Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 17-06-2011) 24-10-2011, n. 38302

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con atto del 21 settembre 2009 ha proposto ricorso per cassazione il difensore di C.E. e C.G. avverso la sentenza in data 25 giugno 2009 con la quale il Tribunale di Napoli ha dichiarato inammissibile l’appello proposto contro quella del Giudice di Pace di Napoli, di condanna alla pena della multa in ordine al delitto di ingiuria commesso il (OMISSIS).

Aveva rilevato il Tribunale che le sentenze del Giudice di pace, quando non contengono statuizioni civili, non sono appellabili ma solo ricorribili per cassazione.

Deducono la violazione degli artt. 591 e 568 c.p.p. e D.Lgs. n. 274 del 2000, art. 37.

La giurisprudenza della Cassazione in tema di appellabilità delle sentenze del giudice di pace dovrebbe estendersi anche al caso di specie nel quale il provvedimento impugnato recava la condanna alla rifusione delle spese processuali.

Ad ogni buon conto, anche la eventuale inammissibilità dell’appello avrebbe dovuto comportare la trasmissione del gravame alla Corte di cassazione.

La doglianza è fondata per quanto concerne l’ultimo profilo evidenziato nell’interesse di C.G., dovendosi considerare che quanto alla posizione di C.E., già il giudice di primo grado aveva dichiarato di non doversi procedere per morte e che nessuna legittimazione aveva il relativo difensore a proporre impugnazione.

Tuttavia, pur trattenuto in decisione da questa Corte l’appello di C.G., qualificato come ricorso, lo stesso deve essere dichiarato inammissibile.

In ordine al gravame riguardante C.G. si evidenzia che, invero, il Tribunale non ha errato nell’affermare che la sentenza del Giudice di pace di condanna alla sola sanzione penale non è appellabile bensì ricorribile per cassazione.

La giurisprudenza evocata dagli impugnanti infatti si attaglia al caso in cui la sentenza di primo grado contenga condanna al risarcimento del danno, o alla rifusione delle spese processuali, da intendersi, queste ultime, non certo le spese anticipate dall’erario per la celebrazione del processo ma quelle sostenute dalla parte civile.

Ciò si desume chiaramente dal testo dell’art. 574 c.p.p., commi 1 e 4 che regola la impugnazione dell’imputato "per gli interessi civili", estendendo gli effetti della impugnazione della sentenza di condanna, appunto, alle statuizioni sul risarcimento o sulle spese che dipendono dal capo impugnato.

Tuttavia è corretta la censura del ricorrente a proposito della violazione dell’art. 568 c.p.p., comma 5.

Come sottolineato dalle Sezioni unite nella sentenza Bonaventura del 2001, dopo un vistoso revirement della precedente giurisprudenza anch’essa dovuta allo stesso supremo consesso, in tema di impugnazioni, allorchè un provvedimento giurisdizionale sia impugnato dalla parte interessata con un mezzo di gravame diverso da quello legislativamente prescritto, il giudice che riceve l’atto deve limitarsi, a norma dell’art. 568 c.p.p., comma 5, a verificare l’oggettiva impugnabilità del provvedimento, nonchè l’esistenza di una "voluntas impugnationis", consistente nell’intento di sottoporre l’atto impugnato a sindacato giurisdizionale, e quindi trasmettere gli atti, non necessariamente previa adozione di un atto giurisdizionale, al giudice competente. (Sez. U, Ordinanza n. 45371 del 31/10/2001 Cc. (dep. 20/12/2001), Bonvantura, Rv. 220221 (Conf.

SU, 31 ottobre 2001 n. 45372, De Palma, non massimata).

Il gravame dell’imputato, va dunque esaminato come ricorso, da questa Corte, alla stregua dei criteri posti dall’art. 606 c.p.p..

Esso risulta inammissibile perchè interamente versato in fatto.

In esso, invero, l’estensore criticava il merito della deposizione della persona offesa, perno della accusa. Citava brani delle sue dichiarazioni per inferirne una certa confusione nei ricordi e imprecisione nella ricostruzione degli orari dell’episodio in contestazione. Vi era inoltre contraddizione tra l’orario della visita all’avvocato e l’affermazione per cui non vi erano testimoni all’accaduto; appariva anche inverosimile che la presunta aggressione subita ad opera dell’imputato non avesse lasciato segni.

Si tratta, come è evidente, di censure che puntano ad una diversa ricostruzione del fatto e che, sebbene giustamente proposte nell’ottica dell’appello, non sono viceversa tali da integrare motivi ammissibili dinanzi al giudice della legittimità.

Alla inammissibilità del ricorso di C.G. consegue, ex art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al versamento, in favore della cassa delle ammende, di una somma che appare equo determinare in Euro 500.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio il provvedimento impugnato e riqualificato l’appello come ricorso dichiara il ricorso proposto da C. G. inammissibile e condanna il predetto al pagamento delle spese del procedimento e a versare alla cassa delle ammende la somma di Euro 500.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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