Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 21-06-2011) 24-10-2011, n. 38325

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. La Corte di Appello di Bologna, con sentenza del 30 aprile 2010, ha confermato la sentenza del Tribunale di Modena del 26 novembre 2007 con la quale D.G. era stato condannato per i reati di cui alla L. n. 633 del 1941, art. 171 bis, per aver abusivamente duplicato, per trame profitto, un programma per elaborazione dati per computer frutto dell’altrui creazione intellettuale; di cui all’art. 623 c.p. per aver rivelato e impiegato per profitto informazione segrete e di cui agli artt. 56 e 615 ter c.p., per aver posto in essere atti idonei diretti in modo non equivoco ad introdursi in altrui sistemi informatici.

2. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione l’imputato, a mezzo del proprio difensore, lamentando:

a) una erronea applicazione della legge in tema di abusiva duplicazione di opere originali dell’ingegno, di cui alla L. n. 633 del 1941, art. 171 bis, posto che nella fattispecie si era verificata una ricompilazione dei materiali preparatori costituiti dai sorgenti per la creazione di un programma per elaboratore viceversa nuovo;

b) una erronea applicazione della legge penale e una motivazione illogica quanto alla sussistenza degli elementi oggettivi della fattispecie di cui all’art. 623 c.p.;

c) una erronea applicazione della legge penale in merito alla sussistenza dell’idoneità degli atti, con riguardo alla fattispecie tentata di cui all’art. 615 ter c.p..

Motivi della decisione

1. Il ricorso è infondato e non merita accoglimento.

2. Quanto al primo motivo, per dimostrarne l’infondatezza basta partire dall’esame, in punto di fatto, di quanto realizzato dal ricorrente e così come evidenziato dai Giudici del merito sulla base di una necessaria perizia tecnica.

Invero, a fronte dell’originario programma di gestione di una banca dati in favore di un notevole numero di farmacie e di proprietà del Consorzio UFI (Unione Farmacie Italiane) per il quale era stato utilizzato un particolare sistema software realizzato, a sua volta, da D.V. al ricorrente, di converso, viene imputata l’abusiva duplicazione del suddetto sistema operativo e per la gestione di un minor numero di farmacie aventi dislocazione territoriale in un ambito particolare del territorio nazionale.

L’odierno ricorrente contesta, però, l’imputazione di abusiva duplicazione del suddetto programma, giungendo ad affermare come quanto da lui realizzato sarebbe stato, viceversa, un aliquid novi tale da legittimare, da un lato, la propria attività e, d’altra parte, da rendere inapplicabile il precetto penale di cui all’art. 171 bis della legge sul diritto d’Autore, che non potrebbe estendersi ad ipotesi, quale quella da lui realizzata, in cui non vi fosse stata alcuna effettiva e completa duplicazione.

Nella specie, però, gli accertamenti tecnici effettuati hanno permesso di acclarare come il programma informatico gestionale realizzato dall’odierno ricorrente attraverso la creazione di un’apposita società, per le farmacie sarde che avevano receduto dal Consorzio UFI, fosse stato realizzato utilizzando per la maggior parte "la sequenza dei comandi del codice sorgente dell’originario programma" e come tale programma fosse stato creato "nella medesima directory contenente il sorgente originale UFI che, pertanto, era stato utilizzato come base per operare le modifiche introdotte e relative solo ad una parte gestionale".

In altri termini, può legittimamente affermarsi come l’originario programma fosse stato "semplicemente" adattato alle diverse esigenze ma soltanto in senso quantitativo (con riferimento al numero dei destinatari del prodotto) e con diversa collocazione spaziale dei clienti.

Orbene, tutto ciò premesso in fatto occorre accertare, questa volta in diritto, se la condotta così evidenziata possa integrare una abusiva duplicazione di "programmi per elaboratore" così come imposto dalla L. n. 633 del 1941, art. 171 bis.

La risposta, conformemente a quanto già espresso dai Giudici del merito non può che essere positiva.

Appare, infatti, alquanto restrittiva una interpretazione del dato normativo che volesse comprendere nel dianzi indicato precetto, penalmente sanzionato, soltanto l’integrale riproduzione di un programma per elaboratore e non anche l’utilizzazione di tale programma, senza la necessaria approvazione dei soggetti aventi il diritto di farlo (inventori e titolari del diritto di sfruttamento economico dell’opera dell’ingegno), sia pur in senso parziale e non integrale ma per finalità, all’evidenza, identiche a quelle nascenti dall’originaria utilizzazione del programma base.

Come affermato nel precedente di questa Corte; citato dalla Corte territoriale nell’impugnata sentenza (Cass. Sez. 3^ 8 marzo 2002 n. 15968), fondamentale è, per l’appunto, che quanto realizzato dal cd.

"duplicatore" non sia soltanto la mera integrale riproduzione del programma altrui ma ogni attività che pur partendo dal programma altrui ne abbia pur tuttavia realizzato uno sviluppo purchè ciò sia stato posto in essere al di fuori delle forme consentite di cui agli art. 64 bis, ter e quater della citata L. n. 633 del 1941, senza cioè che si sia avuta la necessaria autorizzazione del soggetto legittimato a concederla.

In via generale (v. l’art. 64 bis), l’eventuale riproduzione del programma o la sua trasformazione o modificazione da parte dell’utilizzatone dev’essere debitamente autorizzata dal legittimo titolare del diritto anche quando ciò sia necessario per l’utilizzo del programma.

Non vi è bisogno di autorizzazione (v. art. 64 ter e quater) allorchè il legittimo utilizzatore debba analizzare il programma o effettuarne copia o modificazione per caricarlo sul computer, eseguirlo, trasmetterlo o memorizzarlo, oppure nei casi in cui la copia e la modificazione sono necessarie per conseguire l’interoperabilità del programma stesso.

In altri termini, anche secondo questo Collegio, nel precetto di cui alla L. n. 633 del 1941, art. 171 bis, deve ricomprendersi non solo l’attività dell’abusiva integrale duplicazione dell’opera informatica altrui ma ogni attività che costituisca un abusivo, nel senso di mancante dell’autorizzazione del soggetto legittimato, sviluppo di tale opera, non avente in ogni caso le caratteristiche della novità e della originalità tali da far assurgere allo sviluppo la dignità di un’opera dell’ingegno tutelata.

3. Anche il secondo motivo del ricorso è infondato.

In punto di fatto è incontroverso come sui computer della società creata dall’odierno ricorrente fossero stati rinvenuti materiali informatici di proprietà del Consorzio UFI (v. nota 3 a pagina 8 del ricorso).

In punto di diritto si osserva (v. le citate Cass. Sez. 5^ 18 maggio 2001 n. 25008, 4 luglio 2002 n. 36309 e 7 giugno 2005 n. 25174) come, a tutela della capacità produttiva, il legislatore abbia posto l’art. 623 c.p. e art. 2105 c.c. e per quanto d’interesse del presente procedimento come la fattispecie penale della "rivelazione di notizie sopra applicazioni industriali" richieda:

a) che le applicazioni industriali tutelate non siano soltanto quelle nuove;

b) che tra le suddette applicazioni rientri il know-how aziendale;

c) che per know-how debba intendersi il complesso delle informazioni industriali necessarie per la costruzione, l’esercizio e la manutenzione di un impianto.

Le conoscenze per le quali è questione, sono in sostanza quelle che nell’ambito della tecnica industriale sono richieste per produrre un bene, per attuare un processo produttivo o per il corretto impiego di una tecnologia; e, altresì, le regole di condotta che, nel campo della tecnica mercantile, vengono desunte da studi ed esperienze di gestione imprenditoriale, attinenti al settore organizzativo o a quello strictu sensu commerciale (cd. know how in senso ampio, v.

Cass. Sez. 1^ civile 20 gennaio 1992 n. 659).

La pretesa esclusione del software dalla dianzi indicata tutela, nell’ipotesi di non consentita violazione dell’obbligo di correttezza e di fedeltà dei dipendenti di una società non ha fondamento in quanto il concetto di industria non può limitarsi alla attività di realizzazione di manufatti in senso industriale stretto (macchinari o altre opere cd. "pesanti", cioè hardware) ma qualsiasi prodotto di un’attività diretta alla realizzazione di beni destinati alla commercializzazione.

Non si evidenziano nè sono state aliunde prospettate valide giustificazioni, in punto di diritto, per escludere, quindi, dalla tutela in favore del soggetto legittimato alla utilizzazione economica del prodotto del proprio ingegno anche beni cd. "leggeri" (si pensi all’abbigliamento, ai prodotti tipici dell’alimentazione e per l’appunto ai programmi informatici di cd. software) nei quali il possesso della necessaria conoscenza per la loro realizzazione si appalesa come essenziale ai fini della produzione e della messa in commercio.

4. Anche il terzo e ultimo motivo del ricorso non merita di essere condiviso.

L’abusivo compimento di un’attività diretta ad introdursi nell’altrui sistema informatico e di qualsiasi tipo (sia mediante la digitazione di meri user names che di passwords) vale ad integrare quegli atti idonei diretti in modo non equivoco a violare un domicilio informatico.

Secondo la pacifica giurisprudenza di questa stessa Sezione (v. sentenze 6 febbraio 2007 n. 11689 e 8 luglio 2008 n. 37322), infatti, si versa nell’ipotesi di un reato di mera condotta, connotato dal dolo generico e consistente nella violazione del domicilio informatico, per cui addirittura anche il semplice accesso ai locali nei quali siano collocati i computer può integrare gli estremi della fattispecie di cui all’art. 615 ter c.p..

5. In definitiva, il ricorso deve essere rigettato e il ricorrente condannato al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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