Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 04-05-2011) 24-10-2011, n. 38254

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Con ordinanza in data 16.4.2010 la Corte di appello di Lecce, in funzione di giudice dell’esecuzione, respingeva la richiesta avanzata da M.A., ai sensi dell’art. 669 cod. proc. pen., volta al riconoscimento del bis in idem con riferimento alla sentenza emessa dalla Corte di appello di Lecce in data 13.5.1999 che lo condannava alla pena di anni tre e mesi cinque di reclusione per i reati di cui agli artt. 416-bis e 629 cod. pen. ed alla sentenza emessa dalla medesima Corte di appello in data 6.2.2001 che condannava il M. alla pena di anni quattro di reclusione in relazione al reato di cui all’art. 416-bis cod. pen..

In particolare, la Corte territoriale evidenziava che la prima sentenza di condanna si riferiva alla contestazione cd. aperta del reato di cui all’art. 416-bis cod. pen., quindi, poteva essere ritenuta la permanenza fino alla data della emissione della sentenza di primo grado, ossia 5.5.1998; peraltro, dalla lettura della motivazione della sentenza emergeva che il M. era partecipe della Sacra Corona Unita ed in specie del sodalizio capeggiato dal tale M. operante nella zona di Cellino San Marco, Torchiarolo e San Pietro Vernotico fino a settembre 1994 ovvero al 95-96.

La successiva sentenza emessa dalla Corte di appello il 6.2.2001 si riferiva, invece, alla partecipazione all’associazione di stampo mafioso, contestata fino a luglio 1998 quale componente di un gruppo facente capo a P.G..

Pertanto, ad avviso della Corte, tra i reati associativi cui si riferiscono le due condanne non vi è sovrapposizione nè di tempo, nè di luogo, nè di persone, come, del resto, era già stato valutato in sede di rigetto dell’istanza ex art. 671 cod. proc. pen. del 5.3.2007. 2. Avverso tale ordinanza proponeva ricorso per cassazione il M., a mezzo del difensore di fiducia, denunciando l’erronea applicazione della legge e manifesta illogicità della motivazione, con riferimento all’art. 669 cod. proc. pen.. In primo luogo il ricorrente rileva che, anche a voler ritenere che la prima sentenza di condanna va riferita a fatti commessi sino alla data della sentenza di primo grado, 5.5.1998, in ogni caso detta condotta rientrerebbe in quella di cui al medesimo reato giudicato con la seconda sentenza contestato fino al luglio 1998.

Ad avviso del ricorrente, inoltre, le condanne in oggetto si riferiscono alla partecipazione alla medesima associazione di stampo mafioso, Sacra Corona Unita, sul medesimo territorio, nel medesimo periodo, con soggetti soltanto in parte diversi e, comunque, tutti associati all’unico sodalizio.

Motivi della decisione

Il ricorso è inammissibile.

In applicazione della disposizione di cui all’art. 669 c.p.p., comma 1, se più sentenze di condanna divenute irrevocabili sono state pronunciate contro la stessa persona per il medesimo fatto deve essere ordinata l’esecuzione della condanna meno grave.

A tali fini è necessaria, quindi, l’identità del fatto, intesa – come è stato in più occasioni affermato – nel senso di corrispondenza storico-naturalistica nella configurazione del reato, considerato in tutti i suoi elementi costitutivi (condotta, evento, nesso casuale) e con riguardo alle circostanze di tempo, di luogo e di persona (S.U., n. 34655, 28/06/2005, rv. 231799).

E’ noto, altresì, che, con riferimento al reato permanente, il divieto di un secondo giudizio riguarda la condotta delineata nell’imputazione ed accertata con sentenza, di condanna o di assoluzione, divenuta irrevocabile.

La struttura dell’associazione per delinquere non è, di per sè, incompatibile con la adesione di uno stesso soggetto, anche contemporanea, a più sodalizi criminosi, in special modo qualora l’adesione ai diversi organismi delinquenziali s’inquadri in più ampie strategie di gruppi di criminalità organizzata, volte a stabilire alleanze per rendere più capillare e saldo il controllo del territorio oppure a strutturare l’operatività delle associazioni in modo più funzionale, dinamico e tattico e rispetto alle esigenze di gestione e di predominio esclusivo delle attività illecite.

Pertanto, in tema di associazione a delinquere, il fatto è diverso, quando il soggetto, come nel caso in esame, faccia parte di due distinti organismi criminosi (Sez. 2, n. 17746, 30/01/2008).

Nell’ipotesi di contestazione aperta, il fatto-reato che forma il giudicato, in cui sia indicato solo il momento iniziale della condotta senza specificazione della sua durata nel tempo, resta circoscritto, di regola, tra la data d’inizio della condotta criminosa specificata nel capo d’imputazione e quella della pronuncia della sentenza di primo grado di condanna, atteso che questa consegue all’accertamento del fatto e che il fatto non può prescindere dalla sua durata.

Di conseguenza, in presenza di una molteplicità di gruppi cui il medesimo soggetto abbia prestato adesione, l’accertamento dell’esistenza di un’unica associazione o di distinte organizzazioni criminali è questione di fatto che va risolta mediante l’esame di indici materiali congruamente apprezzati in base alle regole di esperienza.

Nel caso di specie la valutazione del giudice di merito è ragionevole ed ancorata alle risultanze processuali, pertanto, non censurabile in questa sede. Ed invero, l’autonomia dei due sodalizi è stata affermata in ragione di plurimi e convergenti dati sintomatici, quali la operatività in luoghi diversi, l’assenza di piena coincidenza soggettiva e delle attività illecite cui il sodalizio era finalizzato.

A fronte di ciò le doglianze del ricorrente si risolvono in censure di mero fatto la cui valutazione è preclusa nel giudizio di legittimità.

Alla declaratoria di inammissibilità segue per legge, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrenti al pagamento delle spese processuali ed al versamento della somma ritenuta congrua di Euro 1.000,00 (mille) in favore della cassa delle ammende.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di mille (1.000,00) Euro alla cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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