Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 17-06-2011) 24-10-2011, n. 38307

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. La Corte di Appello di Cagliari, con sentenza del 20 aprile 2010, ha confermato la sentenza del Tribunale di Cagliari del 15 luglio 2003 ed ha ribadito l’intervenuta prescrizione del reato di cui agli artt. 56 e 615 quater c.p. ascritto a C.G..

2. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione l’imputato, a mezzo del proprio difensore, lamentando:

a) l’inosservanza o erronea applicazione della legge penale e la carenza di motivazione, con particolare riferimento alla mancata assoluzione dall’imputazione per difetto del prescritto dolo specifico;

b) l’inosservanza ed erronea applicazione della legge penale e la carenza di motivazione, con particolare riferimento all’ammissibilità del tentativo nell’ipotesi di reato ascritto, integrante gli estremi del reato di pericolo.

Motivi della decisione

1. Il ricorso non merita accoglimento.

2. Giova premettere, sulla base della citata decisione delle Sezioni Unite di questa Corte 13 maggio 2009 n. 35490 come, in presenza di una causa di estinzione del reato, il Giudice sia legittimato a pronunciare sentenza di assoluzione, a norma dell’art. 129 c.p.p., comma 2, soltanto nei casi in cui le circostanze idonee ad escludere l’esistenza del fatto, la commissione del medesimo da parte dell’imputato e la sua rilevanza penale emergano dagli atti in modo assolutamente non contestabile, così che la valutazione che il Giudice deve compiere ai riguardo appartenga più al concetto di "constatazione", ossia di percezione "ictu oculi", che a quello di "apprezzamento" e sia quindi incompatibile con qualsiasi necessità di accertamento o di approfondimento.

Ecco, quindi, che l’impugnata sentenza sfugge alla censura di cui al primo motivo di ricorso avendo, sulla base della definizione del commesso reato secondo la seguente formula: "l’imputato era accusato, quanto al capo B) di avere in qualità di operatore amministrativo, in servizio presso la Procura della Repubblica del Tribunale di Cagliari, al fine di procurare a sè o ad altri un profitto o recare ad altri un danno, compiuto…" e, pertanto, tenendo evidentemente conto del tipo di dolo necessario ad integrare la fattispecie in contestazione escluso la semplice constatazione dell’inesistenza del reato stesso.

Il "profitto in proprio favore" ovvero "il danno nei confronti di altri" risulta evidenziato dalla frase in cui i Giudici del merito, per affermare la mancanza di fatti idonei a determinarne il proscioglimento, notano come attraverso il possesso in capo all’imputato dei fogli contenenti le codifiche ottenute dal computer collegato alla rete si sarebbero potute decifrare le chiavi segrete di accesso al registro generale.

3. Del pari infondata è la seconda doglianza.

Deve, infatti, essere confermato il più recente indirizzo giurisprudenziale che configura come ammissibile il tentativo con riferimento ai cosiddetti reati di pericolo, essendo ben possibili atti idonei e diretti in modo non equivoco a cagionare un pericolo che invece non sorge (v. oltre alle citate Cass. Sez. 6, 13 febbraio 1995 n. 4169 e Sez. 2, 4 dicembre 2007 n. 45207 anche Sez. 6, 23 gennaio 2003 n. 22523, Sez. 5, 26 aprile 2005 n. 23465 e da ultimo Sez. 5, 9 luglio 2010 n. 36601).

Ciò non esclude, in sostanza, l’offensività dell’azione punita nel caso concreto atteso che la condotta non è certo diretta ad un reato impossibile a verificarsi, ma è diretta ad intercettare dati riservati che non sono acquisiti per ragioni non dipendenti dalla volontà dell’imputato.

4. In definitiva il ricorso deve essere rigettato e il ricorrente condannato al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *