Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 16-06-2011) 24-10-2011, n. 38299

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Propongono ricorso per cassazione A.P. e L.A. avverso la sentenza della Corte di assise di appello di Cagliari in data 16 giugno 2010 con la quale, a seguito di annullamento della Cassazione, è stata rideterminata la pena inflitta, con la sentenza di primo grado della Corte di assise di Nuoro, in data 13 febbraio 2008. In appello, con la sentenza del 26 gennaio 2009 poi annullata dalla Cassazione, gli imputati, tratti a giudizio per rispondere del fatto di avere confezionato, nel 2006, di un ordigno esplosivo posizionato all’esterno di un ufficio elettorale di Alleanza nazionale, erano stati riconosciuti responsabili del reato di cui agli artt. 110 e 280 bis c.p. (ossia atto di terrorismo con ordigni micidiali o esplosivi, con modifica della qualificazione giuridica del fatto che era stato contestato all’originario capo 2) a titolo di tentata devastazione ex artt. 56 e 285 c.p.), previa esclusione della aggravante e L. n. 15 del 1980, art. 1 (avere agito con finalità di terrorismo ed eversione dell’ordine democratico).

Inoltre gli imputati, sempre all’esito del primo appello, si erano visti assolvere da due reati ascritti loro in primo grado (ex art. 270 bis c.p., comma 2, – capo 1)- e ex art. 272 c.p. – al capo 2) – e conseguito declaratoria di non procedibilità in ordine al reato di cui al capo 4) per mancanza di querela.

Avevano anche visto confermare nel resto la sentenza di primo grado quanto alle condanne per i reati di fabbricazione di ordigno esplosivo, di detenzione e porto del medesimo ordigno e detenzione della miccia detonante nonchè di minacce di cui al capo 2).

I giudici del primo appello avevano dunque fissato come reato più grave quello dell’art. 280 bis c.p. ed applicato in relazione ad esso la pena base di anni tre e mesi sei di reclusione, diminuita poi per attenuanti generiche; in relazione ai reati in continuazione appena citati avevano applicato la pena di cinque mesi di reclusione per il primo, quella di mesi tre per il secondo, quella di un mese per il terzo e quella di un ulteriore mese per il quarto. In conclusione, la pena finale era stata quella di anni tre e mesi due di reclusione.

La Cassazione ha annullato tale sentenza, in accoglimento del ricorso del PM. Ha ritenuto erronea la esclusione della aggravante L. n. 15 del 1980, ex art. 1 in relazione a tutti i reati che la prevedevano; in secondo luogo ha ritenuto erronea la "determinazione della pena" in ragione del fatto che era stato individuato come reato più grave, ai fini della fissazione della pena base, quello ex art. 280 bis c.p. mentre avrebbe dovuto esserlo quello di fabbricazione del congegno micidiale, aggravato ai sensi della circostanza speciale sopra ricordata che ha sanzione più elevata nel minimo e nel massimo.

La Corte di assise di appello, quale giudice del rinvio, aveva rideterminato la pena in anni sette e mesi 10 di reclusione oltre alla multa.

Aveva cioè assunto a pena base, per il nuovo reato individuato come più grave, tenuto conto del criterio di medietà già adottato (in relazione all’altro reato) nella sentenza annullata, quella di anni sette di reclusione ed Euro 1000 di multa, aumentata di un mezzo per effetto della aggravante speciale. Aveva poi computato nel massimo la diminuzione dovuta alle attenuanti generiche e aveva operato l’aumento per i reati satelliti riconoscendo la formazione del giudicato per le entità non contestate nel ricorso.

Deducono i ricorrenti nell’interesse di A.:

la violazione di legge e il vizio di motivazione sulla determinazione della pena per il reato più grave.

La Corte di assise di appello aveva individuato la pena base in relazione al reato più grave fra quelli unificati nel vincolo della continuazione, nella misura media fra il minimo e il massimo anzichè nella misura minima (anni tre di reclusione e 413 Euro di multa) che era quella indicata nella sentenza di primo grado, con statuizione che il PM non aveva impugnato e che quindi doveva ritenersi divenuta cosa giudicata.

Ad avviso della difesa dovrebbe ritenersi che la statuizione del giudice di primo grado (relativa alla pena che sarebbe spettata per ciascuno dei più reati giudicati, se non uniti nel cumulo giuridico, in ossequio al disposto dell’art. 533 c.p.p., comma 2) costituiva un punto della sentenza che, se non impugnato, passa in giudicato.

Ebbene quel giudice aveva stabilito che per i reati satelliti, in difetto di continuazione, la pena adeguata sarebbe stata pari al minimo edittale.

Ed il Pm, appellando la sentenza di primo grado, si era, si, doluto della modestia della pena, ma riferendosi a quella fissata per il reato in quella occasione ritenuto il più grave, ossia il delitto ex art. 270 bis c.p., comma 2.

Egli non aveva previsto la assoluzione dal reato ritenuto più grave in primo grado nè aveva chiesto la rideterminazione della pena in ragione di una diversa individuazione del reato più grave.

Il principio della legalità della pena e della personalità della stessa, entrambi costituzionalizzati, avrebbero dovuto imporre comunque al giudice del rinvio un percorso motivazionale che non fosse quello meramente legato alla adozione di un criterio matematico (quello della medietà della pena).

Sull’ampio raggio esistente tra il minimo e il massimo, nella specie, i giudici avevano operato con eccessiva discrezionalità, ancorandosi a parametri indicativi di una finalità di prevenzione speciale e non meramente retributiva della pena. Anche gli aumenti di pena per la continuazione apparivano opinabili;

nell’interesse di L.:

il vizio di motivazione e la violazione di legge.

In ordine alla determinazione della pena per il reato che la Cassazione aveva indicato come più grave, il giudice del rinvio aveva assunto determinazioni non ancorate ai parametri di legge ( art. 133 c.p.) ma si era attenuta ad un criterio matematico che, se fosse stato l’unico possibile, sarebbe stato applicabile direttamente dalla Cassazione ex art. 620 c.p.p..

La Corte in sede di rinvio aveva fissato la pena base senza tenere conto della incensuratezza dei prevenuti e del fatto, valorizzato dal primo giudice, che avevano cercato un obiettivo che non recasse danno a terzi estranei.

In conclusione, la valutazione globale del fatto così come operata dal primo giudice (che aveva irrogato una pena di anni tre e mesi due di reclusione) avrebbe dovuto subire una modesta oscillazione a seguito dell’annullamento della Cassazione, tenendo conto che anche il più grave reato individuato dai giudici di legittimità, con l’aggravante, presentava un minimo di anni quattro e mesi sei, riducibile per effetto delle generiche ad anni tre.

Avere individuato una pena più che doppia comportava per i giudici del rinvio un dovere motivazionale ben più ampio di quello assolto con la sentenza impugnata tanto più che la natura dei fatti accertati e la loro gravità era rimasta quella valorizzata nella sentenza di primo grado, con copertura di giudicato.

Si rimarcava infine il fatto che per il reato, divenuto satellite, ex art. 280 bis c.p., fosse stato applicato un aumento di pena pari a quello a suo tempo individuato per il reato di illecita fabbricazione di ordigno (all’epoca satellite), pur essendo, il primo, meno grave del secondo.

I ricorsi sono infondati e devono essere rigettati.

Il principio enunciato in materia dalle Sezioni unite, da indicare come criterio guida per la risoluzione delle questioni denunciate, è quello della sentenza n. 4460 del 19/01/1994 Ud. (dep. 19/04/1994) Rv. 196887, Presidente: Zucconi Galli Fonseca F. Estensore: Della Penna B. Imputato: Cellerini ed altri. P.M. Aponte. (Parz. Diff.), secondo cui ai fini dell’applicazione del disposto dell’art. 545 cod. proc. pen. 1930, (norma integralmente riprodotta nell’art. 624 cod. proc. pen. 1988 come affermato anche da Sez. U, Sentenza n. 373 del 23/11/1990 Ud. (dep. 16/01/1991) Rv. 186165) concernente l’annullamento della impugnata sentenza da parte della cassazione, per "parti non annullate della sentenza" devono intendersi quelle in ordine alle quali si è ormai del tutto esaurita ogni possibilità di decisione del giudice di merito e, contestualmente, completato l’"iter" processuale e che hanno, così, acquistato, perchè definitive, "autorità di cosa giudicata", mentre il rapporto di "connessione essenziale" tra parti annullate e parti non annullate della sentenza deve intendersi, fuori delle ipotesi disciplinate dall’art. 45 c.p., come necessaria interdipendenza logico giuridica tra le parti suddette, nel senso che l’annullamento di una di esse provochi inevitabilmente il riesame di altra parte della sentenza seppur non annullata.

Orbene ritiene questo Collegio che la Corte di assise di appello di Cagliari, quale giudice del rinvio, si sia attenuto al detto principio.

Infatti l’annullamento disposto con sentenza di questa Corte di legittimità dell’11 febbraio 2010 aveva avuto come specifico oggetto la determinazione della pena quale fosse derivata dall’applicazione dell’ulteriore principio di diritto enunciato dalla Cassazione stessa: e cioè mutare il reato da ritenere il più grave ai fini della continuazione e determinare, muovendo da esso, il trattamento sanzionatorio complessivo, ritenendo altresì sussistente l’aggravante speciale della finalità di terrorismo.

Il tema devoluto al giudice del rinvio, in accoglimento del ricorso del Procuratore Generale, era dunque in primo luogo quello espressamente indicato dalla Corte di legittimità ossia relativo alla individuazione della pena che era stata fissata in modo illegittimo, senza cioè tenere conto della incidenza di una circostanza aggravante e invece tenendo conto di un minimo e di un massimo erronei perchè afferenti a reato che non era il più grave.

Non v’è dubbio in altri termini che il tema assegnato al giudice del rinvio fosse quello della determinazione della pena senza altre limitazioni sia perchè così si esprimeva il dispositivo della sentenza (annullamento relativamente alla determinazione della pena) sia perchè la Cassazione aveva individuato e indicato le ragioni della erronea determinazione della precedente pena senza che tali ragioni potessero rappresentare esse stesse i criteri per la nuova determinazione del trattamento sanzionatorio.

Infatti i giudici della Cassazione hanno fissato per i giudici del rinvio il reato aggravato da assumere come quello più grave, senza che tale indicazione contenesse anche limiti interni impliciti ai fini della determinazione del quantum. Per usare proprio l’argomento del difensore di L., se così non fosse stato e se fosse vero – come sostenuto dal difensore di A. – che era immutabile (perchè coperta da giudicato) la determinazione del giudice di primo grado sulla entità (pari al minimo) della pena spettante per il reato di fabbricazione di ordigno, la Cassazione bene avrebbe potuto essa stessa, in virtù dei poteri concessile dall’art. 620 c.p.p., lett. l), partire dal detto minimo della pena ed effettuare tutti gli ulteriori calcoli su basi già espresse nelle sentenze di merito.

Se ciò non ha fatto è perchè, con evidenza, la determinazione della pena era per intero rimessa al giudice del rinvio, quantomeno con riferimento al reato che la cassazione stessa aveva indicato come più grave, alla relativa aggravante speciale e al reato che in origine reputato il più grave dal giudice del merito, risultava così divenuto satellite.

D’altra parte non è condivisibile l’argomento della difesa secondo cui sarebbe passata in giudicato perchè non impugnata dal PM la indicazione, da parte del giudice di primo grado, relativa all’essere, il reato di illecita fabbricazione di ordigno, sanzionabile (ove non applicato il cumulo giuridico) con il minimo edittale. Non rileva certo ai fini che qui interessano la giurisprudenza in tema di diritto al mantenimento della pena base individuata nella sentenza poi annullata con rinvio sul trattamento sanzionatorio, atteso che essa deriva dalla applicazione del divieto di reformatio in peius, operativo solo nel caso – diverso da quello in esame – di impugnazione del solo imputato (vediSez. 1, Sentenza n. 28862 del 18/06/2008 Ud. (dep. 11/07/2008) Rv. 240461).

Quella statuizione del giudice di primo grado ha perso ogni giuridica rilevanza quando il quadro fattuale di riferimento per la determinazione della pena è mutato sostanzialmente con la affermazione da parte della Cassazione – resa in accoglimento della impugnazione del Pm e quindi senza che potesse entrare in gioco il divieto di reformatio in peius – secondo cui la condotta in esame era da riconsiderare completamente ai fini della pena sia perchè ontologicamente la più grave in assoluto (diversamente da quanto ritenuto dal primo giudice e dal giudice dell’appello) sia perchè da ritenere circostanziata come non rilevato dagli stessi giudici.

Costituisce in altri termini quantomeno un tema legato da connessione logico giuridica con la materia espressamente presa in considerazione dalla Cassazione, quello della rivalutazione della effettiva entità del fatto reato indicato come più grave e quindi quello della relativa sanzione.

E ciò, senza considerare che la sentenza impugnata da atto a pag. 19 e 20 che "il pubblico ministero aveva impugnato specificamente la sentenza di primo grado anche in ordine alla misura degli aumenti per la continuazione ritenuti eccessivamente ridotti per reati gravissimi" (il richiamo è a pag. 19 della sentenza poi annullata).

E tale affermazione non è contestata nei motivi di ricorso ma anzi risulta conforme al tenore della prima sentenza di appello (vedi primo capoverso pag. 19).

Nè appare fondata la censura relativa alla necessità di congruente e specifica motivazione sul punto.

La Corte di assise di appello, quale giudice del rinvio, ha esaminato espressamente i criteri posti dall’art. 133 c.p. con una diffusa motivazione resa a pag. 22 e 23, motivazione che è esattamente la applicazione del principio secondo cui pur costituendo la adeguatezza della pena nella sua concretezza più il risultato di una intuizione che di un processo logico di natura analitica, il giudice, nell’esercizio del suo potere discrezionale di determinazione di essa, per evitare che la discrezionalità di trasformi in arbitrio, ha l’obbligo di enunciare, sia pure concisamente, le ragioni che l’hanno indotto alla decisione in concreto adottata sul punto (Rv.

191064). Si rinviene nella motivazione un analitico richiamo agli accertamenti in punto di fatto che hanno concorso, nella valutazione del giudice dell’appello, a determinare la gravità del reato, la intensità del dolo, i motivi a delinquere, la condotta susseguente al reato. I giudici non hanno mancato di considerare l’elemento favorevole agli imputati costituito dalla loro giovane età mentre la mancata esplicitazione del loro essere incensurati, lungi da costituire motivo di censura della sentenza impugnata, sostanzia semmai un argomentare che è comunque completo e conforme a legge in ragione del rilievo che non ogni elemento favorevole dedotto dalle parti o rilevabile dagli atti deve essere preso in considerazione dal giudice essendo sufficiente che egli faccia riferimento a quelli ritenuti decisivi o comunque rilevanti, rimanendo disattesi o superati tutti gli altri da tale valutazione. (Rv. 248244).

Le censure della difesa, sul punto, rasentano la inammissibilità perchè si sostanziano in una implicita richiesta di giudizio avente natura fattuale e di merito, da parte della Cassazione, in alternativa a quello invece congruo e completo operato dal giudice del merito.

Del tutto infondata è infine la doglianza relativa all’aumento di pena per il reato che nella sentenza di appello annullata era stato ritenuto il più grave e che poi era divenuto satellite.

L’annullamento parziale operato dalla Cassazione sul trattamento sanzionatorio relativo anche a tale fattispecie, valutata nella sentenza annullata come reato più grave e da valutarsi invece, in sede di rinvio, come reato satellite comportava il recupero della piena discrezionalità da parte del giudice del rinvio senza vincoli che non fossero quelli della indicazione di un criterio soggetto a verifica di logicità oltre che di legittimità.

E la Corte d’appello tale criterio ha esplicitato ponendo in evidenza, sopra ogni altra considerazione, il fatto che tale reato satellite subiva una rivalutazione necessariamente negativa ai fini della complessiva determinazione della relativa pena, in ragione del fatto che andava reputato aggravato dalla finalità di terrorismo invece non considerata da parte dei giudici autori della sentenza di appello annullata.

P.Q.M.

Rigetta i ricorsi e condanna ciascun ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *