice di merito, perchè ritenuti maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa.

Queste operazioni trasformerebbero, infatti, la Corte nell’ennesimo giudice del fatto e le impedirebbero di svolgere la peculiare funzione assegnatale dal legislatore di organo deputato a controllare che la motivazione dei provvedimenti adottati dai giudici di merito (a cui le parti non prestino autonomamente acquiescenza) rispetti sempre uno standard di intrinseca razionalità e di capacità di rappresentare e spiegare l’iter logico seguito dal giudice per giungere alla decisione (cfr. Cass. sez. 1^ n.42369/2006).

Esaminata in quest’ottica la motivazione della sentenza d’appello si sottrae alle censure che le sono state mosse, perchè il provvedimento impugnato, con motivazione esente da evidenti incongruenze o da interne contraddizioni, richiamando anche la motivazione della sentenza di primo grado, ha puntualmente indicato le risultanze probatorie da cui emerge la piena responsabilità dell’imputato per il reato ascritto.

4.1.1) L’esame della piena attendibilità delle dichiarazioni della minore è argomentato e puntuale e non è stata certo rimesso dai giudici di merito alle valutazioni del perito.

Pur prendendo atto delle critiche rivolte dalla difesa alle modalità di svolgimento dell’incidente probatorio, ha evidenziato la Corte territoriale che la persona offesa aveva, in sede di dibattimento di appello, confermato gli episodi oggetto della contestazione, già riferiti in sede di incidente probatorio. Ha poi la Corte di merito, richiamando le conclusioni del perito, neppure contestate dalle parti in relazione al loro nucleo essenziale, sottolineato che la minore risultava pienamente capace di testimoniare e che le sue dichiarazioni erano fondate "su concreti dati esperenziali e non frutto di suggestione e/o fantasia".

Estremamente significativo era poi il fatto che gli episodi oggetto della imputazione erano stati riferiti dalla minore, negli stessi termini, alla madre, al perito d’ufficio ed alla psicologa presso cui era in cura. Le dichiarazioni di questi ultimi erano, quindi, da valutare come riscontri; riscontri, anche se meno significativi, si traevano dalle testimonianze della nonna e di B. E., vicina di casa.

Già il Tribunale aveva evidenziato in proposito come la concordanza dei racconti sui fatti resi dalla persona offesa in momenti diversi fosse "sicuro indice della veridicità del contenuto degli stessi, considerato anche il notevole lasso di tempo intercorso…".

Il Tribunale aveva dato anche una spiegazione logica ed argomentatata in ordine al silenzio serbato inizialmente da T.J. ed al momento in cui essa aveva deciso di raccontare l’accaduto alla madre (pag.14 e ss. sent. Trib.).

Aveva, poi, analizzato gli ulteriori elementi probatori che avvaloravano quanto riferito dalla parte offesa (pag. 17 e ss. sent.

Trib.).

Legittimamente, pertanto, la Corte si è limitata a rinviare per relationem a tale motivazione. Le sentenze, quindi, vanno lette e valutate congiuntamente.

E’ pacifico, infatti, che, nell’ipotesi di conferma della sentenza di primo grado, le due motivazioni si integrino a vicenda, confluendo in un risultato organico ed inscindibile al quale occorre far riferimento per giudicare della congruità della motivazione.

Allorchè, quindi, le due sentenze concordino nell’analisi e nella valutazione degli elementi di prova posti a fondamento delle rispettive decisioni, la struttura motivazionale della sentenza di appello si salda con quella precedente per formare un unico complesso corpo argomentativo (cfr. ex multis Cass. sez. 1^, n. 8868 del 26.6.2000 – Sangiorgi).

4.1.2) Il ricorrente assume che le dichiarazioni della minore risultano contraddette da altre acquisizioni istruttorie (richiamate ed allegate al ricorso), che la Corte di merito non ha valutato, essendosi limitata ad affermare genericamente che non erano emersi elementi tali da minare l’attendibilità della persona offesa.

Non tiene conto però che il Tribunale, alla cui sentenza correttamente ha, come si è visto, rinviato per relationem la Corte territoriale, aveva esaminato già tali elementi pervenendo alla conclusione che essi convalidavano piuttosto, anzichè smentire, le dichiarazioni della parte offesa.

Attraverso una lettura, per di più "parcellizzata" (isolando singole affermazioni dal contesto complessivo) degli indicati atti processuali, si propone una diversa interpretazione di tali acquisizione e si richiede sostanzialmente un riesame nel merito delle stesse.

Oppure si lamenta l’omesso esame di singole doglianze contenute nell’atto di appello, senza tener conto che "Nella motivazione della sentenza il giudice di merito non è tenuto a compiere un’analisi approfondita di tutte le deduzioni delle parti e a prendere in esame dettagliatamente tutte le risultanze processuali, essendo invece sufficiente che, anche attraverso una valutazione globale di quelle deduzioni e risultanze, spieghi, in modo logico e adeguato, le ragioni che hanno determinato il suo convincimento, dimostrando di aver tenuto presente ogni fatto decisivo; nel qual caso devono considerarsi implicitamente disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata" (Cass. pen. Sez. 4^ n. 1149 del 24.10.2005 – Mirabilia; v. anche Cass. sez. un. n. 36757 del 2004 Rv. 229688).

4.2) Quanto al riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, secondo giurisprudenza consolidata di questa Corte, non è necessaria una analitica valutazione di tutti gli elementi, favorevoli o sfavorevoli, dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti, essendo sufficiente la indicazione degli elementi ritenuti decisivi e rilevanti, rimanendo disattesi o superati tutti gli altri.

Non è necessario, quindi, scendere alla valutazione di ogni singola deduzione difensiva, dovendosi, invece, ritenere sufficiente che il giudice indichi, nell’ambito del potere discrezionale riconosciutogli dalla legge, gli elementi di preponderante rilevanza ritenuti ostativi alla concessione delle attenuanti. Il preminente e decisivo rilievo accordato all’elemento considerato implica infatti il superamento di eventuali altri elementi, suscettibili di opposta e diversa significazione, i quali restano implicitamente disattesi e superati. Sicchè anche in sede di impugnazione il giudice di secondo grado può trascurare le deduzioni specificamente esposte nei motivi di gravame quando abbia individuato, tra gli elementi di cui all’art. 133 c.p., quelli di rilevanza decisiva ai fini della connotazione negativa della personalità dell’imputato e le deduzioni dell’appellante siano palesemente estranee o destituite di fondamento (cfr. Cass. pen. sez. 1^, n. 6200 del 3.3.1992; Cass. sez. 6^ n. 34364 del 16.6.2010).

L’obbligo della motivazione non è certamente disatteso quando non siano state prese in considerazione tutte le prospettazioni difensive, a condizione però che in una valutazione complessiva il giudice abbia dato la prevalenza a considerazioni di maggior rilievo, disattendendo implicitamente le altre. E la motivazione, fondata sulle sole ragioni preponderanti della decisione non può, purchè congrua e non contraddittoria, essere sindacata in cassazione neppure quando difetti di uno specifico apprezzamento per ciascuno dei pretesi fattori attenuanti indicati nell’interesse dell’imputato (cfr. Cass. pen. sez. 6^ n. 7707 del 4.12.2003).

Il Tribunale aveva negato l’invocato beneficio ritenendo assolutamente ostativi i numerosi precedenti penali.

In presenza di una impugnazione in cui si contestava genericamente (ai limiti dell’ammissibilità) la decisione del Tribunale, la Corte territoriale non aveva alcun onere di argomentare specificamente sul punto.

Peraltro dalla complessiva motivazione della sentenza emerge come, non solo i numerosi precedenti che connotavano negativamente la personalità dell’imputato, ma anche la estrema gravità dei fatti, rendevano il prevenuto immeritevole dell’invocato beneficio.

4.3) Infine, la Corte territoriale ha adeguatamente e correttamente motivato in ordine alla mancata concessione della circostanza attenuante speciale di cui all’art. 609 quater c.p., comma 3.

Come ripetutamente affermato da questa Corte detta attenuante (come anche quella di cui all’art. 609 bis c.p., comma 3) deve considerarsi applicabile in tutte quelle fattispecie in cui, avuto riguardo ai mezzi, alle modalità esecutive ed alle circostanze dell’azione, sia possibile ritenere che la libertà sessuale della vittima (bene- interesse tutelato dalla norma) sia stata compressa in maniera non grave.

Deve quindi farsi riferimento ad una valutazione globale del fatto, quali mezzi, modalità esecutive, grado di coartazione esercitato sulla vittima, condizioni fisiche e mentali di questa, caratteristiche psicologiche valutate in relazione all’età, così da poter ritenere che la libertà sessuale sia stata compressa in modo non grave, come, pure, il danno arrecato anche in termini psichici (cfr. Cass. pen. sez. 3^, n. 5002 del 7.11.2006; Cass. pen. sez. 3^, n. 45604 del 13.11.2007).

Bisogna tener conto cioè, oltre che della materialità del fatto, di tutte le modalità della condotta criminosa e del danno arrecato alla parte lesa ovvero degli elementi indicati dal comma primo dell’art. 133 c.p., ma non possono venire in rilievo gli ulteriori elementi di cui al comma 2 dello stesso art. 133, utilizzabili solo per la commisurazione complessiva della pena" (Cass. pen. sez. 3^, n. 2597 del 25.11.2003).

Anche di recente questa Corte ha ribadito che ai fini del riconoscimento dell’attenuante della minore gravità non rileva di per sè la "natura" e "l’entità" dell’abuso, essendo necessario valutare il fatto nel suo complesso (Cass. sez. 3^, n. 10085 del 5.2.2009).

La Corte di merito si è attenuta a tali principi, valutando globalmente il fatto ed il danno provocato alla vittima e sottolineando come la condotta dell’imputato aveva, oltre che nel corpo, "inciso pesantemente anche sulla psiche della ragazzina, abusando dei sentimenti e della confidenza della ragazza nella sua persona e soprattutto tentando di ottenere il suo silenzio con promesse e/o ricatti di vario genere..". 4.4) Il ricorso va pertanto rigettato, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonchè alla rifusione delle spese sostenute nel grado dalla costituita parte civile che si liquidano in complessivi Euro 2.000,00, oltre accessori di legge.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali ed alla rifusione delle spese sostenute dalla parte civile che liquida in Euro 2.000,00, oltre accessori di legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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