T.A.R. Lombardia Milano Sez. II, Sent., 22-11-2011, n. 2827 Concessione per nuove costruzioni

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con l’odierno ricorso, notificato il 14.01.2011 e depositato il successivo 28.01.2011, l’Associazione culturale della Fratellanza (da ora anche solo l’Associazione) ha impugnato le ordinanze in epigrafe specificate, deducendone la illegittimità sotto più profili.

Premette l’esponente, di essere un’associazione di volontariato culturale avente come scopi statutari la valorizzazione della presenza degli stranieri extracomunitari in Italia, attraverso l’aiuto degli stessi mediante attività culturali, sociali e sportive, nonché, la conservazione della tradizione culturale dei musulmani.

La stessa associazione, avendo necessità di ristrutturare l’immobile, precedentemente adibito a palestra, condotto in locazione in Seggiano, Via Canova n.3, in data 20.10.2008 presentava al Comune di Pioltello (da ora anche solo il Comune) richiesta di parere preventivo relativamente al cambio di destinazione d’uso e ai lavori di ristrutturazione.

Il 6.11.2008 il Comune comunicava preavviso di diniego poiché, trattandosi di ente religioso, l’attività dallo stesso svolta risultava incompatibile con la destinazione "B2" della zona di ubicazione dell’immobile, che ammetterebbe soltanto funzioni di servizio, con esclusione di quelle religiose (cfr. art. 12.2 N.T.A.).

L’Associazione replicava facendo presente di non possedere alcuno specifico programma religioso, ma che, trattandosi di associazione di musulmani praticanti, "nella sede potranno svolgersi anche momenti di preghiera, singola o collettiva, nei momenti della giornata e della settimana in cui la nostra presenza nella sede coinciderà con gli orari della preghiera".

In data 4.02.2009 il Comune comunicava parere contrario alla richiesta come sopra formulata, poiché, sulla base dello scopo statutario dell’Associazione, di "conservare e tramandare la tradizione culturale islamica", la struttura rientrerebbe nell’ambito di applicazione degli artt. 7072 della legge regionale n.12/2005, quale attrezzatura d’interesse comune per servizi religiosi (ai sensi dell’art. 71, co. 1, lett. c).

Avverso tale comunicazione l’Associazione ha proposto ricorso dinanzi a questo T.A.R., iscritto al n. 1056/2009, tutt’ora pendente.

Con successive ordinanze nn. 143 e 144, entrambe del 16.11.2010, il Comune – facendo leva anche sul verbale del sopralluogo del 26.8.2009 della Polizia Locale (P.L.) – che aveva evidenziato la presenza nell’immobile in questione di "un grande salone riservato ai soli uomini il cui pavimento è cosparso di tappeti…", avrebbe disposto:

" con la prima (n.143) il divieto per tutti gli utilizzatori dei locali dell’Associazione di continuare l’uso degli stessi per l’attività di culto e per le manifestazioni culturali, ex art. 54 d.lgs. n. 267/2000, stante la necessità di prevenire situazioni di rischio e di pericolo per la pubblica e privata incolumità;

" con la seconda (n.144) l’ordine al legale rappresentante dell’Associazione di provvedere alla rimessione in pristino dei locali in relazione all’originaria destinazione degli stessi entro il termine di giorni 90 dalla notifica.

Si è costituito il Comune di Pioltello, controdeducendo con separata memoria alle censure avversarie e sollevando, altresì, eccezioni pregiudiziali di inammissibilità del ricorso per acquiescenza, carenza di interesse e genericità.

Con ordinanza n. 345 dell’11.02.2011 la Sezione ha respinto la formulata domanda cautelare.

Con ordinanza n. 2008 del 10.05.2011 il Consiglio di Stato – in riforma della citata ord. 345/2011 – ha accolto la domanda cautelare, sull’unico presupposto che "l’immobile utilizzato dall’Associazione Culturale della Fratellanza non risulta sia utilizzato in via esclusiva quale luogo di culto…con conseguente insussistenza nella specie di un’incompatibilità ediliziourbanistica della destinazione d’uso dell’immobile medesimo; né è applicabile – nella specie – lo ius superveniens contenuto nell’art. 71, comma 1, lett. c – bis, della L.R. 11 marzo 2005 n. 12, così come inserito dall’art. 12 della L.R. 21 febbraio 2011 n. 3, in quanto non vigente al momento dell’emanazione degli atti impugnati in primo grado".

In data 11.07.2011 la difesa resistente ha depositato ulteriori relazioni della Polizia Locale per sopralluoghi dell’11.03.2011 e del 25.03.2011, entrambi attestanti l’afflusso di numerose persone (circa 160) nelle giornate settimanali del Venerdì, tutte di sesso maschile, nei locali dell’Associazione e nell’orario compreso tra le 12:00 e le 14:00.

Alla pubblica udienza del 20.10.2011 il Collegio, sentite le parti, che si sono riportate ai rispettivi scritti, ha trattenuto la causa per la decisione.

Motivi della decisione

1) Preliminarmente, il Collegio deve soffermarsi sulle eccezioni di inammissibilità sollevate dalla difesa resistente.

Con esse, in sostanza, il Comune lamenta l’insufficienza delle censure articolate con l’odierno gravame, che non varrebbero a scardinare il fondamento dei provvedimenti impugnati, basati non soltanto su questioni edilizie ma anche su motivate ragioni di tutela della sicurezza e della pubblica incolumità, non attinte da alcun motivo di ricorso.

In ogni caso, le censure articolate dall’esponente sarebbero comunque insufficienti a minare i provvedimenti impugnati, poiché si limiterebbero a colpire unicamente il verbale di sopralluogo della P.L., richiamato come presupposto delle ordinanze impugnate.

Le stesse censure, infine, si paleserebbero irrimediabilmente generiche, con conseguente violazione dell’art. 40, co.1 lett.c) c.p.a.

2) Il Collegio ritiene di poter accogliere l’eccezione di inammissibilità del gravame, limitatamente alla parte dell’impugnazione rivolta avverso l’ordinanza n.143/2011, irrimediabilmente carente sotto il profilo del prescritto interesse al ricorso.

3) In tal senso, si deve rammentare, in linea generale, come non possa essere ravvisato l’interesse al ricorso in presenza di un’azione di annullamento che, proposta avverso un provvedimento avente una motivazione articolata su più ragioni, ciascuna autonomamente idonea a sorreggerlo, contenga dei motivi di ricorso rivolti solo contro taluna di dette ragioni, facendone salve altre (cfr. Consiglio di Stato, IV, 13 luglio 2011, n. 4261). In tali evenienze, infatti, non si vede quale utilità potrebbe conseguire il ricorrente da una pronuncia di accoglimento che, pur privando il provvedimento impugnato di una parte della motivazione, non lo priverebbe della parte restante, autonomamente idonea a sorreggerne la determinazione conclusiva.

4) Nel caso che qui occupa, si è in presenza di una situazione "sui generis" in cui l’amministrazione, in relazione ad una medesima vicenda fattuale, pur facendo uso di un impianto motivazionale pressoché identico, ha ritenuto di dovere adottare due distinte ordinanze, sfocianti, l’una, in un divieto e, l’altra, in un comando.

5) Si deve, allora, focalizzare l’attenzione sul contenuto di tale motivazione, al fine di chiarire se, le due ragioni su cui essa essenzialmente si articola, rivestano, nell’economia delle due menzionate ordinanze, una pari importanza (in termini di autonomia e, quindi, di autosufficienza) posto che, solo in tal caso si potrà ritenere, facendo leva sull’orientamento giurisprudenziale in precedenza richiamato, che l’intero ricorso sia inammissibile.

6) Ebbene, avendo riguardo alla citata motivazione, va notato come la stessa, nella parte in cui risulta uguale per entrambe, contenga un riepilogo di tutte le problematiche riscontrate dall’autorità comunale in relazione alla fattispecie in esame (dalla violazione dell’art. 52, co. 3 bis della L.R. n. 12/2005, per l’aspetto che fa leva sul cambio di destinazione d’uso da attività sportiva ad attività di culto; al mancato rispetto della normativa di prevenzione antincendi, di cui al d.M. 27.09.1965, nonché, della normativa T.U.L.P.S. per gli adempimenti previsti in caso di locali fino a 200 persone, dal d.P.R. n.311/2001 e s.m.i).

In realtà, soltanto nell’ultima parte delle premesse, i due provvedimenti differiscono, poiché, mentre l’ordinanza n. 143/2010 prevede che: "…

– Vista la necessità di tutelare la pubblica e privata incolumità e prevenire situazioni di rischio,…;

– Visto l’art. 54 del titolo III del d.lgs. n. 267/2000… Vieta a tutti gli utilizzatori dei locali dell’Associazione… l’utilizzo dei locali… per l’attività di culto e manifestazioni culturali a far data dalla notifica del presente provvedimento…"; l’ordinanza n. 244/2010, così dispone: "…

– Vista la necessità di adottare i provvedimenti…conseguenti la realizzazione di opere in assenza di titolo ed il cambio di destinazione d’uso…

– Visto l’art. 31 del d.P.R. n. 380/2001…

– Visto l’art. 107 del d.lgs. n. 267/2000… ordina… di provvedere alla rimessa in pristino dei luoghi allo stato e alla destinazione originaria assentita dei locali…".

Riepilogando, quindi, mentre l’ordinanza n. 143 è stata adottata ai sensi dell’art. 54 TUEL cit., valorizzando la ragione che fa leva sulla violazione della normativa antincendio e di quella di pubblica sicurezza, per cui essa dà luogo ad un divieto di utilizzazione dei locali rivolto a tutti i possibili fruitori dei medesimi; l’ordinanza n.144 è stata, invece, adottata ai sensi dell’art. 31 TUED cit., valorizzando la violazione della normativa edilizia sul cambio di destinazione d’uso in caso di attività di culto, per cui essa approda ad un ordine (nella specie, un comando), impositivo di un obbligo di fare (qual è il ripristino dello status quo ante, a carico del legale rappresentante dell’Associazione).

7) In tali evenienze, si deve ritenere che – anticipando quanto si verrà specificando nel prosieguo – le due ragioni, così come richiamate nella motivazione dei provvedimenti in questione, non assumono, nell’impianto complessivo dei succitati atti, la medesima rilevanza.

In particolare, mentre per il provvedimento di divieto, adottato ai sensi del cit. art. 54, la motivazione dotata di autosufficienza è quella che fa leva sulle ragioni di tutela dell’incolumità e sicurezza pubblica, per il provvedimento di comando, assunto ai sensi dell’art. 31 d.P.R. n. 380 cit., la ragione assorbente è quella che fa leva sul mutamento non autorizzato di destinazione d’uso.

8) Riprendendo, quindi, dall’esame dell’ordinanza n. 143 cit., il Collegio deve concludere nel senso dell’inammissibilità, in parte qua, del ricorso, per totale carenza di interesse all’impugnazione, atteso che, l’unico motivo apparentemente veicolato avverso tale ordinanza, lascia integro il presupposto legittimante il divieto ivi enunciato, che fa leva sull’art. 54 d.lgs. n. 267/2000 e, quindi, sulla necessità di tutelare la pubblica e privata incolumità e di prevenire situazioni di rischio, quali quelle derivanti dal mancato rispetto della normativa antincendi e di pubblica sicurezza.

In verità, entrambi i motivi del ricorso riproducono le medesime censure, imperniate sulla violazione di legge, l’eccesso di potere per difetto di motivazione e il travisamento dei fatti, poiché l’amministrazione avrebbe erroneamente ritenuto, facendo leva sul sopralluogo della P.L. del 26.08.2009, che l’Associazione svolgesse attività di culto e/o aperta al pubblico, nei locali di via Canova 3, laddove essa, in concreto, svolgerebbe la propria attività soltanto a favore dei soci che ne facciano richiesta. La relazione di P.L. del 01.10.2009, relativa al sopralluogo del 26.08.2009, richiamata come presupposto dell’ordinanza succitata sarebbe, al riguardo, inconferente, recando soltanto una descrizione dei locali, come tale neutra e inidonea a supportare il provvedimento impugnato. Né miglior pregio avrebbero le frasi riferite nell’occasione dagli astanti, che deporrebbero soltanto nel senso che l’attività dell’associazione è, come già detto, "aperta a chiunque dei soci ne faccia richiesta".

9) Su tali aspetti, la difesa comunale rileva come, sin dalla comunicazione di avvio del procedimento del 5.10.2009, il Comune avesse fatto presente l’esigenza di integrare la documentazione inerente l’attività svolta nei suddetti locali, non soltanto, sotto il profilo edilizio (attesa la mancanza della richiesta di permesso di costruire per cambio di destinazione), ma anche, con specifico riguardo alle certificazioni degli impianti tecnici, previste dalla normativa di prevenzione incendi per i locali di intrattenimento con capienza superore alle 100 persone, nonché, in ordine agli adempimenti prescritti dal T.U.L.P.S. per locali con capienza fino a 200 persone (d.P.R. n. 311/2001 e s.m.i.).

Ebbene, stando sempre alla difesa resistente, nessuno dei predetti profili sarebbe stato attinto sia dal ricorso introduttivo che dall’ordinanza del Consiglio di Stato n.2008/2011. Quest’ultima, infatti, avrebbe motivato soltanto in relazione alle questioni edilizie oggetto dell’ordinanza di ripristino n.144/2010, e non anche con riferimento alle questioni di incolumità e sicurezza pubblica, oggetto dell’ordinanza n.143/2010.

10) Tanto premesso, il Collegio non può che ribadire la inidoneità delle censure svolte con il primo motivo, avverso l’ordinanza n. 143/2010, a demolire la ragione fondante della predetta ordinanza, basata sulla mancata produzione della certificazione di cui al D.M. 1621982 (recante: "Modificazioni del D.M. 27 settembre 1965, concernente la determinazione delle attività soggette alle visite di prevenzione incendi", applicabile ratione temporis al caso di specie, benché abrogato dalla lettera d. del comma 1 dell’art. 12, D.P.R. 1° agosto 2011, n. 151) e sulla violazione del D.P.R. 2852001 n. 311 (recante "Regolamento per la semplificazione dei procedimenti relativi ad autorizzazioni per lo svolgimento di attività disciplinate dal testo unico delle leggi di pubblica sicurezza").

Tali censure – che, pur nella loro genericità, possono assumere un significato specifico in relazione alle problematiche sottese all’ipotizzato cambio di destinazione posto a fondamento dell’ordinanza n. 144/2010 – si rivelano, però, del tutto prive di specifici riferimenti, giuridici oltreché fattuali, in relazione agli aspetti pregnanti dell’ordinanza n.143/2010.

11) Sul punto, giova inoltre precisare come risultino inammissibili le censure articolate con la memoria (non notificata) depositata il 6.09.2011, trattandosi di motivi nuovi, non presenti né in alcun modo ricavabili dal ricorso originario.

12) Tornando a quest’ultimo e, quindi, al secondo e ultimo motivo di ricorso, che attinge, come già detto, l’ordinanza n.144/2010, va ricordato come le censure siano le stesse svolte col primo motivo, insistendo la difesa ricorrente sulla mancata dimostrazione della destinazione dei locali ad attività di culto o ad attività aperte al pubblico, pur essendo l’Associazione "aperta a chiunque dei soci ne faccia richiesta". La relazione della P.L. del 01.10.2009 non proverebbe affatto l’asserito cambio di destinazione d’uso in assenza di permesso di costruire.

13) Il ricorso è, in parte qua, fondato nel senso di seguito meglio specificato.

Il comando contenuto nell’ordinanza n.143/2010 si fonda, infatti, sul presupposto del mutamento della destinazione d’uso, da palestra a luogo di culto, realizzato dall’Associazione nei locali de quibus in violazione degli artt. 70, 71, 72 e 52, co. 3 bis della L.R. n. 12/2005.

14) Ora, passando ad esaminare meglio la surrichiamata normativa e iniziando dalla norma da ultimo elencata, il citato comma, aggiunto dall’ art. 1, comma 1, lett. m), della L.R. 14 luglio 2006, n. 12, prevede che: "I mutamenti di destinazione d’uso di immobili, anche non comportanti la realizzazione di opere edilizie, finalizzati alla creazione di luoghi di culto e luoghi destinati a centri sociali, sono assoggettati a permesso di costruire".

Quanto alla localizzazione di siffatti luoghi, l’art. 72 della stessa legge si preoccupa di armonizzare l’esplicazione del diritto di professione della fede religiosa con le esigenze sottese alla pianificazione comunale, stabilendo che:

"1. Nel piano dei servizi e nelle relative varianti, le aree che accolgono attrezzature religiose, o che sono destinate alle attrezzature stesse, sono specificamente individuate, dimensionate e disciplinate sulla base delle esigenze locali, valutate le istanze avanzate dagli enti delle confessioni religiose di cui all’articolo 70. Le attrezzature religiose sono computate nella loro misura effettiva nell’ambito della dotazione globale di spazi per attrezzature pubbliche e di interesse pubblico o generale di cui all’articolo 9, senza necessità di regolamentazione con atto di asservimento o regolamento d’uso…..

4bis. Fino all’approvazione del piano dei servizi, la realizzazione di nuove attrezzature per i servizi religiosi è ammessa unicamente su aree classificate a standard nei vigenti strumenti urbanistici generali e specificamente destinate ad attrezzature per interesse comune" (comma aggiunto dall’art. 1, comma 1, lettera hhh), L.R. 14 marzo 2008, n. 4).

15) Diviene, a questo punto, di fondamentale importanza, stabilire cosa debba intendersi per "attrezzature d’interesse comune per servizi religiosi", assoggettate al permesso di costruire in caso di mutamento di destinazione d’uso anche se non accompagnato da opere edilizie.

Soccorre, al riguardo, l’art. 71 della stessa legge regionale n.12 che, prima della modifica introdotta con la legge 21.02.2011 n. 3, non applicabile ratione temporis al caso di specie, contemplava tre fattispecie:

"a) gli immobili destinati al culto anche se articolati in più edifici compresa l’area destinata a sagrato;

b) gli immobili destinati all’abitazione dei Ministri del culto, del personale di servizio, nonché quelli destinati ad attività di formazione religiosa;

c) nell’esercizio del ministero pastorale, gli immobili adibiti ad attività educative, culturali, sociali, ricreative e di ristoro compresi gli immobili e le attrezzature fisse destinate alle attività di oratorio e similari che non abbiano fini di lucro;…".

16) Il Comune di Pioltello ha ritenuto di motivare l’ordinanza n.144/2010, facendo leva sulla riconducibilità dell’attività svolta dall’odierna ricorrente alla previsione di cui al citato art. 71 e, quindi, puntando sull’incompatibilità di tale destinazione con la disciplina urbanistica dell’area "B2", di ubicazione del predetto immobile.

Sennonché, la possibilità di ricondurre, in via interpretativa, la fattispecie all’esame fra le ipotesi indicate nell’art. 71 cit. (nella versione anteriore alla riforma intervenuta con la L.R. n.3/2011), è stata recisamente esclusa dal Consiglio di Stato, nell’ordinanza n.2008/2011 cit. che, riformando la decisione resa da questa Sezione in sede di cognizione sommaria, ha ritenuto inapplicabile al caso di specie lo ius superveniens, al contempo escludendo che la fattispecie che qui occupa fosse incompatibile con la destinazione d’uso dell’immobile.

17) Inoltre, restando sul contenuto della succitata modifica normativa, va chiarito come essa intervenga a novellare il comma 1 del citato art. 71, includendo tra le "attrezzature di interesse comune per servizi religiosi:…

cbis) gli immobili destinati a sedi di associazioni, società o comunità di persone in qualsiasi forma costituite, le cui finalità statutarie o aggregative siano da ricondurre alla religione, all’esercizio del culto o alla professione religiosa quali sale di preghiera, scuole di religione o centri culturali".

18) Non v’è dubbio, allora, che tale definizione si presti, meglio delle altre contenute nello stesso comma, a ricomprendere anche l’attività svolta dall’Associazione, tenuto conto delle documentate finalità statutarie e dalla mancata, concreta dimostrazione di attività diverse da quelle proprie della preghiera, svolte dall’Associazione medesima.

19) D’altro canto, è altrettanto indubbio che, ammettendo la riconducibilità degli immobili destinati a sedi di associazioni analoghe a quella della ricorrente alla previsione introdotta con la riforma del 2011, da ultima citata, si giunge inevitabilmente ad escludere il riferimento, in via interpretativa, della medesima fattispecie, alle previsioni contenute nella medesima norma, nella versione ante riforma.

20) Ciò in quanto, se il significato ritraibile dalla precedente versione fosse stato chiaro nel senso di ricomprendere anche le fattispecie di cui all’attuale lett. c bis, non sarebbe stato necessario l’intervento del legislatore regionale, nel senso sopra evidenziato.

21) Consegue, da quanto suesposto, l’illegittimità del provvedimento n. 144/2010, recante l’ordine, rivolto all’esponente, di ripristino dello status quo ante sul presupposto della violazione degli artt. 7072 e 52, co. 3 bis della legge regionale n.12/2005, nella versione anteriore alle modifiche da ultimo apportate dalla legge regionale n.3/2011, come sopra specificate.

22) In conclusione, il ricorso in epigrafe specificato deve essere accolto, limitatamente all’impugnazione rivolta avverso l’ordinanza n.144/2010, mentre deve essere dichiarato inammissibile per difetto di interesse per la restante parte.

23) La complessità della vicenda e la reciproca soccombenza giustificano ampiamente la compensazione integrale delle spese di lite tra le parti costituite.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia (Sezione Seconda)

definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie limitatamente all’impugnazione dell’ordinanza n. 144/2010, mentre lo dichiara inammissibile per la restante parte.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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