Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 19-10-2011) 25-10-2011, n. 38560

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con ordinanza del 18.4.2011, il Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Milano rigettò la richiesta di sostituzione della misura cautelare degli arresti domiciliari con altra meno afflittiva nei confronti di M.F., indagata per estorsione aggravata e continuata.

Avverso tale provvedimento l’indagata propose appello, ai sensi dell’art. 310 c.p.p., ma il Tribunale di Milano, con ordinanza del 7.6.2011, respinse l’impugnazione.

Ricorre per cassazione l’indagata deducendo:

1. violazione di legge e vizio di motivazione in quanto il Tribunale, come il G.I.P. avrebbe desunto le esigenze cautelari relative al pericolo di reiterazione di reati solo dalla gravità dei fatti;

sarebbe stata omessa la valutazione della personalità dell’imputata, priva di precedenti penali ed autorizzata ad uscire da casa per 4 ore al giorno;

2. violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla ritenuta sussistenza del pericolo di inquinamento probatorio solo in ragione della gravità del fatto senza alcuna verifica concreta e trascurando che le prove conseguono ad intercettazioni;

3. violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla adeguatezza della misura degli arresti domiciliari con la facoltà di uscire 4 ore al giorno e non ha mai trasgredito alle prescrizioni.

Motivi della decisione

Il primo motivo di ricorso è infondato.

Il Tribunale ha desunto il pericolo di reiterazione del reato dalle modalità di concorso nel reato dell’indagata, che ha rivolto personalmente le richieste estorsive alla persona offesa ed in occasione della consegna dell’assegno di Euro 5.000,00, dichiarando falsamente che il marito era latitante per aumentarne lo spessore criminale al fine di spaventare la vittima. In ragione della proclività al delitto evidenziata da siffatte condotte è stata ritenuta irrilevante l’incensuratezza della ricorrente.

Tale motivazione appare adeguata, alla luce del principio affermato da questa Corte, secondo il quale "In tema di esigenze cautelari, la modalità della condotta tenuta in occasione del reato può essere presa in considerazione per il giudizio sulla pericolosità sociale dell’imputato, oltre che sulla gravità del fatto.". (Cass. Sez. 6 sent. n. 12404 del 17.2.2005 dep. 4.4.2005 rv 231323).

Il secondo motivo di ricorso è infondato.

Il Tribunale ha ravvisato il pericolo di inquinamento probatorio anche in relazione alla capacità di intimidazione della persona offesa e ciò è sufficiente.

Questa Corte ha infatti chiarito che, in tema di esigenze cautelari, il pericolo di inquinamento probatorio, di cui all’art. 274 c.p.p., comma 1, lett. a), postula soltanto che vi siano specifiche ed inderogabili esigenze attinenti alle indagini. Poichè, peraltro, il requisito della specificità è riferito alle esigenze e non alle indagini, non è indispensabile che il giudice, nel suo provvedimento, indichi con precisione gli atti da compiere, Tale requisito, infatti, non è stabilito sia per evitare che il pubblico ministero debba rivelare alla parte gli accertamenti che si appresti ad espletare sia perchè lo stesso giudice non deve necessariamente essere posto a conoscenza delle future investigazioni. (Cass. Sez. 6, Sentenza n. 3424 in data 11.9.1997 dep. 14.10.1997 rv 210298).

Il terzo motivo di ricorso è infondato.

In tema di adeguatezza della misura cautelare adottata, non è necessaria una analitica dimostrazione delle ragioni che rendono inadeguata ogni altra misura, ma è necessario che il giudice indichi gli elementi specifici che, nel singolo caso, fanno ragionevolmente ritenere quella applicata all’indagato o all’imputato come la misura più idonea a soddisfare le ravvisate esigenze cautelari. (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 19 in data 11.1.1999 dep. 19.2.1999 rv 213003).

Ciò il Tribunale ha fatto ritenendo che una maggiore libertà di movimento non garantirebbe le esigenze cautelari sopra evidenziate.

Il ricorso deve pertanto essere rigettato.

Ai sensi dell’art. 616 c.p.p., con il provvedimento che rigetta il ricorso, la parte privata che lo ha proposto deve essere condannata al pagamento delle spese del procedimento.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *