Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 16-06-2011) 24-10-2011, n. 38300

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

C.S. è imputato del reato di cui agli artt. 56 e 610 c.p., perchè pronunciando al suo indirizzo le parole minatorie "fai togliere a tua madre la denuncia che ha fatto nei miei confronti, altrimenti ti faccio tagliare la testa", poneva in essere atti idonei diretti in modo non equivoco a costringere B.R. a convincere la propria madre a ritirare la denuncia querela sporta da quest’ultima nei confronti dell’imputato. Fatti commessi in Cosenza il 20 settembre 2003.

In primo grado l’imputato è stato assolto per insufficienza della prova in ordine alla sussistenza del fatto.

La corte d’appello di Catanzaro, in riforma della sentenza del tribunale di Cosenza, ha riconosciuto il C. responsabile del reato ascritto e lo ha condannato la pena di due mesi di reclusione e al risarcimento dei danni in favore della parte civile.

Contro quest’ultima sentenza propone ricorso il C. per i seguenti motivi:

1. in primo luogo il ricorrente lamenta che la corte d’appello non abbia affrontato il problema relativo all’idoneità della condotta, alla collocazione temporale del reato, alla valutazione della deposizione della parte lesa, alla conoscenza da parte del C. dell’esistenza nei suoi confronti di un lamento penale da cui trarre spunto per la contestazione (?), all’assenza di riscontri al fatto narrato dalla parte lesa;

2. in secondo luogo si lamenta la valutazione di attendibilità della persona offesa, in quanto soggetto che soffre di disturbi psichici;

3. in terzo luogo si censura la mancata dichiarazione di prescrizione del reato, essendone impossibile la collocazione temporale.

Motivi della decisione

Il ricorso è infondato, al limite dell’inammissibilità; quanto al primo motivo, la censura è talmente generica da non poter consentire a questa corte di valutarne la reale portata. Deve, peraltro, rilevarsi che nel controllo di legittimità la Corte di cassazione non deve stabilire se la decisione di merito proponga effettivamente la migliore possibile ricostruzione dei fatti, nè deve condividerne la giustificazione, ma deve limitarsi a verificare se questa giustificazione sia logica e compatibile con il senso comune;

l’illogicità della motivazione, come vizio denunciabile, dev’essere, inoltre, percepibile "ictu oculi", dovendo il sindacato di legittimità essere limitato a rilievi di macroscopica evidenza, restando ininfluenti le minime incongruenze. In secondo luogo, per la validità della decisione non è necessario che il giudice di merito sviluppi nella motivazione la specifica ed esplicita confutazione della tesi difensiva disattesa, essendo sufficiente, per escludere la ricorrenza del vizio di motivazione, che la sentenza evidenzi una ricostruzione dei fatti che conduca alla reiezione della deduzione difensiva implicitamente e senza lasciare spazio ad una valida alternativa (cfr. Cassazione penale, sez. 2, 05 maggio 2009, n. 24847).

Dunque non è possibile per questa Corte procedere ad una ricostruzione alternativa dei fatti, sovrapponendo a quella compiuta dai giudici di merito una diversa valutazione del materiale istruttorio; le osservazioni del ricorrente non scalfiscono l’impostazione della motivazione e non fanno emergere profili di manifesta illogicità della stessa, finendo per risolversi in prospettazioni di diverse interpretazioni del materiale probatorio non proponibili in questa sede. In ordine al secondo motivo di ricorso, lo stesso è parimenti infondato, in quanto la sentenza impugnata è corredata di adeguato e specifico apparato motivazionale in ordine alla ritenuta attendibilità del teste persona offesa; è sufficiente rilevare che la sentenza dedica ben tre pagine alla valutazione di attendibilità di B.R., approfondendola sotto ogni profilo, con congrua e logica motivazione.

Quanto, infine, all’ultimo motivo di ricorso, il ricorrente afferma che è impossibile collocare temporalmente il fatto, ma tale affermazione risulta indimostrata ed è smentita dalla ricostruzione dei fatti operata dai giudici del merito, che, recependo l’indicazione del capo di imputazione, collocano i fatti in una data ben precisa (20.09.2003). Il reato, dunque, per effetto delle interruzioni di cui all’art. 160 c.p., si sarebbe prescritto il 20 marzo del 2011 (sette anni e mezzo dopo la data del fatto di reato), ma si deve tener conto di due sospensioni ai sensi dell’art. 159 numero tre del codice penale, entrambe superiori a 60 giorni, per cui il termine non è attualmente decorso.

Per i motivi esposti, il ricorso deve essere rigettato, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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