Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 11-04-2012, n. 5712 Indennità varie

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

B.G., dipendente della Provincia Regionale di Messina sino all’8 gennaio 2000 e da tale data titolare di collaborazione esterna ad alto contenuto professionale fino al 28 maggio 2003, chiedeva, convenendo in giudizio anche l’INPDAP, al Tribunale di Messina la condanna di detta Provincia al pagamento, in relazione ai dedotti rapporti di lavoro, di differenze retributive dovute a titolo di retribuzione di risultato non corrisposta e a titolo di retribuzione di risultato e di posizione erogata in misura inferiore al dovuto. L’adito giudice dichiarava il proprio difetto di giurisdizione per le pretese anteriori al 30 giugno 1998 e rigettava quelle attinenti al periodo successivo.

La Corte di Appello di Messina confermava la sentenza di primo grado.

La Corte del merito, per quello che interessa in questa sede, riteneva prescritte le pretese anteriori il quinquennio antecedenti la notifica alla Provincia – avvenuta in data 30 gennaio 2006 – dell’istanza del tentativo di conciliazione non valutando come idonea ad interrompere la prescrizione la missiva del 9 maggio 2003, stante il suo generico contenuto, il riferimento al solo rapporto di lavoro come dipendente e la mancanza di ogni riferimento alle indennità richieste con la domanda giudiziale.

Per il periodo successivo alla accertata prescrizione la Corte territoriale rilevava che non spettava l’indennità di risultato non essendo questa, a differenza dell’indennità di posizione, menzionata nel contratto d’incarico di collaborazione esterna prevedendo questo (art. 6) la possibilità di concedere una indennità commisurata alla quantità e qualità dei risultati raggiunti e, quindi, un corrispettivo inconciliabile con la reclamata indennità.

Relativamente alla indennità di posizione la Corte del merito osservava che questa spettava, non nella misura massima prevista dal contratto collettivo, ma in quella determinata dalla Amministrazione nella sua autonomia e, conseguentemente, la pretesa del B. alla corresponsione della misura massima era infondata.

Avverso questa sentenza il B. ricorre in cassazione sulla base di due censure.

Resiste con controricorso la intimata Provincia che deposita memoria illustrativa.

L’INPDAP non svolge attività difensiva.

Motivi della decisione

Con il primo motivo il ricorrente, rinviando a quanto dedotto con l’atto di appello, deduce violazione degli artt. 2943 e 1365 c.c., dell’art. 24 del TU sul pubblico impiego nonchè dei corrispondenti articoli dei vari succedutisi CCNL di categoria, della L. n. 142 edl 1990, art. 51, commi 5 e/o 5 bis, nonchè dei corrispondenti articoli dei vari succedutisi CCNL di categoria, degli artt. 3 e 97 Cost..

A fondamento di tale motivo il ricorrente denuncia, per un verso l’erronea interpretazione della lettera del 9 maggio 2003 in punto di non ritenuta idoneità della stessa ad interrompere la prescrizione e tanto in considerazione della violazione del canone di cui all’art. 1365 c.c., e, dall’altro, la violazione del c.d. principio di onnicomprensivita di cui al parere del Consiglio di Stato deliberato all’adunanza del 4 maggio 2005 in ordine al trattamento economico dei dirigenti ed alla sua onnicomprensività.

Con la seconda censura il ricorrente, allegando vizio di motivazione, assume la contraddittorietà della motivazione della sentenza impugnata "laddove – rima di affermare la riferibilità al solo lavoro dipendente della famosa missiva del 9-5-2003- da invece preliminarmente (e contraddittoriamente) per scontato il dato fattuale secondo cui B.G. (era) già dipendente della Provincia regionale di Messina fino all’1-8-2000".

Le censure, che in quanto strettamente connesse vanno trattate unitariamente, sono infondate.

Preliminarmente rileva il Collegio i motivi di ricorso, nella parte in cui rinviano ai motivi svolti con l’atto di appello ed alle considerazioni ivi sviluppate, sono inammissibili in quanto per il principio di specificità dei motivi, di cui all’art. 366 c.p.c., n. 4, non è sufficiente richiamare le argomentazioni poste a base delle censure articolate avverso la sentenza di primo grado, ma è necessario, anche ai fini della individuazione esatta dell’oggetto del devolutum a questa Corte, precisare a quale errata ratio della sentenza di appello le stesse siano riferibili. Il motivo è specifico, infatti, solo ed in quanto la relativa censura consente di delimitare esattamente la questione devoluta e non è estranea a tale delimitazione la precisazione "contenutistica" degli esatti termini del devolutum. E’ indispensabile, quindi, una critica adeguata e specifica della decisione impugnata che consenta al giudice di legittimità di percepire con certezza il contenuto delle censure, in riferimento alle statuizioni adottate dal giudice di secondo grado (Cfr. per tutte Cass. 18 maggio 2005 n. 10420 secondo cui il ricorrente – incidentale, come quello principale – ha l’onere di indicare con precisione gli asseriti errori contenuti nella sentenza impugnata, in quanto, per la natura di giudizio a critica vincolata propria del processo di cassazione, il singolo motivo assolve alla funzione condizionante il devolutum della sentenza impugnata, con la conseguenza che il requisito in esame non può ritenersi soddisfatto qualora il ricorso per cassazione (principale o incidentale) sia basato sul mero richiamo dei motivi di appello; ed invero una tale modalità di formulazione del motivo rende impossibile individuare la critica mossa ad una parte ben identificabile del giudizio espresso nella sentenza impugnata e si rivela, quindi, del tutto carente nella specificazione delle deficienze e degli errori asseritamente individuabili nella decisione.

Così delimitato il campo d’indagine sottoposto a questa Corte, osserva il Collegio che, relativamente alla lettera del 9 maggio 2003, alla quale la Corte del merito ha negato efficacia interruttiva della prescrizione, le critiche mosse dal ricorrente sul punto alla sentenza impugnata non sono condivisibili.

Infatti è ius receptum nella giurisprudenza di questa Corte che la valutazione dell’idoneità di un atto ad interrompere la prescrizione quando non si tratti degli atti previsti espressamente e specificamente dalla legge come idonei all’effetto interruttivo, come nei casi indicati nei primi due commi dell’art. 2943 cod. civ. costituisce apprezzamento di fatto, come tale riservato al giudice del merito ed insindacabile in sede di legittimità, se immune da vizi logici e congruamente motivato (Cfr. per tutte Cass. 3 marzo 2006 n. 7524, Cass. 18 settembre 2007 n. 19359 e Cass. 3 dicembre 2010 n. 24656).

Nella specie la sentenza impugnata è sul punto adeguatamente motivata atteso che la stessa si basa sul rilevo del contenuto generico della missiva e della mancanza di ogni riferimento alle indennità di cui è causa.

Nè è contraddittorio il riferimento al solo rapporto di lavoro come dipendente considerato che i crediti di cui è causa riguardano anche le prestazioni rese dal ricorrente in forza di contratto di lavoro autonomo.

Quanto alla dedotta violazione del c.d. principio di onnicomprensività mette conto sottolineare che la Corte del merito valuta la fondatezza della richiesta delle indennità di cui trattasi con riferimento esclusivo al periodo successivo alla prescrizione e cioè al periodo nel quale le pretese del ricorrente riguardano le prestazioni da lui rese non quale lavoratore dipendente, bensì quale lavoratore autonomo (o se si vuole parasubordinato).

Relativamente a tale periodo la Corte territoriale sulla base della interpretazione del contratto d’incarico professionale, per un verso esclude che in questo (art. 6) sia stato previsto quale corrispettivo la reclamata indennità di risultato e dall’altro che la previsione in tale contratto della spettanza dell’indennità di posizione, di cui al contratto collettivo dei dirigenti, non vale a garantirgli la corresponsione di detta indennità nella misura massima stabilita dal citato CCNL in quanto la determinazione della sua misura è rimessa alla Amministrazione nella sua autonomia tenendo conto dei parametri contrattuali, come ha fatto il giudice di appello seppure in termini non coincidenti con quelli rivendicati dal B..

Tali specifiche rationes decidendi non risultano in alcun modo censurate dal ricorrente il quale, per correttamente investire questa Corte del relativo esame, avrebbe dovuto denunciare l’erronea interpretazione del contratto d’incarico professionale e del CCNL dei dirigenti non prevedendo, secondo la Corte del merito,come rilevato, il primo la corresponsione della reclamata indennità di risultato ed il secondo la garanzia dell’erogazione nella misura massima -ossia quella richiesta nel presente giudizio-dell’indennità di posizione.

Sulla base delle esposte considerazioni, in conclusione, il ricorso va rigettato, essendo la sentenza impugnata sorretta da motivazione che, per essere congrua, priva di salti logici e rispettosa dei principi giuridici applicabili alla fattispecie scrutinata, si sottrae a tutte le censure che le sono state mosse.

Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza. Nulla deve disporsi nei confronti dell’INPDAP non avendo detto istituto svolto attività difensiva.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento in favore della Provincia Regionale di Messina delle spese del giudizio di legittimità liquidate Euro 60,00 per esborsi, oltre Euro 3500,00 per onorario ed oltre I.V.A., C.P.A. e spese generali. Nulla per le spese nei confronti della parte rimasta intimata.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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