Cass. civ. Sez. Unite, Sent., 11-04-2012, n. 5698

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1.- Respinta nel 1999 all’esame di maturità classica e superatolo in esito alla rivalutazione – disposta con ordinanza del TAR per la Campania – delle prove espletate da parte della commissione d’esame, nel 2002 C.O. ed i genitori C.L. e S.G. agirono giudizialmente nei confronti del Ministero dell’istruzione, università e ricerca per il risarcimento dei danni alla salute da esercizio illegittimo di attività tecnica.

L’Amministrazione resistette.

Con sentenza n. 21/04 il Tribunale di Napoli – sezione distaccata di Frattamaggiore ha accolto la domanda; la Corte d’appello ha però declinato la giurisdizione con sentenza n. 2032/2010 sul rilievo che la domanda risarcitoria era accessoria a quella principale di annullamento proposta innanzi al TAR ed a sua volta accolta.

2.- Ricorrono per cassazione i C. – S., proponendo censure di violazione di norme sul processo e questione di giurisdizione in dissenso dalla statuizione della corte territoriale.

Con relazione ex art. 380 bis c.p.c. del 28.6.2011, avversata da memoria dei ricorrenti depositata innanzi alla sesta sezione civile, è prospettata l’inammissibilità del ricorso per inosservanza del requisito di cui all’art. 366 c.p.c., n. 3, (per essere lo stesso articolato nel senso dell’assemblaggio mediante riproduzione integrale in caratteri minuscoli di una serie di atti processuali:

sentenza di primo grado, comparsa di risposta in appello, comparsa successiva alla riassunzione a seguito dell’interruzione, sentenza d’appello), ma su istanza dei ricorrenti il ricorso è stato assegnato alle sezioni unite in relazione alla prospettata questione di giurisdizione.

Il Ministero non ha svolto attività difensiva.

Motivi della decisione

1.- Queste sezioni unite hanno già affermato che, nel ricorso per cassazione, una tecnica espositiva dei fatti di causa realizzata mediante la pedissequa riproduzione degli atti processuali non soddisfa il requisito di cui all’art. 366 c.p.c., n. 3, che prescrive "l’esposizione sommaria dei fatti della causa" a pena di inammissibilità.

Con sentenza n. 16628/2009 è stato infatti osservato che quella prescrizione è preordinata allo scopo di agevolare la comprensione dell’oggetto della pretesa, l’esito dei gradi precedenti con eliminazione delle questioni non più controverse, ed il tenore della sentenza impugnata in immediato coordinamento con i motivi di censura.

Con la successiva ordinanza n. 19255/2010 è stato ribadito che l’assolvimento del requisito in questione è considerato dal legislatore come un’attività di narrazione del difensore che, in ragione dell’espressa qualificazione della sua modalità espositiva come sommaria, postula un’esposizione finalizzata a riassumere sia la vicenda sostanziale dedotta in giudizio che lo svolgimento del processo.

Nello stesso senso si sono più volte espresse anche le sezioni semplici.

In particolare, tra le altre:

– la sezione lavoro, con sentenza n. 2281/2010, ha osservato che la prescrizione relativa all’esposizione sommaria dei fatti di causa non può ritenersi rispettata quando il ricorrente non riproduca alcuna narrativa della vicenda processuale, nè accenni all’oggetto della pretesa, limitandosi ad allegare, mediante "spillatura" al ricorso, l’intero ricorso di primo grado ed il testo integrale di tutti gli atti successivi, rendendo particolarmente complessa l’individuazione della materia del contendere;

– la sezione tributaria, con sentenza n. 15180/2010, ha ritenuto che la sommarietà dell’esposizione implica un lavoro di sintesi e di selezione dei profili di fatto e di diritto della vicenda sub iudice in un’ottica di economia processuale che evidenzi i profili rilevanti ai fini della formulazione dei motivi di ricorso, i quali altrimenti si risolvono in censure astratte e prive di supporto;

– la sesta sezione, con sentenza n. 6279/2011, ha ribadito che il ricorso per cassazione è inammissibile se il ricorrente, anzichè narrare autonomamente i fatti di causa ed esporre l’oggetto della pretesa, si limiti a trascrivere integralmente gli atti dei precedenti gradi del giudizio ovvero ad allegare, mediante "spillatura", tali atti al ricorso;.

– la terza sezione, con sentenza n. 1905/2012, ha da ultimo chiarito che, se si ammettesse che la Corte di cassazione proceda alla lettura integrale degli atti assemblati per estrapolare la conoscenza del fatto sostanziale e processuale, si delegherebbe alla stessa un’attività che, inerendo al contenuto del ricorso quale atto di parte, è di competenza di quest’ultima; e che, inoltre, non agevolerebbe il rispetto del canone di ragionevole durata del processo.

2.- Il precipitato di tali enunciazioni è che costituisce onere del ricorrente operare una sintesi funzionale alla piena comprensione e valutazione delle censure mosse alla sentenza impugnata in base alla sola lettura del ricorso.

La pedissequa riproduzione dell’intero, letterale contenuto degli atti processuali è dunque, per un verso, del tutto superflua, non essendo affatto richiesto che si dia meticoloso conto di tutti i momenti nei quali la vicenda processuale s’è articolata; per altro verso, è inidonea a tener il luogo della sintetica esposizione dei fatti, in quanto equivale ad affidare alla Corte, dopo averla costretta a leggere tutto (anche quello di cui non serve affatto che sia informata), la scelta di quanto effettivamente rileva in relazione ai motivi di ricorso.

Il rilievo che la sintesi va assumendo nell’ordinamento è del resto attestato anche dall’art. 3, n. 2, del codice del processo amministrativo (di cui al D.Lgs. 2 luglio 2010, n. 104), il quale prescrive anche alle parti di redigere gli atti in maniera chiara e sintetica.

La testuale riproduzione (in tutto o in parte) degli atti e dei documenti è invece richiesta quante volte si assuma che la sentenza è censurabile per non averne tenuto conto e che, se lo avesse fatto, la decisione sarebbe stata diversa: la Corte deve poter bensì verificare che quanto il ricorrente afferma trovi effettivo riscontro negli atti (è questa la ragione per cui va domandata la trasmissione del fascicolo d’ufficio e vanno prodotti gli atti ed i documenti sui quali il ricorso si fonda), ma non è tenuta a cercarli, a stabilire essa stessa se ed in quale parte rilevino, a leggerli nella loro interezza per poter comprendere, valutare e decidere.

La selezione di ciò che integralmente rileva in funzione della pedissequa riproduzione, nonchè la esposizione sommaria dei fatti di causa, entrambe correlate ai motivi di ricorso, vanno insomma fatte dal difensore del ricorrente che, per essere iscritto all’albo speciale di cui al R.D.L. 27 novembre 1933, n. 1578, art. 33 (convertito in L. 22 gennaio 1934, n. 36, come successivamente modificata), ha l’esperienza e la competenza necessarie ad un non delegabile compito di sintesi, non sempre del tutto agevole e, tuttavia, assolutamente ineludibile.

3.- Le osservazioni che precedono non equivalgono ad affermare che anche la riproduzione del fatto mediante l’esclusiva, testuale esposizione dell’intera sentenza impugnata o della parte di essa dedicata allo "svolgimento del processo" (come spesso accade), necessariamente comporta l’inammissibilità del ricorso per inosservanza del disposto di cui all’art. 366 c.p.c., n. 3.

Quel che appare in tal caso determinante è che la concisa esposizione dello svolgimento del processo (prescritta per la sentenza fino all’entrata in vigore della novella di cui alla L. n. 69 del 2009 e da allora non più prevista in relazione alla nuova formulazione dell’art. 132 c.p.c., n. 4) possa ritenersi equivalente in concreto alla esposizione sommaria dei fatti della causa, la quale soltanto è funzionalmente collegata ai motivi per i quali si chiede la cassazione della sentenza. In altri termini, riproducendo il fatto come riportato nella sentenza impugnata, il ricorrente assume il rischio sia di una rappresentazione non sufficientemente chiara sia della sua inadeguatezza funzionale in relazione ai motivi per i quali la sentenza stessa è censurata.

La riproduzione totale o parziale della sentenza impugnata può dunque ritenersi idonea ad integrare il requisito di cui all’art. 366 c.p.c., n. 3, soltanto quando se ne evinca una chiara esposizione dei fatti rilevanti alla comprensione dei motivi di ricorso (Cass., n. 5836/2011).

Per converso, il ricorso non può dirsi inammissibile quand’anche difetti una parte formalmente dedicata all’esposizione sommaria del fatto, se l’esposizione dei motivi sia di per sè autosufficiente e consenta di cogliere gli aspetti funzionalmente utili della vicenda sottostante al ricorso stesso.

4.- Nel caso di specie è stata effettuata una mera riproduzione di molti atti processuali, è del tutto mancato il momento di sintesi funzionale di cui s’è detto, l’illustrazione dei motivi non consente di cogliere i fatti rilevanti in funzione della comprensione dei motivi di ricorso.

Nè il ricorrente ha sviluppato in memoria argomenti tali da convincere le sezioni unite a ritornare sull’impostazione sin qui seguita.

Il ricorso è dunque inammissibile.

Non sussistono i presupposti per provvedere sulle spese.

P.Q.M.

La Corte di Cassazione, a sezioni unite, dichiara inammissibile il ricorso.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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