Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 16-06-2011) 24-10-2011, n. 38294

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Propone ricorso per cassazione G.R. avverso la sentenza della Corte di appello di Ancona in data 10 giugno 2010 con la quale è stata confermata quella di primo grado, di condanna per il concorso nel reato di furto pluriaggravato in appartamento, commesso l’8 gennaio 2004 ai danni di M.F.. La affermazione di responsabilità poggiava sul rilievo che la Polizia scientifica aveva evidenziato, sulla porta di ingresso dell’appartamento visitato dai ladri, impronte, una delle quali, palmare, era riferibile alla persona dell’imputato; in secondo luogo la persona offesa aveva dichiarato di avere visto quattro persone sconosciute che scendevano per le scale dello stabile durante le ore in cui fu perpetrato il furto.

Deduce (motivi avv. Matteis):

1) la violazione di legge e vizio di motivazione.

La Corte di appello anzichè fornire un proprio apparato argomentativo a sostegno della condanna, si sarebbe limitata a riportare giurisprudenza e a rendere una affermazione errata quale quella secondo cui uno degli elementi di prova deriverebbe dalla mancata spiegazione, da parte dell’imputato, circa la presenza delle sue impronte sulla porta.

Oltre a tradire le norme sull’onere della prova, incombente sulla accusa, la Corte aveva mancato di chiarire il punto centrale dell’intero ragionamento probatorio: e cioè il motivo per il quale la presenza di impronte dell’imputato sul lato esterno della porta di ingresso dell’appartamento del denunciante potesse costituire prova della sua partecipazione al furto;

2) la violazione di legge e il vizio di motivazione in ordine alle aggravanti addebitate.

La circostanza ex art. 625 c.p., n. 2) era del tutto sfornita di giustificazione; quella ex art. 625, n. 5) era basata sulla affermazione – insufficiente – della persona offesa, di avere visto quattro sconosciuti nello stabile; quella ex art. 61 c.p., n. 5) era stata mal applicata in relazione ad un reato contro il patrimonio;

3-4) la omessa considerazione della richiesta di applicazione della attenuante ex art. 62 c.p., n. 4, delle attenuanti generiche e della diminuzione di pena, irrogata nella elevata misura di anni tre di reclusione. motivi avv. Cofanelli:

1) la violazione degli artt. 359 e 360 c.p.p. e il vizio di motivazione.

La affermazione di responsabilità è stata fondata sugli esiti dei rilievi dattiloscopici ma di questi i giudici avevano acquisito soltanto le conclusioni raggiunte dalla Polizia e non anche gli ingrandimenti dei punti relativi, sicchè alla difesa non era stato reso possibile contro-dedurre, ossia ad esercitare un diritto pacificamente riconosciuto dalla giurisprudenza, così come dalla stessa puntualmente denunciato nei motivi di appello;

2) la violazione di legge e il vizio di motivazione sulle ritenute aggravanti e sul diniego della attenuante ex art. 62 c.p., n. 4, esclusa nonostante che la persona offesa avesse addirittura sostenuto di non ricordare la natura dei beni sottrattigli.

Il duplice ricorso proposto nell’interesse del G. è infondato.

In merito alla rilevanza dei risultati dattiloscopici, considerati dai giudici elemento decisivo per giungere alla affermazione di responsabilità del prevenuto, deve osservarsi che il primo rilievo della difesa, ossia quello della mancata acquisizione delle descrizioni e degli ingrandimenti della impronta attribuita al prevenuto, è destituito di ogni fondamento.

Invero la giurisprudenza di questa Corte, che la difesa mostra di ben conoscere, ha posto in evidenza come la comparazione delle impronte digitali prelevate con quelle già in possesso della polizia giudiziaria si risolve in un mero accertamento di dati obiettivi ai sensi dell’art. 354 cod. proc. pen., che non postula il rispetto delle formalità prescritte dall’art. 360 c.p.p. (Rv. 244295).

La conclusione che se ne fa discendere è che la relazione della polizia giudiziaria riguardante la comparazione tra le impronte digitali dell’imputato e quelle rilevate sul luogo del delitto, essendo atto ripetibile, non è di regola acquisibile al fascicolo del dibattimento (Rv. 241547).

Ancora è stato rilevato come qualora colui che abbia svolto attività di comparazione sia sentito in dibattimento e riferisca in ordine alla medesima, il giudice non è tenuto a disporre perizia, potendosi attenere alle emergenze esposte dal dichiarante (Rv.

246872).

Discende da quanto premesso che i motivi di ricorso della difesa sul punto risultano generici in quanto consistono nella mera denuncia della mancata acquisizione della parte descrittiva delle impronte ma non anche nella allegazione che le dichiarazioni del teste della Polizia scientifica, sentito sul punto, siano state seriamente e incisivamente contestate durante l’esame.

Per quanto concerne invece il profilo della relazione, dal punto di vista della motivazione, tra il rinvenimento della impronta palmare del prevenuto sulla porta di ingresso dell’appartamento – lato esterno – e la attribuzione di responsabilità in ordine al furto, la Corte di merito ha fatto applicazione del principio secondo cui il risultato delle indagini dattiloscopiche offre piena garanzia di attendibilità e può costituire fonte di prova senza elementi sussidiari di conferma anche nel caso in cui siano relative all’impronta di un solo dito, purchè evidenzino almeno sedici o diciassette punti caratteristici uguali per forma e posizione, in quanto essa fornisce la certezza che la persona con riguardo alla quale detta verifica sia effettuata si sia trovata sul luogo in cui è stato commesso il reato. Ne consegue che legittimamente, in assenza di giustificazioni su detta presenza, viene utilizzata dal giudice ai fini del giudizio di colpevolezza (Rv. 246901; Massime precedenti Conformi: N. 8175 del 1983 Rv. 160590, N. 10567 del 1985 Rv. 171038, N. 11410 del 1986 Rv. 174046, N. 4254 del 1989 Rv.

180856, N. 24341 del 2005 Rv. 232213, N. 16356 del 2008 Rv. 239781).

E la considerazione della difesa secondo cui la nozione di "luogo in cui è stato commesso il reato" debba intendersi come riferita solo alla esatta scena del crimine (nel caso di furto in appartamento, l’interno dell’appartamento) costituisce null’altro che una considerazione in fatto, non opponibile a quelle che i giudici di merito hanno posto a fondamento del giudizio di responsabilità.

Invero, posto che, come contestato, il furto è avvenuto previa effrazione della porta di ingresso, è frutto di ragionamento conforme a logica il rilievo che il rinvenimento della impronta palmare dell’imputato sulla detta porta, anche al lato esterno, fosse da considerare altamente significativa, essendo quella porta il luogo di necessario passaggio dei responsabili per accedere all’appartamento.

L’alta significatività dell’elemento in questione è stata saldata, con processo motivazionale anch’esso del tutto logico, alla circostanza del comportamento processuale dell’imputato che non ha illustrato ai giudici in modo alternativo, la ragione della presenza di quella impronta sulla porta di ingresso dell’appartamento. E, sulla rilevanza processuale del silenzio dell’imputato a determinate condizioni, si è espressa più volte questa Corte enunciando il principio secondo cui al giudice non è precluso valutare la condotta processuale dell’imputato, coniugandola con ogni altra circostanza sintomatica, con la conseguenza che egli, nella formazione del suo libero convincimento, ben può considerare, in concorso di altre circostanze, la portata significativa del silenzio su circostanze potenzialmente idonee a scagionarlo(Rv. 247426; Massime precedenti Conformi: N. 12182 del 2006 Rv. 233903).

La doglianza sulla assenza di giustificazione della aggravante ex art. 625 c.p., n. 2, cui la Corte di appello non avrebbe dato seguito, era stata formulata, già nei motivi di appello, senza il supporto di giustificazioni in fatto e in diritto: e ciò a fronte della motivazione chiarissima della sentenza di premio grado che aveva evidenziato come i ladri fossero entrati nell’appartamento previa evidenti segni di effrazione sulla porta di ingresso.

La Corte di merito non era, in altri termini, tenuta a replicare ad un motivo di appello che già in quella sede si presentava inammissibile.

In ordine alla circostanza aggravante del numero delle persone ( art. 625 c.p., n. 5) il rilievo è ugualmente infondato.

L’elemento probatorio posto a sostegno della configurazione di tale aggravante dai giudici è rappresentato dalla dichiarazione della persona offesa di avere visto quattro persone scendere dalle scale dello stabile, nell’orario di perpetrazione del furto, senza essere inquilini dello stesso.

Si tratta di una circostanza che il giudice del merito, con apprezzamento di fatto dotato di plausibilità, ha valutato e che pertanto non può essere ulteriormente sottoposta al vaglio della Cassazione.

In ordine alla configurazione della aggravante dell’approfittamento di circostanze di luogo tali da ostacolare la privata difesa, v’è da notare che la affermazione del ricorrente, secondo cui si tratterebbe di elemento accessorio dei soli reati contro la persona e non anche dei reati contro il patrimonio, non trova conforto nella copiosa giurisprudenza in senso contrario (vedi tra le molte, Rv. 248883 N. 34354 del 2009 Rv. 244988).

Sull’asserto diniego della attenuante del danno di lieve entità vai la pena evidenziare che si tratta di riproposizione di identico motivo già formulato in appello ma da considerarsi, già in quella sede, inammissibile per genericità. La parte infatti lamenta una mancata quantificazione del danno da parte della persona offesa ma trascura di considerare quanto attestato nella sentenza di primo grado:e cioè che il danno prodotto dal furto non poteva considerarsi di modesta entità avendo avuto, il reato, ad oggetto un anello in oro bianco con pietra, altro anello in oro bianco, collier e orecchini in oro, beni evidentemente di apprezzabile valore.

Infine inammissibile è il motivo con cui si denuncia il diniego delle attenuanti generiche.

La parte lamenta, come dovuto, in linea di principio, la mancata valutazione degli elementi positivi evidenziati al giudice per sostenere la richiesta di riconoscimento delle dette attenuanti e quella di diminuzione di pena. Tuttavia poi omette di formulare sotto lo stesso profilo un motivo di ricorso che non appaia generico ma rispettoso dei criteri posti dall’art. 581 c.p.p. ossia fondato sulla indicazione delle dette ragioni di fatto e di diritto a sostegno del vizio denunciato. La redazione del motivo di gravame in esame risulta cioè inammissibile per genericità poichè si sostanzia nella lamentela di omessa valutazione di elementi favorevoli che non vengono indicati, a fronte peraltro, di quello che appare un giudizio complessivo della gravita del fatto e della personalità del prevenuto, comunque effettuato dalla Corte di merito in ragione dei precedenti specifici.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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