Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 07-07-2011) 24-10-2011, n. 38205

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con sentenza in data 13.04.2010 la Corte d’Appello di Napoli confermava la condanna alla pena di anni otto di reclusione inflitta nel giudizio di primo grado a P.A. quale colpevole dei reati di cui agli artt. 81 cpv., 572, 609 bis, 594, 612, 582 e 585 c.p. per avere maltrattato V.F.; per averla costretta a subire con più azioni esecutive del medesimo disegno criminoso rapporti sessuali completi e per avere ingiuriato, minacciato e procurato lesioni personali al figlio della predetta.

La Corte territoriale confermava l’affermazione di responsabilità facendo proprie le argomentazioni della sentenza di primo grado e ritenendo credibile la persona offesa il cui racconto d’accusa era coerente, dettagliato e persistente e non smentita da contrarie emergenze.

Proponeva ricorso per cassazione l’imputato denunciando violazione di legge; mancanza o manifesta illogicità della motivazione sull’affermazione di responsabilità basata sulle sole incoerenti dichiarazioni della persona offesa che lo aveva ripetutamente denunciato senza accennare alle violenze sessuali rivelate solo nel 2007.

Denunciava anche l’erroneo calcolo della pena, che sommando a quella base gli aumenti apportati per effetto della recidiva e della continuazione, era di anni sette, anzichè di anni otto.

Chiedeva l’annullamento della sentenza.

Il primo motivo, che investe soltanto il reato di cui all’art. 609 bis c.p., non è fondato e va rigettato con le conseguenze di legge.

L’obbligo generale della motivazione, imposto per tutte le sentenze dall’art. 426 c.p.p., richiede la sommaria esposizione dei motivi di fatto e di diritto su cui la decisione è fondata e va rapportato al caso in esame, alle questioni sollevate dalle parti e a quelle rilevabili o rilevate dal giudice.

Tale obbligo è assolto quando il giudice esponga le ragioni del proprio convincimento a seguito di un’approfondita disamina logica giuridica di tutti gli elementi di rilevante importanza sottoposti al suo vaglio, sicchè, nel giudizio d’appello, occorre che la corte di merito esponga compiutamente i motivi d’appello e, sia pure per implicito, le ragioni per le quali rigetti le doglianze.

Il giudice d’appello è, quindi, libero, nella formazione del suo convincimento, d’attribuire alle acquisizioni probatorie il significato e il peso che egli ritenga giusti e rilevanti ai fini della decisione, con il solo obbligo di spiegare, con motivazione priva di vizi logici o giuridici, le ragioni del suo convincimento.

Inoltre, quando "le sentenze di primo e secondo grado concordino nell’analisi e nella valutazione degli elementi di prova posti a fondamento delle rispettive decisioni, la struttura motivazionale della sentenza d’appello si salda con quella precedente per formare un unico complesso corpo argomentativo" Cassazione Sez. 1^ n. 8868/2000, Sangiorgi, RV. 216906.

Tanto premesso, va osservato che in tema di reati sessuali, poichè la testimonianza della persona offesa è spesso unica fonte del convincimento del giudice, è essenziale la valutazione circa l’attendibilità del teste; tale giudizio, essendo di tipo fattuale, ossia di merito può essere effettuato solo attraverso la dialettica dibattimentale, mentre è precluso in sede di legittimità, specialmente quando il giudice del merito abbia fornito una spiegazione plausibile della sua analisi probatoria (cfr. Cassazione Sez. 3^ 41282/2006, Agnelli, RV. 235578).

Nel caso in esame, nel giudizio d’appello è stato ritenuto che gli elementi probatori acquisiti avessero spessore tale da giustificare l’affermazione di responsabilità dell’imputato richiamando le argomentazioni logiche dei giudici del primo giudizio, riferite alla globalità delle prove obiettive raccolte, non inficiate dalle censure difensive segnalate nell’atto d’appello.

Correttamente è stato osservato, con argomentazioni incensurabili, che l’attendibilità della persona offesa era stata positivamente vagliata con un accurato esame tenendo conto della coerenza e linearità delle sue dichiarazioni e dei riferimenti oggettivi e soggettivi.

In presenza di tale esaustivo compendio probatorio inconcludenti erano le generiche obiezioni difensive che sostanzialmente sono censure in fatto che distorcono la sostanza del provvedimento impugnato che possiede, in quanto correlato a quello di primo grado, un valido apparato argomentativo del tutto rispondente alle utilizzate acquisizioni processuali.

A fronte di tale obiettiva ricostruzione dei fatti il ricorrente non ha proposto, quindi, seri elementi di contrapposizione, ma ha accampato giudizi d’inverosimiglianza e d’illogicità che non hanno concreta base fattuale.

Non è, dunque, ravvisabile l’asserita illogicità della motivazione che, per essere apprezzabile come vizio denunciabile, deve essere evidente, cioè di spessore tale da essere percepibile ictu oculi, dovendo il sindacato di legittimità al riguardo essere limitato a rilievi di macroscopica evidenza, restando ininfluenti le minime incongruenze e considerandosi disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata, purchè siano spiegate in modo logico e adeguato le ragioni del convincimento Cassazione Sezioni Unite n. 24/1999,24.11.1999, Spina, RV. 214794.

Sussiste invece il segnalato errore di calcolo della pena che può essere rettificato da questa Corte ex art. 619 c.p.p. in anni 7 di reclusione risultanti dagli aumenti di 18 mesi (per la recidiva e per la continuazione) apportati alla pena base di anni 5 mesi 6.

Poichè l’errore di calcolo è stato segnalato dal ricorrente non si pongono a suo carico le spese del procedimento.

P.Q.M.

La Corte dispone la rettifica della pena inflitta all’imputato in anni sette di reclusione.

Rigetta il ricorso.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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