Cass. civ. Sez. III, Sent., 10-04-2012, n. 5637

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza del 15/7/2009 il Tribunale di Napoli respingeva il gravame interposto dalla sig. C.I. nei confronti della pronunzia G. di P. Ischia 14/2/2007 di rigetto della domanda proposta nei confronti del sig. G.L. di risarcimento dei danni lamentati in conseguenza dell’illecita ritrazione da parte di costui di fotografie di sito di sua proprietà.

Avverso la suindicata pronunzia del giudice dell’appello la C. propone ora ricorso per cassazione, affidato a 4 motivi.

Resiste con controricorso il G..

Motivi della decisione

Con il 1^, il 2^ e il 3^ motivo la ricorrente denunzia violazione o falsa applicazione degli artt. 114, 115 bis c.p., in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3; nonchè "omessa, insufficiente, illogica o contraddittoria" motivazione su punti decisivi della controversia, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Si duole che erroneamente il giudice dell’appello abbia ritenuto che il sito fotografato non fosse la sua "abitazione o ad essa legato da un nesso funzionale o spaziale", in contrasto con le emergenze processuali, e in particolare a) con la "documentazione fotografica esibita", trattandosi di "foto estratte dal riferito altro giudizio ed esibite nel presente in copia conforme" le quali "danno … atto che il fondo era così destinato e recintato, leggendosi sul retro delle medesime, con scrittura di pugno dello stesso convenuto G.: cancello e parcheggio auto abusivo al parco (OMISSIS) e recinti di parcheggio"; nonchè b) con la "condotta processuale" del G., che aveva chiesto tutela civilistica proprio per la circostanza che il fondo altro non costituisse se non "luogo di privata dimora dell’attrice o appartenenza di essa", al fine di "essere indennizzato per il carico urbanistico" derivante "dalla destinazione dell’opera abusiva", che non avrebbe altrimenti avuto ragione di chiedere.

Lamenta che la nozione di domicilio in senso penalistico ricomprende invero "tutti i luoghi di effettiva proiezione spaziale della persona e di estrinsecazione della personalità individuale in cui possa farsi valere lo ius excludendi alios", sicchè erroneamente il giudice dell’appello ha nel caso escluso che il "fondo recintato dell’attrice sito nel medesimo complesso condominiale a pochi metri di distanza dalla sua unità abitativa a quella asservita in una evidente relazione di servizio" fosse "luogo adibito ad uso privato".

Si duole che erroneamente il giudice dell’appello (come quello di primo grado) abbia rigettato la domanda ritenendola "carente di istruttoria probatoria", pur avendo "immotivatamente tralasciato ed omesso l’esame delle richieste istruttorie".

Con il 4 motivo denunzia violazione o falsa applicazione dell’art. 345 c.p.c., art. 2697 c.c., artt. 115, 116 c.p.c., in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3; nonchè "omessa, insufficiente, illogica o contraddittoria" motivazione su punto decisivo della controversia, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Si duole che il giudice dell’appello abbia erroneamente ritenuto essere stata nel caso integrata un’ipotesi di mutatio libelli, atteso che la circostanza che il fondo de quo fosse destinato a parcheggio di autovetture era stato introdotto in causa già con la "più volte richiamata citazione del 2 maggio 2005", nonchè con l’indicazione del "verso delle stesse fotografie contestate, recanti le non smentite iscrizioni di suo pugno richiamanti la destinazione ed uso detti".

Lamenta essersi da tale giudice erroneamente ritenuto non avere ella contestato l’assunto che il fondo de quo fosse nella detenzione dell’appaltatore dei lavori, attese le "foto esibite" ed il tenore delle "note davanti al Giudice di Pace di Ischia allegate al verbale d’udienza 30.01.2006", come pure delle "note allegate al verbale 09.06.2006".

I motivi, che possono congiuntamente esaminarsi in quanto connessi, sono in parte inammissibili e in parte infondati.

Come questa Corte ha già avuto più volte modo di affermare i motivi posti a fondamento dell’invocata cassazione della decisione impugnata debbono avere i caratteri della specificità, della completezza, e della riferibilità alla decisione stessa, con -fra l’altro- l’esposizione di argomentazioni intelligibili ed esaurienti ad illustrazione delle dedotte violazioni di norme o principi di diritto, essendo inammissibile il motivo nel quale non venga precisato in qual modo e sotto quale profilo (se per contrasto con la norma indicata, o con 1rinterpretazione della stessa fornita dalla giurisprudenza di legittimità o dalla prevalente dottrina) abbia avuto luogo la violazione nella quale si assume essere incorsa la pronuncia di merito.

Sebbene l’esposizione sommaria dei fatti di causa non deve necessariamente costituire una premessa a sè stante ed autonoma rispetto ai motivi di impugnazione, è tuttavia indispensabile, per soddisfare la prescrizione di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4, che il ricorso, almeno nella parte destinata alla esposizione dei motivi, offra, sia pure in modo sommario, una cognizione sufficientemente chiara e completa dei fatti che hanno originato la controversia, nonchè delle vicende del processo e della posizione dei soggetti che vi hanno partecipato, in modo che tali elementi possano essere conosciuti soltanto mediante il ricorso, senza necessità di attingere ad altre fonti, ivi compresi i propri scritti difensivi del giudizio di merito, la sentenza impugnata ed il ricorso per cassazione (v. Cass., 23/7/2004, n. 13830; Cass., 17/4/2000, n. 4937; Cass., 22/5/1999, n. 4998).

E’ cioè indispensabile che dal solo contesto del ricorso sia possibile desumere una conoscenza del "fatto", sostanziale e processuale, sufficiente per bene intendere il significato e la portata delle crìtiche rivolte alla pronuncia del giudice a quo (v.

Cass., 4/6/1999, n. 5492).

Quanto al vizio di motivazione ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, va invero ribadito che esso si configura solamente quando dall’esame del ragionamento svolto dal giudice del merito, quale risulta dalla sentenza, sia riscontrabile il mancato o insufficiente esame di punti decisivi della controversia prospettati dalle parti o rilevabili d’ufficio, ovvero un insanabile contrasto tra le argomentazioni adottate, tale da non consentire l’identificazione del procedimento logico giuridico posto a base della decisione (in particolare cfr.

Cass., 25/2/2004, n. 3803).

Tale vizio non consiste pertanto nella difformità dell’apprezzamento dei fatti e delle prove preteso dalla parte rispetto a quello operato dal giudice di merito (v. Cass., 14/3/2006, n. 5443; Cass., 20/10/2005, n. 20322).

La deduzione di un vizio di motivazione della sentenza impugnata con ricorso per cassazione conferisce infatti al giudice di legittimità non già il potere di riesaminare il merito dell’intera vicenda processuale sottoposta al suo vaglio, bensì la mera facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico-formale, delle argomentazioni svolte dal giudice del merito, cui in via esclusiva spetta il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l’attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi, di dare (salvo i casi tassativamente previsti dalla legge) prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti (v. Cass., 7/3/2006, n. 4842;. Cass., 27/4/2005, n. 8718).

Orbene, i suindicati principi risultano invero non osservati dall’odierna ricorrente.

Già sotto l’assorbente profilo dell’autosufficienza, va posto in rilievo come la medesima faccia richiamo ad atti e documenti del giudizio di merito (es., ai "®titoli di proprietà e n.ro 12 fotocopie di fotografie – estratte in copia autentica dalla produzione del G. depositata nel richiamato giudizio civile R.g. 266/05 Tribunale Napoli sez. dist. di Ischia", alla "sentenza n. 322/2007" dell’"adito G. di P.", all’atto di "appello", alla "documentazione fotografica esibita", alla "citazione del 2 maggio 2005", alle "note davanti al Giudice di Pace di Ischia allegate al verbale d’udienza 30.01.2006"; alle "note allegate al verbale 09.06.2006"), di cui lamenta la mancata o erronea valutazione, limitandosi a meramente richiamarli, senza invero debitamente -per la parte d’interesse in questa sede-riprodurli nel ricorso, ovvero, laddove riprodotti, senza puntualmente indicare in quale sede processuale, pur individuati in ricorso, gli stessi risultino prodotti, e ai sensi dell’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, se siano stati prodotti anche in sede di legittimità (v. Cass., 23/9/2009, n. 20535; Cass., 3/7/2009, n. 15628; Cass., 12/12/2008, n. 29279), la mancanza anche di una sola di tali indicazioni rendendo il ricorso inammissibile (cfr. Cass., 19/9/2011, n. 19069; Cass., 23/9/2009, n. 20535; Cass., 3/7/2009, n. 15628; Cass., 12/12/2008, n. 29279).

A tale stregua non pone questa Corte nella condizione di effettuare il richiesto controllo (anche in ordine alla tempestività e decisività dei denunziati vizi), da condursi sulla base delle sole deduzioni contenute nel ricorso, alle cui lacune non è possibile sopperire con indagini integrative, non avendo la Corte di legittimità accesso agli atti del giudizio di merito (v. Cass., 24/3/2003, n. 3158; Cass., 25/8/2003, n. 12444; Cass., 1/2/1995, n. 1161).

Va altresì in ogni caso osservato che in base a principio consolidato in giurisprudenza di legittimità la violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. è apprezzabile, in sede di ricorso per cassazione, nei limiti del vizio di motivazione di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 – e non anche come nella specie in termini di violazione di legge, dovendo emergere direttamente dalla lettura della sentenza, non già dal riesame degli atti di causa, inammissibile in sede di legittimità.

Deve sottolinearsi, ancora, che il vizio di motivazione non può essere d’altro canto utilizzato per far valere la non rispondenza della ricostruzione dei fatti operata dal giudice del merito al diverso convincimento soggettivo della parte, non valendo esso a proporre in particolare un pretesamente migliore e più appagante coordinamento dei molteplici dati acquisiti, atteso che tali aspetti del giudizio, interni all’ambito della discrezionalità di valutazione degli elementi di prova e dell’apprezzamento dei fatti attengono al libero convincimento del giudice, e non ai possibili vizi del relativo iter formativo rilevanti ai sensi dell’art. 112 c.p.c. (v. Cass., 9/5/2003, n. 7058).

Il motivo di ricorso per cassazione viene altrimenti a risolversi in un’inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e dei convincimenti del giudice del merito, id est di nuova pronunzia sul fatto, estranea alla natura ed alle finalità del giudizio di legittimità.

In altri termini, non si richiede al giudice del merito di dar conto dell’esito dell’avvenuto esame di tutte le prove prodotte o comunque acquisite e di tutte le tesi prospettategli, ma di fornire una motivazione logica ed adeguata dell’adottata decisione, evidenziando le prove ritenute idonee e sufficienti a suffragarla, ovvero la carenza di esse (v. Cass., 9/3/2011, n. 5586).

Alla stregua di quanto sopra rilevato ed esposto emerge dunque evidente come, lungi dal denunziare vizi della sentenza gravata rilevanti sotto i ricordati profili, le deduzioni dell’odierna ricorrente, oltre a risultare formulate secondo un modello difforme da quello delineato all’art. 366 c.p.c., n. 4, in realtà si risolvono nella mera doglianza circa la dedotta erronea attribuzione da parte del giudice del merito agli elementi valutati di un valore ed un significato difformi dalle sue aspettative (v. Cass., 20/10/2005, n. 20322), e nell’inammissibile pretesa di una lettura dell’asserto probatorio diversa da quella nel caso operata dai giudici di merito (cfr. Cass., 18/4/2006, n. 8932).

Per tale via, lungi dal censurare la sentenza per uno dei tassativi motivi indicati nell’art. 360 c.p.c., la ricorrente in realtà sollecita, contra ius e cercando di superare i limiti istituzionali del giudizio di legittimità, un nuovo giudizio di merito, in contrasto con il fermo principio di questa Corte secondo cui il giudizio di legittimità non è un giudizio di merito di terzo grado nel quale possano sottoporsi alla attenzione dei giudici della Corte di Cassazione elementi di fatto già considerati dai giudici del merito, al fine di pervenire ad un diverso apprezzamento dei medesimi (cfr. Cass., 14/3/2006, n. 5443).

All’inammissibilità ed infondatezza dei motivi consegue il rigetto del ricorso.

Le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in complessivi Euro 900,00, di cui Euro 700,00 per onorari, oltre a spese generali ed accessori come per legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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