Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 21-06-2011) 24-10-2011, n. 38147

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. La Corte d’Appello di Milano, con sentenza 29/1/2009, confermava la decisione 18/1/2008 del locale Tribunale, che aveva dichiarato G.M. colpevole dei reati (commessi il (OMISSIS)) di resistenza e di lesioni personali volontarie in danno dell’agente di Polizia penitenziaria F.G. e lo aveva condannato, previa unificazione degli illeciti sotto il vincolo della continuazione e in concorso delle circostanze attenuanti generiche, alla pena di mesi quattro e giorni 15 di reclusione.

Il Giudice distrettuale riteneva che la prova della colpevolezza dell’imputato era integrata dalla convergenti testimonianze dell’agente F., dell’agente M. e del detenuto S., i quali avevano riferito che l’imputato aveva aggredito verbalmente e fisicamente il primo, procurandogli lesioni, nel mentre lo stesso, nell’espletamento delle proprie prerogative funzionali, procedeva al controllo della cella e contestava al detenuto il fatto di avere collegato al rubinetto del bagno alcune bottiglie, facendo scorrere in continuazione l’acqua; precisava che l’intervento dell’agente penitenziario finalizzato a rimuovere tale situazione era stato ispirato da buon senso e non da intenti vessatori e non integrava, pertanto, gli estremi dell’atto arbitrario; aggiungeva che la prova testimoniale era riscontrata dalla certificazione medica in ordine alle lesioni riportate, nella circostanza, dall’agente penitenziario;

sottolineava, infine, che la negativa personalità dell’imputato sconsigliava l’accoglimento della richiesta di sostituzione della pena detentiva.

2. Ha proposto ricorso per Cassazione l’imputato, deducendo l’inosservanza e l’erronea applicazione della legge penale, con connesso vizio di motivazione, sotto più profili: a) la sua reazione violenta era stata determinata dal comportamento sconveniente, arrogante, prepotente e vessatorio del pubblico ufficiale, che aveva, in modo arbitrario, ecceduto i limiti delle sue attribuzioni; b) non ricorrevano gli estremi del reato di lesioni, ma piuttosto quelli del reato di percosse, da ritenersi assorbito nella condotta di resistenza a pubblico ufficiale; c) non giustificato il diniego della sostituzione della pena detentiva con la corrispondente pena pecuniaria.

3. Il ricorso è inammissibile.

Ed invero, i motivi in esso articolati ripropongono le stesse ragioni già discusse e ritenute infondate dalla Corte di merito e devono, pertanto, ritenersi non specifici. La mancanza di specificità dei motivi, infatti, deve essere apprezzata non solo per la loro genericità, intesa come indeterminatezza, ma anche per la mancanza di correlazione tra le ragioni argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento del ricorso, non potendo questo ignorare le esplicitazioni del giudice censurato senza cadere nel vizio di aspecificità, conducente, a mente dell’art. 591 c.p.p., comma 1, lett. c, all’inammissibilità.

Il percorso argomentativo su cui riposa la sentenza impugnata, facendo buon governo della legge penale, da conto, in maniera adeguata e logica, delle ragioni che giustificano la conclusione alla quale perviene, confutando puntualmente, con valutazione di merito non censurabile sotto il profilo della legittimità, le argomentazioni difensive sviluppate in sede di appello e riproposte in questa sede.

4. Alla declaratoria d’inammissibilità del ricorso, consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento alla Cassa delle ammende della somma, che stimasi equa, di Euro 1.000,00.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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