T.A.R. Lombardia Brescia Sez. I, Sent., 22-11-2011, n. 1594

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Rilevato che:

– il provvedimento impugnato è un diniego di attribuzione della cittadinanza italiana, chiesta dal ricorrente il 3. 11. 2006 e negata con provvedimento del 28. 11. 2008;

– l’impugnativa apparterrebbe alla competenza del Tar del Lazio, essendo emesso il provvedimento da organo centrale dello Stato (il sottosegretario agli Interni) ed avendo ad oggetto uno status civitatis che esplica i propri effetti in tutto il territorio nazionale;

– ma il ricorso è notificato il 10. 3. 2009 e depositato il 1. 4. 2009, ovvero prima dell’entrata in vigore del codice del processo amministrativo che ha reso inderogabili le regole sulla competenza territoriale dei Tar;

– l’attribuzione al Tar del Lazio delle controversie in tema di diniego di cittadinanza non è, peraltro, una competenza funzionale (su cui nel vecchio ordinamento era discusso se operasse la rilevabilità d’ufficio della incompetenza), ma una normale competenza per territorio radicata in forza della sede dell’amministrazione che emette il provvedimento impugnato;

– a suo tempo, l’Avvocatura dello Stato non presentò regolamento di competenza (che nel vecchio ordinamento era l’unico strumento attraverso cui si poteva evitare venisse radicata scorrettamente la competenza), e si limita soltanto adesso a chiedere che il Tribunale valuti d’ufficio la competenza;

– ma il Tribunale ritiene che la norma dell’art. 5 c.p.c., secondo cui la competenza si determina con riguardo alla legge vigente al momento della domanda, deve intendersi riferita anche alle regole processuali sul modo in cui deve essere rilevato il difetto di competenza, regole che sono sottratte quindi all’operatività del principio tempus regit actum che caratterizza in genere gli atti processuali e rifluiscono nella disposizione sulla ininfluenza delle sopravvenienze di cui all’art. 5 c.p.c. predetto;

– nel merito, il ricorso peraltro è infondato;

– il provvedimento impugnato ha negato la cittadinanza al ricorrente perché dall’attività informativa esperita sul suo conto sono emersi "elementi ostativi di pericolo per la sicurezza della Repubblica" (dal ricorso e dai documenti allegati si viene a sapere inoltre che il ricorrente ha subito una perquisizione negativa nel proprio domicilio, e che è sospettato di svolgere attività per centri islamici);

– nel ricorso si sostiene che nel provvedimento impugnato vi è difetto di motivazione, difetto di istruttoria, e travisamento dei fatti, non essendo stato valutato l’inserimento del ricorrente nel territorio dello Stato, la attività di mediatore culturale che svolge per i propri connazionali, e la circostanza che comunque non ha mai riportato condanne;

– in realtà, peraltro, "l’atto di concessione della cittadinanza italiana allo straniero si fonda sulla valutazione, altamente discrezionale, operata dalla p.a. dell’interesse pubblico ad inserire nella comunità un nuovo membro che, a seguito di tale ammissione perpetua, sarà chiamato a contribuire al progresso del Paese e, reciprocamente, a beneficiare, in caso di difficoltà, di assistenza a carico della collettività di nuova appartenenza; l’atto concessorio (o denegatorio) in questione ha una valenza di alta amministrazione ed implica, in quanto tale, un elevato tasso di discrezionalità, sia nell’accertamento, sia soprattutto nella valutazione dei fatti acquisiti al relativo procedimento: di conseguenza, il sindacato giurisdizionale sul corretto esercizio del potere, avendo natura estrinseca e formale, non può spingersi al di là della verifica della ricorrenza di un idoneo e sufficiente supporto istruttorio, della veridicità dei fatti posti a fondamento della decisione e dell’esistenza di una motivazione che appaia congrua, coerente e ragionevole" (Tar Bologna, I, 8073/2010);

– il sindacato estrinseco sulla motivazione del provvedimento impugnato previsto dalla pronuncia appena citata induce, nel caso in esame, a ritenere corretta la motivazione addotta dal Sottosegretario agli interni nel respingere la domanda; la circostanza che sul conto del ricorrente, infatti, siano emersi elementi di pericolo per la sicurezza dello Stato è senz’altro motivazione sufficiente ad impedire che questi acquisti la cittadinanza italiana proprio perché egli, come specificato nella pronuncia sopra citata, "a seguito di tale ammissione perpetua, sarà chiamato a contribuire al progresso del Paese e, reciprocamente, a beneficiare, in caso di difficoltà, di assistenza a carico della collettività di nuova appartenenza", e non è il caso di far beneficiare dei diritti del cittadino colui il quale, anzichè contribuire al progresso del Paese, costituisce un pericolo per esso;

– le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo;

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia sezione staccata di Brescia (Sezione Prima), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto:

RESPINGE il ricorso.

SPESE a carico, determinate in euro 500.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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