Cass. civ. Sez. I, Sent., 11-04-2011, n. 8220 Revocatoria fallimentare

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Nel giugno 1993 il fallimento della Logistica e ristorazione s.p.a. convenne il Banco di Sicilia s.p.a. davanti al Tribunale di Genova, domandando la revoca di rimesse solutorie di conto corrente per il complessivo importo di L. 679.303.435, effettuate dalla società nell’anno anteriore alla dichiarazione di fallimento.

L’istituto di credito convenuto resistette contestando sia la scientia decoctionis sia il carattere solutorio delle rimesse.

Il Tribunale respinse la domanda.

Il fallimento propose appello davanti alla Corte di Genova. Il giudizio fu interrotto all’udienza collegiale del 4 luglio 2002, per effetto della dichiarata incorporazione del Banco di Sicilia s.p.a. in Capitalia s.p.a. e della contestuale cessione dell’azienda bancaria a nuova società appositamente costituita, denominata anch’essa Banco di Sicilia s.p.a..

Con ricorso depositato il 12 dicembre 2002 il fallimento chiese alla Corte di fissare udienza per la prosecuzione del giudizio. La corte fissò l’udienza del 10 aprile 2003, con termine per la notifica a controparte sino al 15 febbraio.

L’atto riassunzione venne notificato al Banco di Sicilia s.p.a. presso il difensore costituito prima dell’interruzione. Pertanto all’udienza del 10 aprile 2003 la Corte, rilevata la nullità della notifica, dispose, in accoglimento dell’istanza del difensore del fallimento, il rinnovo della notifica stessa fissando nuova udienza per il 18 dicembre 2003, per la quale il fallimento provvide, il 21 luglio 2003, a rituale notificazione nei confronti sia della nuova Banco di Sicilia s.p.a., sia di Capitalia s.p.a..

All’udienza si costituì il Banco di Sicilia s.p.a. ed eccepì preliminarmente l’estinzione del processo per tardiva riassunzione;

subordinatamente, insistette per il rigetto della domanda.

La Corte, respinta l’eccezione di estinzione, accolse la domanda di revoca per il minor importo di L. 295.435.436, corrispondenti ad _ 152.579,65. Ritenne, in particolare, che la scientia decoctionis nel periodo sospetto – corrente dal 15 luglio 1987 al 15 luglio 1988 – fosse dimostrata, quantomeno a far data dal marzo 1988, in base a una serie di elementi già dalla stessa Corte evidenziati in altra sentenza emessa tra il fallimento appellante e il Monte dei Paschi di Siena s.p.a., e cioè:

che un creditore molto qualificato come il Banco di Sicilia non ignorava che la società debitrice aveva segnalato, all’assemblea del 23 dicembre 1986, una perdita di L. 1.411.151.864 al 31 ottobre 1986, un contenzioso previdenziale ingravescente, una forte crisi del mercato nazionale e un calo di redditività di circa il 27%;

che dunque la società, anche se ricapitalizzata quasi interamente, "scommetteva sul proprio futuro, priva com’era di risorse patrimoniali interne consistenti, sperando nel rilancio del mercato";

che però già nel giugno 1987 l’amministratore confermava: il maturare di ulteriori perdite per L. 289.797.980 nei soli mesi di novembre e dicembre 1986; la necessità che i soci eseguissero in tempi più stretti del previsto il versamento degli ultimi 400 milioni di lire dell’aumento di capitale deliberato nel dicembre 198 6; la chiusura di due mercati in Congo e in Angola;

che all’assemblea del 23 dicembre 1987 risultò un’ulteriore perdita di circa un miliardo di lire all’ottobre 1987;

che i soci rinunziarono a sottoscrivere un nuovo aumento di capitale, addossandolo invece a un terzo, tale G.M., pluriprotestato e perciò scarsamente solvibile;

che, come rivelato dalla prova testimoniale, in tale contesto il Banco di Sicilia aveva già avviato un contenzioso, a base di solleciti e doglianze per la scarsa puntualità dei pagamenti dei crediti scontati; era stato informato del defilarsi, dietro il G., dell’amministratore delle società proprietarie della Logistica e Ristorazione s.p.a.; era al corrente della situazione, come risultava anche ai semplici impiegati della società, ed era preoccupato come gli altri istituti di credito;

che quindi, quando nel gennaio 1988 l’operazione di ricapitalizzazione a carico del G. non si concretò, il Banco ne fu certamente informato e conseguentemente maturò la consapevolezza dello stato di decozione della società debitrice entro la data stimabile del 1 marzo 1988;

che in contrario non poteva addursi la mancata revoca dell’apertura di credito e dei castelletti di sconto effetti concessi alla società debitrice, dato che questi ultimi potevano produrre solo danni limitati e, anzi, contribuivano a contenere gli sconfinamenti dall’ apertura di credito sul conto corrente ordinario; la quale era, a sua volta, di importo modesto (L. 20.000.000), mentre non erano perse le residue speranze di recupero del credito;

che pertanto doveva concludersi che il Banco di Sicilia, a differenza di altre banche, tenne fermi i suoi rapporti con la Logistica e Ristorazione s.p.a. per una diversa ed errata valutazione delle possibilità di recupero di uno stato di insolvenza comunque conclamato.

Il Banco di Sicilia s.p.a ha quindi proposto ricorso per cassazione per quattro motivi, cui ha resistito con controricorso la curatela fallimentare. Sia la ricorrente che la controricorrente hanno anche presentato memorie.

Motivi della decisione

1. – Con il primo motivo di ricorso, denudando violazione degli artt. 154, 156, 303 e 305 c.p.c., si censura il rigetto dell’ eccezione di estinzione del processo per mancata tempestiva riassunzione, in quanto:

a) la prima notifica dell’atto di riassunzione, fatta a soggetto non avente alcuna connessione con il destinatario dell’atto, era inesistente e dunque non poteva essere rinnovata;

b) anche a ritenere non perentorio il termine per la riassunzione del processo, resta il fatto che esso non poteva essere prorogato se non prima della sua scadenza, e non dopo come invece avvenuto nella specie.

1.1. – Nella memoria il ricorrente ha rinunziato alla censura b) e ha confermato la censura a), che però è infondata.

La riassunzione del processo dopo l’interruzione, infatti, deve essere effettuata, secondo il combinato disposto degli artt. 303 e 305 c.p.c., con il deposito del ricorso, entro il termine prescritto, presso la cancelleria del giudice adito. Tale deposito impedisce l’estinzione del processo, con la conseguenza che l’eventuale vizio o l’inesistenza, sia di fatto che giuridica, della notificazione del ricorso stesso e del decreto di fissazione dell’udienza emanato dal giudice non si comunica alla riassunzione (ormai perfezionatasi), ma impone al giudice, che rilevi il vizio, di assegnare alle parti, in applicazione analogica dell’art. 291 c.p.c., e previa fissazione di un’altra udienza di comparizione delle parti, un termine, necessariamente perentorio, per la rinnovazione della notificazione, dovendo, eventualmente, soltanto in caso di inottemperanza della parte a tale ordine, pervenirsi ad una pronuncia di rito che dichiari l’estinzione (Cass. 26846/2006, 5348/2007, 6023/2007, pronunciate sulla scorta di Cass. Sez. Un. 14854/2006, che, in sede di composizione di contrasto di giurisprudenza, ha escluso il carattere perentorio del termine per la vocatio in ius stabilito dal giudice nel decreto di fissazione dell’udienza sul ricorso in riassunzione).

2. – Il secondo motivo di ricorso, contenente eccezione di illegittimità costituzionale della non retroattività delle disposizioni sulla revocatoria fallimentare introdotte dal D.L. 14 marzo 2005, n. 35, conv. in L. 14 maggio 2005, n. 80, è stato anch’esso rinunziato dal ricorrente con la memoria, onde non dev’essere preso in considerazione.

3. – Con il terzo motivo, denunciando violazione della L. Fall., art. 67, comma 2, e art. 2727 c.c., nonchè vizio di motivazione, si lamenta che la scientia decoctionis sia stata ritenuta dalla Corte d’appello sulla base di presunzioni e senza motivare in ordine a indizi contrari, quali: il mantenimento del credito; la mancanza di anomalie nei rapporti con la banca, affermata dai testi; l’andamento stesso del conto, caratterizzato da rimesse effettuate per eseguire altrettante operazioni di eguale importo; la mancata documentazione di sofferenze nelle comunicazioni della centrale rischi.

3.1. – Anche questo motivo non può trovare accoglimento.

A tacer d’altro, va infatti ribadito che, al fine di adempiere all’obbligo della motivazione, il giudice del merito non è tenuto a valutare singolarmente tutte le risultanze processuali ed a confutare tutte le argomentazioni prospettate dalle parti, essendo invece sufficiente che egli, dopo aver vagliato le une e le altre nel loro complesso, indichi gli elementi sui quali intende fondare il proprio convincimento, dovendosi ritenere disattesi, per implicito, tutti gli altri rilievi e circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, sono logicamente incompatibili con la decisione adottata (giurisp. consolidata: cfr., per tutte, Cass. 5748/1995).

4. – Con il quarto motivo, denunciando violazione della L. Fall., art. 67 e vizio di motivazione, si deduce che il Banco di Sicilia aveva sostenuto, nelle sue difese in appello, che la gran parte delle rimesse oggetto del giudizio erano giroconti riguardanti anticipi a fronte di presentazione di fatture, e dunque costituenti non già pagamenti revocabili, bensì creazione di provvista con denaro anticipato dalla banca. Si lamenta quindi che la Corte d’appello non abbia fornito alcuna motivazione in proposito.

4.1. – Il motivo è inammissibile per difetto di autosufficienza del ricorso, che non indica in quali atti e in quali termini la banca abbia posto la questione di cui trattasi.

5. – Il ricorso va in conclusione respinto.

Le spese processuali, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La corte rigetta il ricorso e condanna la banca ricorrente alle spese processuali in favore del fallimento controricorrente, liquidate in Euro 8.200,00, di cui 8.000,00 per onorari, oltre spese generali ed accessori di legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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