T.A.R. Lombardia Brescia Sez. I, Sent., 22-11-2011, n. 1601

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/
Svolgimento del processo

L’art. 1 ter del d.l. 1 luglio 2009 n°78, convertito con modificazioni nella l. 3 agosto 2009 n°102, prevede l’istituto della cd. "emersione", detta altrimenti anche "legalizzazione", ovvero una sanatoria straordinaria, a date condizioni, degli stranieri non appartenenti all’Unione Europea i quali fossero irregolarmente presenti sul territorio nazionale e alla data del 30 giugno 2009 fossero impiegati da almeno tre mesi in attività di assistenza familiare o di lavoro domestico, alle dipendenze di datori di lavoro cittadini dell’Unione, ovvero anche non appartenenti alla stessa, purché in tale ultimo caso in possesso dello status di lungosoggiornante, e con rapporto tuttora in essere alla data di presentazione della domanda.

S.D., odierno ricorrente, cittadino della Repubblica del Ghana, ha ritenuto di poter beneficiare di tale istituto, allegando di avere lavorato per il periodo di tempo previsto in una delle qualifiche previste alle dipendenze di un connazionale, certo F.A.P., il quale risulta aver presentato il 17 settembre 2009 la relativa domanda (cfr. doc. 4 ricorrente, copia di essa).

A fronte di ciò, S.D. riceveva peraltro il provvedimento negativo meglio indicato in epigrafe, motivato con la irreperibilità del datore di lavoro, il quale, pur convocato in due distinte date presso gli uffici competenti per perfezionare la pratica, non si sarebbe invece presentato, e risulterebbe anzi trasferito il 5 ottobre 2009 da Montichiari a destinazione ignota (doc. 1 ricorrente, copia provvedimento impugnato).

Avverso tale provvedimento, S.D. propone impugnazione con ricorso notificato il 28 dicembre 2010 e articolato in unico motivo di violazione di legge, nel senso che l’irreperibilità del datore di lavoro non sarebbe di per sé motivo sufficiente a respingere la domanda.

Ha resistito l’amministrazione, con atto 24 gennaio 2011, relazione del successivo 27 gennaio e memoria 25 luglio 2011, ed ha domandato la reiezione del ricorso, sostenendo in sintesi estrema che la mancata presentazione del datore di lavoro a perfezionare la pratica sarebbe evento il cui rischio è a carico del lavoratore, il quale in difetto non potrebbe comunque ottenere il beneficio richiesto.

Con ordinanza 9 febbraio 2011 n°23, la Sezione ha accolto l’istanza cautelare ai soli fini di un riesame della fattispecie ed ha contestualmente fissato udienza per la trattazione del merito all’udienza del giorno 26 ottobre 2011, alla quale ha da ultimo trattenuto il ricorso in decisione.

Motivi della decisione

Il ricorso è infondato e va respinto, per le ragioni di cui appresso.

1. Si ragiona nel caso di specie di una eventualità che il citato art. 1 ter del d.l. 1 luglio 2009 n°78 disciplina in modo molto sintetico, ovvero del caso in cui una delle parti del rapporto di lavoro irregolare per il quale è chiesta la sanatoria non si presenti alla convocazione disposta dagli uffici competenti per perfezionare la pratica, pur dopo che la domanda di sanatoria è stata presentata: in tal caso, così come dispone la norma, "La mancata presentazione delle parti senza giustificato motivo comporta l’archiviazione del procedimento".

2. La norma, alla lettera, non individua il soggetto titolare dell’onere di allegare e provare tale "giustificato motivo", ma è senza dubbio alcuno interpretabile, alla luce dei principi, nel senso che tale soggetto si identifichi con l’interessato alla legalizzazione, ovvero con lo straniero clandestino il quale aspira a sanare la propria posizione. E’ infatti tale soggetto che, essendo per definizione stato parte del rapporto di lavoro, dispone presuntivamente delle informazioni necessarie per spiegare l’assenza, ovvero al limite può fornire all’amministrazione elementi per ricostruire l’accaduto. Ciò, si noti, è tanto più vero ove si consideri che il rapporto di lavoro rilevante per la sanatoria è un rapporto di lavoro domestico, ovvero di assistenza familiare, che per sua natura comporta una conoscenza più approfondita di quanto solitamente avvenga della persona del proprio datore di lavoro, tanto da obbligare il lavoratore alla riservatezza in merito ai sensi dell’art. 6 comma 1 l. 2 aprile 1958 n°339.

3. Parimenti, la lettera della norma per disciplinare le conseguenze della mancata e non giustificata presentazione all’ufficio impiega un termine non usualmente riferito all’esito di un procedimento amministrativo, dato che ragiona di "archiviazione"; secondo logica, peraltro, si può tranquillamente ritenere che tale archiviazione equivalga ad un diniego, dato che la fattispecie di sanatoria non si è potuta perfezionare.

4. Alla luce delle considerazioni appena svolte, il ricorso deve essere respinto. Come risulta dal provvedimento impugnato, né per vero è contestato come fatto storico, il datore di lavoro del ricorrente non si è effettivamente presentato presso gli uffici, poiché, come risulta dagli accertamenti puntualmente svolti dall’amministrazione, risulta trasferito per destinazione sconosciuta (doc. 1 ricorrente, cit.). Si tratta di un comportamento che di per sé non può valere come giustificazione, dato che chi si trasferisce senza lasciare indirizzo può averlo fatto per i più svariati motivi, non tutti all’evidenza tali da scusare rispetto al mancato adempimento di un onere di legge, che oltretutto, si osserva, nel silenzio della legge ammetterebbe anche la propria sostituzione con un rappresentante volontario.

5. A fronte di ciò, il ricorrente non ha allegato alcun elemento specifico, nemmeno a livello di indizi, tanto nel ricorso, quanto all’amministrazione, la quale oltretutto, a fronte del provvedimento che le prescriveva il riesame della fattispecie, ben avrebbe potuto e dovuto valorizzare qualsiasi indicazione che il ricorrente stesso avesse ritenuto di fornirle. Si deve quindi ritenere che correttamente l’amministrazione abbia respinto l’istanza a fronte di una ingiustificata mancata presentazione del datore di lavoro.

6. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia sezione staccata di Brescia (Sezione Prima)

definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge. Condanna il ricorrente a rifondere all’amministrazione intimata le spese del giudizio, spese che liquida in Euro 1.500 (millecinquecento), oltre accessori di legge, se dovuti.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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