Cass. civ. Sez. III, Sent., 10-04-2012, n. 5636 Opposizione all’esecuzione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con ricorso in opposizione all’esecuzione ex art. 615 c.p.c., N. G. espose all’adito tribunale di Forlì di aver subito, su istanza del Credito Romagnolo e della Banca delle Marche (ai quali altri creditori si sarebbero aggiunti in corso di procedura esecutiva, azionando fideiussioni da lui rilasciate in favore della Italserre s.p.a.), il pignoramento di un immobile di sua proprietà e della quota di comproprietà di un limitrofo appezzamento di terreno, lamentando che il cespite era stato costituito in fondo patrimoniale il 27.10.1993 – onde la sua impignorabilità in conseguenza della estraneità dei debiti ai bisogni della famiglia.

Il tribunale respinse l’opposizione, rilevando che l’ipoteca iscritta a garanzia del credito della Banca delle Marche risaliva al 30.10.1993, data anteriore alla annotazione della costituzione del fondo (5.11.1993) a margine dell’atto di matrimonio, e individuando in tale formalità – e non nella trascrizione del vincolo ex art. 2647 c.c. – il momento rilevante ai fini della opponibilità ai terzi della convenzione.

La corte di appello di Bologna, investita del gravame proposto dal N., lo accolse in parte, dichiarando l’inefficacia del (solo) pignoramento eseguito dal Credito Romagnolo (poi Unicredit), e osservando al riguardo: Che la domanda inizialmente proposta dal N. aveva ad oggetto i soli pignoramenti eseguiti su iniziativa delle appellate Banca delle Marche e Cassa di Risparmio di Cesena, onde la richiesta di estinzione del processo esecutivo avanzata in sede di conclusioni non poteva che essere adottata dal giudice naturale a conoscere dell’invocato provvedimento, (il giudice, cioè, dell’esecuzione);

Che, diversamente da quanto opinato dal tribunale in prime cure (che si era limitato a considerare soltanto il capo della domanda volto alla declaratoria del processo esecutivo), andava valutata nel merito la opposizione ai due atti di pignoramento;

Che, quanto alla posizione della Banca delle Marche, appariva condivisibile l’assunto del tribunale secondo il quale la convenzione matrimoniale in contestazione diveniva opponibile con la annotazione a margine dell’atto di matrimonio, giusta disposto dell’art. 162 c.c., onde la legittimità della relativa esecuzione in conseguenza dell’anteriorità dell’iscrizione ipotecaria;

Che, quanto al pignoramento trascritto ad iniziativa del Credito Romagnolo (poi Rolo Banca, poi Unicredit), il relativo titolo esecutivo era stato emesso il 6.11.1993, in epoca posteriore all’annotazione della convenzione matrimoniale, onde l’inefficacia del pignoramento medesimo;

Che, quanto alla Cassa di Risparmio di Cesena, creditore intervenuto in assenza di crediti garantiti da trascrizione, l’appellante avrebbe dovuto proporre opposizione all’intervento nelle forme e nei termini di legge; inoltre, la domanda di revoca dell’atto proposta dall’interveniente, ex art. 2901 c.c., in separato giudizio era stata accolta in primo grado, onde la piena legittimità dell’intervento stesso giusta la immediata esecutività delle sentenze di primo grado.

La sentenza è stata impugnata da N.G. con ricorso per cassazione articolato in 3 motivi.

Resiste la Cassa di Risparmio di Cesena con controricorso, che ha depositato memoria illustrativa.

Motivi della decisione

In limine, va rilevata la evidente infondatezza della doglianza della contro ricorrente volta a conseguire una declaratoria di inammissibilità del ricorso per tardività della notifica, volta che l’istante patentemente confonde la data della camera di consiglio (23.9.2008) con quella del deposito della sentenza impugnata (6.11.2008).

Il ricorso è pertanto ammissibile in rito.

Essi risulta, peraltro, infondato nel merito.

Con il primo motivo, si denuncia violazione e falsa applicazione di norme di diritto: violazione degli artt. 615 e 611 c.p.c..

Il motivo si conclude con il seguente quesito di diritto: E’ vero o non è vero che la contestazione in ordine al diritto di intervenire nel l’ambito di una procedura esecutiva può costituire oggetto di un giudizio di opposizione alla esecuzione ex art. 615 c.p.c. e che non occorre attendere la determinazione del giudice dell’esecuzione in sede di riparto (anche in quanto ciò imporrebbe di attendere anni prima che il debitore possa conoscere la propria posizione debitoria)?. E’ vero o non è vero, pertanto, che N.G. ha correttamente instaurato un giudizio di opposizione all’esecuzione nei confronti dei creditori intervenuti al fine di accertare il diritto dei medesimi ad intervenire anche in quanto – essendo il procedimento esecutivo sospeso fino al passaggio in giudicato della sentenza avente ad oggetto la revocatoria del fondo patrimoniale – egli avrebbe dovuto attendere un periodo interminabile di tempo prima di conoscere la propria posizione debitoria? E’ vero o non è vero che con il giudizio di opposizione agli atti esecutivi ex art. 617 c.p.c., si conteste il "come" dell’esecuzione, ossia non si nega che il creditore abbia l’azione esecutiva, ma si contesta la legittimità del modo con il quale l’esercizio dell’azione è avvenuto (si contesta, in altri termini, la regolarità formale dei singoli atti o di un singolo atto del procedimento esecutivo)? E’ vero o non è vero, pertanto, che N.G. non doveva instaurare un giudizio di opposizione agli atti esecutivi per accertare la carenza del diritto ad intervenire dei creditori intervenienti in quanto in possesso di un titolo trascritto successivamente alla trascrizione del fondo patrimoniale o addirittura privi di un titolo opponibile al fondo? Il quesito (e con esso il motivo che lo precede) deve ritenersi patentemente inammissibile per assoluta carenza dei requisiti essenziali richiesti da questa corte, con giurisprudenza ormai consolidata, quanto a forma e contenuto dei quesiti di diritto così come formulati a chiusura dell’esposizione di ciascuno dei motivi.

Questo giudice di legittimità ha già avuto modo di affermare, difatti, che il quesito di diritto deve essere formulato, ai sensi dell’art. 366 bis cod. proc. civ., in termini tali da costituire una sintesi logico-giuridica unitaria (e non, come nella specie, frammentata, frazionata e del tutto disomogena) della questione di diritto posta all’attenzione della Corte, onde consentire ad essa l’enunciazione di una regula iuris suscettibile di ricevere applicazione anche in casi ulteriori rispetto a quello deciso dalla sentenza impugnata. Ed è stato ulteriormente precisato (Cass. 19/2/2009, n. 4044) che il quesito di diritto prescritto dall’art. 366 bis cod. proc. civ. a corredo del ricorso per cassazione non può mai risolversi nella generica richiesta (quale quelle di specie) rivolta al giudice di legittimità di stabilire se sia stata o meno violata una certa norma, nemmeno nel caso in cui il ricorrente intenda dolersi dell’omessa applicazione di tale norma da parte del giudice di merito, ma deve investire la ratio decidendi della sentenza impugnata, proponendone una alternativa di segno opposto;

non senza considerare, ancora, che le stesse sezioni unite di questa corte hanno chiaramente specificato (Cass. ss.uu. 2-12-2008, n. 28536) che deve ritenersi inammissibile per violazione dell’art. 366 bis cod. proc. civ., il ricorso per cassazione nel quale l’illustrazione dei singoli motivi sia accompagnata dalla formulazione di un quesito di diritto che si risolve in una tautologia o in un interrogativo circolare, che già presuppone la risposta ovvero la cui risposta non consenta di risolvere il caso sub iudice.

La corretta formulazione del quesito esige, in definitiva (Cass. 19892/09), che il ricorrente dapprima indichi in esso la fattispecie concreta, poi la rapporti ad uno schema normativo tipico, infine formuli il principio giuridico di cui chiede l’affermazione, onde, va ribadito (Cass. 19892/2007) l’inammissibilità del motivo di ricorso il cui quesito si risolva (come nella specie) in una generica istanza di decisione sull’esistenza della violazione di legge denunziata nel motivo, non senza considerare, ancora, la inammissibilità del quesito c.d. "multiplo" che si risolva non già in un momento di necessaria sintesi della questione, ma costituisca (come nella specie) la pedissequa ripetizione del motivo che lo precede.

Con il secondo motivo, si denuncia violazione e falsa applicazione di norme di diritto: violazione dell’art. 282 c.p.c..

Il motivo si conclude con il seguente quesito:

E’ vero o non è vero che la disciplina dell’esecuzione provvisoria di cui all’art. 282 c.p.c., trova legittima attuazione soltanto con riferimento alle sentenze di condanna, le uniche idonee, per loro natura, a costituire titolo esecutivo, postulando il concetto stesso di esecuzione un’esigenza di adeguamento della realtà al decisum che, evidentemente, manca sia nelle pronunce di natura costitutiva che in quelle di accertamento? E’ vero o non è vero, pertanto, che la legittimazione ad intervenire nella procedura esecutiva da parte della Cassa di Risparmio di Cesena non può essere giuridicamente motivata sulla base del fatto che l’interveniente ha proposto l’azione revocatoria del fondo patrimoniale e che la sentenza che ha disposto la suddetta revocatoria sarebbe pertanto direttamente esecutiva nei confronti di N.G., superando il problema della mancanza di un titolo opponibile al fondo? Il quesito, ammissibile in rito (e fondato in diritto, non potendo costituire idoneo titolo esecutivo una sentenza diversa da quelle di condanna, attesa la impredicabilità di una sua esecuzione provvisoria), merita risposta positiva, senza che questa possa, peraltro, incidere sulla bontà del decisum adottato dal giudice di merito.

La corte di appello bolognese, difatti, ha fondato il proprio convincimento, in parte qua, su di una duplice, disgiunta ratio decidendi, avendo preliminarmente rilevato (f. 9 della sentenza oggi impugnata) che, vertendosi in tema di intervento non titolato, l’appellante avrebbe dovuto proporre opposizione all’intervento nelle forme e nei termini di legge (così implicitamente escludendo che ciò fosse avvenuto nella specie), senza che questa ratio decidendi sia stata oggetto di esplicita impugnazione dinanzi a questo giudice di legittimità da parte del N..

Con il terzo motivo, si denuncia violazione e falsa applicazione di norme di diritto: violazione degli artt. 162 e 2647 c.c..

Il motivo – che pone al collegio la ben nota questione dell’efficacia dell’annotazione della costituzione del fondo patrimoniale a margine dell’atto di matrimonio – non ha giuridico fondamento, essendo ius receptum presso questa corte regolatrice il principio secondo il quale l’opponibilità della convenzione matrimoniale è condizionata proprio alla sua annotazione a margine dell’atto di matrimonio, trovando applicazione, nella specie, la norma di cui all’art. 162 (lex specialis) rispetto a quella generale di cui all’art. 2647 c.c. (Cass. 10859 e 12864 del 1999, tra le molte conformi).

Il ricorso è pertanto rigettato.

La disciplina delle spese segue – giusta il principio della soccombenza – come da dispositivo.

P.Q.M.

La corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, che si liquidano in complessivi Euro 4200,00, di cui Euro 200,00 per spese generali.
Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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