Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 01-07-2011) 24-10-2011, n. 38342 Bancarotta fraudolenta

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1.- D.S.G. ricorre avverso la sentenza della Corte di Appello di Firenze del 5 marzo 2010, che aveva confermato quella con cui il GUP di Lucca, in esito a giudizio abbreviato, aveva affermato la sua penale responsabilità per il delitto di bancarotta fraudolenta patrimoniale, da lui consumato, secondo l’ipotesi di accusa, nella qualità di amministratore di diritto della S.r.l.

GESTRI., dichiarata fallita il (OMISSIS), con la distrazione della somma di L. 320.000.000, derivante da un indebito rimborso IVA, ottenuto grazie alla falsa dichiarazione di un’eccedenza di imposta detraibile, circostanza non rispondente al vero.

Deduce il ricorrente la nullità della sentenza impugnata per:

1) vizio di illogicità per travisamento della prova, atteso che il fatto contestato risaliva al 1999 mentre il fallimento era intervenuto quattro anni dopo, di modo che non poteva sostenersi che esso imputato avesse consapevolezza di arrecare danno alla massa dei creditori; peraltro a suo dire la sentenza ha fondato il convincimento su dati estranei al processo, atteso che non v’era prova alcuna che l’Agenzia delle Entrate si fosse insinuata al passivo del fallimento nel 2003, anno stesso della dichiarazione di fallimento;

2) contraddittorietà della motivazione, per non essere stata valutata in modo alcuno la produzione di una polizza fidejussoria sino alla concorrenza di L. 395.703.520 rilasciata dalla Società Italiana Cauzioni in ossequio al D.P.R. n. 633 del 1972, art. 38 bis, a garanzia del rimborso delle somme erogate in favore della società.

Il ricorrente ha allegato la fotocopia dell’esame testimoniale del curatore e della polizza fidejussoria.

2.- Il ricorso è destituito di fondamento.

La sentenza impugnata ha ritenuto correttamente che costituisce prova di distrazione il mancato rinvenimento di somme sicuramente incassate dalla società fallita, ma non rinvenute dal curatore del fallimento, mancato rinvenimento di cui l’amministratore della società fallita non ha ritenuto di dar conto.

Nel caso di specie l’amministratore della società non revoca in dubbio nè la percezione indebita della cospicua somma di cui al capo di imputazione, nè l’oggettivo mancato rinvenimento della stessa, di modo che se ne deve ritenere la distrazione, incombendo a lui l’onere di dare specifica contezza della destinazione della somma in questione, onere che non è stato assolto. Quanto alla discrasia temporale tra l’accredito della somma sul conto corrente della società da parte dell’Ufficio IVA, e la data del fallimento, va notato che, come ha sostanzialmente ritenuto la corte territoriale, detto intervallo temporale non è significativo, sia perchè si tratta di poco più di tre anni, come si rileva dalla sentenza impugnata, sia perchè l’amministrazione finanziaria chiese il rimborso della somma subito dopo la dichiarazione di fallimento, e cioè entro il termine del 31 dicembre 2003, data di decadenza dell’amministrazione dall’accertamento, come si rileva dalla stessa polizza fidejussoria prodotta dal ricorrente.

Infine a buon diritto la corte territoriale ha ritenuto la sussistenza dell’elemento psicologico del reato, non potendo l’imputato non essere assolutamente consapevole della circostanza che sarebbe stato chiamato a restituire le somme percepite indebitamente e distratte, con sicuro danno alla massa dei creditori. In altre parole si tratta nel caso di specie di condotta distrattiva fraudolentemente attuata con la consapevolezza che gli effetti si sarebbero prodotti necessariamente a distanza di tempo, attesi i tempi tecnici necessari all’Amministrazione finanziano per l’accertamento.

Quanto poi alla fideiussione, correttamente la corte territoriale non ha dato rilevanza alla circostanza, atteso che dallo stesso verbale che il ricorrente ha prodotto risulta che il fallimento è stato chiuso per mancanza di attivo, dal che deve evincersi che la polizza fidejussoria non è stata escussa per ragioni allo stato ignote, che l’imputato avrebbe dovuto chiarire e trattare nella sede del merito.

Il ricorso va pertanto rigettato, ed al rigetto consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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