Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 17-06-2011) 24-10-2011, n. 38306

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. La Corte di Appello di Trieste, con sentenza del 13 gennaio 2010, su appello del Procuratore Generale ha riformato la sentenza del Tribunale di Trieste del 19 gennaio 2007 ed ha condannato B. G. per il delitto di diffamazione a mezzo stampa in danno di T.A., commesso il (OMISSIS) a mezzo della pubblicazione di una propria lettera nella rubrica "Segnalazioni" sul quotidiano "(OMISSIS)". 2. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per Cassazione il B., il quale lamenta, a mezzo del proprio difensore:

a) la decadenza dell’impugnazione proposta ilio tempore dal Pubblico Ministero;

b) l’erronea qualificazione come impugnazione, nel corpo della motivazione della sentenza impugnata, della mera richiesta formulata dalla parte civile ai sensi dell’art. 572 c.p.p.;

c) una erronea applicazione della legge penale, ai sensi dell’art. 606 c.p.p., lett. b), con particolare riferimento alla ritenuta non veridicità della notizia riportata nella lettera;

d) la contraddittorietà della motivazione in ordine alle statuizioni sul danno civile.

3. Risulta, infine, pervenuta una memoria difensiva nell’interesse della parte civile.

Motivi della decisione

1. Il ricorso è inammissibile, essendone i motivi palesemente infondati.

2. Il primo motivo è contraddetto dalla mera lettura dell’art. 585 c.p.p., comma 2, lett. d) che fa decorrere i termini per l’impugnazione del Procuratore Generale presso la Corte di Appello, rispetto ai provvedimenti emessi in udienza da qualsiasi Giudice della sua circoscrizione diverso dalla Corte di appello, dal giorno dell’avvenuta comunicazione dell’avviso di deposito dell’impugnato provvedimento.

Nella specie, la suddetta comunicazione è avvenuta il 10 maggio 2007 e l’atto di appello risulta depositato il 17 maggio successivo, perfettamente nei termini di cui all’art. 585 c.p.p., comma 1, lett. c).

3. Il secondo motivo non evidenzia alcuna violazione di legge nè altro vulnus al principio della difesa dell’imputato, consistendo nell’evidenziazione di in un mero errore materiale avendo, da un lato, la Corte territoriale qualificato come appello della parte civile l’istanza che la stessa aveva presentato al P.M. ai sensi dell’art. 572 c.p.p. e, d’altro canto, essendo le conclusioni formulate dalla parte civile del tutto identiche a quelle richieste dalla parte pubblica appellante (affermazione della penale responsabilità dell’imputato e sua condanna al risarcimento del danno).

4. Quanto al terzo motivo, è nota la giurisprudenza di questa stessa Sezione della Corte che ha posto in evidenza come fondamentale ai fini dell’integrazione del delitto di diffamazione a mezzo stampa sia la necessità che nell’articolo giornalistico siano riportati, in maniera non continente, fatti non veri ovvero di nessun pubblico interesse (v. di recente, Cass. Sez. 5, 4 novembre 2010 n. 44024).

Tutto ciò premesso in diritto, si osserva, questa volta in fatto secondo quanto accertato dalla Corte territoriale con motivazione immune da vizi logici, come la notizia, riportata nell’articolo giornalistico in contestazione (più in particolare nelle c.d.

"lettere di segnalazione" inviate dai lettori), circa il rifiuto del medico di turno del pronto soccorso, identificabile nella parte civile costituita, di prestare la dovuta assistenza alla figlia minorenne dell’odierno imputato non fosse vera (v. pagine da 6 a 9 della motivazione).

La diversa lettura delle affermate risultanze processuali, contenuta nel motivo di ricorso avanti questa Corte viene, inoltre, a scontrarsi con la funzione tipica di legittimità della Cassazione che non può tramutarsi in un ulteriore grado di giudizio allorquando, come nella specie, i Giudici del merito si siano ispirati alla giurisprudenza di questa stessa Corte ed abbiano dato logico conto della conformità a tali principi dell’acquisito materiale probatorio e di ogni altra utile risultanza di causa.

5. Con riferimento, poi, all’ultimo motivo di ricorso, per affermarsene la palese infondatezza basta rilevare come l’avvenuta condanna al risarcimento del danno sia stata la naturale conseguenza dell’affermata natura diffamatoria di quanto realizzato dall’imputato, a cagione della non veridicità dei fatti evidenziati nella lettera pubblicata sul quotidiano, e non anche della circostanza, eventualmente valutabile ai fini del diverso delitto di calunnia per il quale non vi è esercizio dell’azione penale, dell’accusa fraudolenta in danno della parte lesa di aver compiuto fatti costituenti reato.

6. Il ricorso va, in conclusione, dichiarato inammissibile e il ricorrente condannato al pagamento delle spese processuali e di una somma di denaro in favore della Cassa delle Ammende nonchè alla rifusione delle spese sostenute nel grado dalla parte civile, liquidate come da dispositivo in misura minima in considerazione della mancata partecipazione all’udienza e della mancata presentazione della nota spese.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 500,00 in favore della Cassa delle Ammende, nonchè alla rifusione delle spese sostenute nel grado dalla parte civile, liquidate in complessivi Euro 600,00 per onorari, oltre accessori come per legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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