Cass. civ. Sez. II, Sent., 12-04-2012, n. 5810

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/
Svolgimento del processo

Con atto notificato il 15.9.93 B.G., proprietaria di un fondo in (OMISSIS), citò al giudizio del Tribunale di Forlì il vicino C.D., rivendicando una striscia di terreno lungo il confine, che assumeva appartenerle e di avere da oltre un ventennio posseduto, lamentando che il convenuto aveva abbattuto la recinzione in paletti e rete metallica, fiancheggiante un fosso tombinato, che di fatto delimitava i due fondi almeno a partire dal 1948, annettendosi parzialmente quella superficie, per cui chiedeva anche la determinazione del confine ed il risarcimento dei danni.

Costituitosi il C., contestava il fondamento della domanda, sostenendo in particolare che il confine tra i due fondi fosse rappresentato dal canale di scolo, poi parzialmente tombinato tra gli anni 1976 e 1977, che la recinzione era stata installata nel proprio fondo da suo padre al solo scopo di evitare l’ingresso del pollame dei vicini, ma poi da lui legittimamente rimossa nell’estate del 1989, essendo venuta meno tale esigenza; su tali premesse il convenuto chiese anch’egli determinarsi il confine nel senso sostenuto e condannarsi l’attrice alla rimozione di una "fettuccia" apposta secondo quanto da lei preteso.

Espletate prove orali e consulenza tecnica, con sentenza del 24.8.02 l’adito Tribunale, in parziale accoglimento della domanda di usucapione, dichiarava l’attrice proprietaria di una striscia di terreno, previo frazionamento demandato al c.t.u., di mq. 111, ordinando la conseguente apposizione dei termini, condannava il convenuto di cui respingeva ogni domanda, al risarcimento dei danni in misura di Euro 1058,74 (pari alla metà delle spese per il ripristino della recinzione), oltre interessi e rivalutazione, nonchè al pagamento delle spese del giudizio. Ma a seguito dell’appello del C., resistito dalla B. con proposizione di gravame incidentale, la Corte di Bologna, con sentenza del 7.4.06-12.3.03,in accoglimento dell’appello principale, disatteso quello incidentale, rigettava la domanda di usucapione, dichiarava che il confine era rappresentato dalla mezzeria del fosso, così come graficamente indicata dal c.t.u., ordinava all’attrice l’esecuzione di tutte le operazioni di variazione catastale e la rimozione della fettuccia, tuttavia interamente compensando le spese del doppio grado di giudizio. A tale decisione la corte felsinea perveniva essenzialmente considerando che la pretesa attrice, già intrinsecamente contraddittoria, in quanto adducente una proprietà "di diritto" su di un bene e, nel contempo, l’usucapione dello stesso, non fosse stata adeguatamente provata, soprattutto in punto di continuità del godimento esclusivo, a tanto non essendo di per sè sufficiente la "dismissione della proprietà" sulla striscia da parte del vicino, ravvisata dal primo giudice, tenuto conto delle alterne vicende possessorie emerse dalle prove orali, evidenzianti l’interruzione quanto meno nel 1989 della vantata signoria di fatto, nonchè dalla labilità degli elementi probatori, attinenti alla coltivazione del suolo, relativi al periodo antecedente; sicchè il confine, secondo le risultanze catastali; situazione dei luoghi e gli stessi usi locali, andava individuato nella mezzeria del fosso che da epoca risalente, di fatto e naturalmente, delimitava i due fondi.

Avverso tale sentenza la B. ha proposto ricorso per cassazione affidato a quattro motivi, illustrati con successiva memoria. Ha resistito il C. con controricorso, contenente ricorso incidentale su unico motivo.

Motivi della decisione

Con il primo motivo del ricorso principale viene dedotta omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione, per mancato esame di deposizioni testimoniali che sarebbero state fondamentali ai fini di una diversa decisione della causa.

In particolare la corte di merito non avrebbe tenuto conto di varie testimonianze, alcune provenienti anche da stretti parenti e affini del C., che avevano abitato e lavorato nei luoghi di causa, univocamente riferenti che il confine era segnato dalla recinzione di paletti in cemento e rete metallica, esistente fin dal 1942 ed ancora in sito nel 1979, e dalla sua ideale prosecuzione,e come tale rispettato nelle attività di coltivazione, anche su indicazioni del padre del convenuto. Da tali risultanze avrebbe dovuto desumersi che già nel 1989 il possesso. esercitato prima da B.P. e poi dalla figlia G. (che aveva ereditato il fondo paterno in questione,a lei assegnato con atto di divisione del 1946), avesse largamente superato il ventennio, poco o punto rilevando agli effetti della continuità dello stesso, che a partire dal 1962 (epoca in cui l’odierna ricorrente era diventata dipendente pubblica), la coltivazione fosse stata esercitata solo quale attività secondaria sul terreno e che poi, agli inizi degli anni 70, la casa colonica fosse stata adibita ad esigenze abitative stabili.

La corte di merito avrebbe,inoltre,travisato la deposizione di tal V., attribuendo impropria rilevanza giuridica ai fini dell’esclusione dell’animus possidendi della B., alla circostanza che il medesimo, un vicino che intendeva convogliare le proprie acque di scarico nel canale e procedere alla relativa tombinatura, ignaro della effettiva proprietà, avesse per ragioni di prudenza, come correttamente rilevato dal primo giudice, interpellato anche il C., quale utente del fosso in questione.

Il motivo non merita accoglimento, contenendo censure di puro merito, dirette ad accreditare una diversa interpretazione delle risultanze istruttorie, la cui complessiva valutazione compiuta dalla corte territoriale, negli essenziali termini in narrativa riferiti, risulta esente da lacune o vizi logici testuali e, pertanto, incensurabile nella presente sede, nella quale, per consolidata giurisprudenza di questa Corte il modulo argomentativo della decisione impugnata va vagliato di per sè, non sulla base di un raffronto con alternative, ancorchè astrattamente plausibili, ipotesi di lettura delle risultanze di causa, bensì nella sua intrinseca tenuta logico- giuridica.

Nella specie il ragionamento seguito dalla corte tetritoriale, nel ritenere insufficiente ai fini dell’usucapione invocata dalla parte attrice, la mera dismissione del godimento della striscia di terreno controversa da parte dei C., in assenza del correlativo esercizio, da parte dei B., di un effettivo possesso, esclusivo ed ultraventennale, risulta ineccepibile sotto il profilo giuridico ed incensurabile ex art. 360 c.p.c., n. 5, essendo sorretto da adeguate argomentazioni in fatto, frutto di ponderata valutazione delle varie testimonianze, nel loro complesso ritenuti comprovanti atti sporadici e discontinui, esercitati ora dall’una, ora dall’altra parte, sulla superficie di terreno, così da non consentire il già avvenuto consolidamento dominicale ex art. 1158 c.c. dell’assunta incontroversa signoria sul bene in capo all’odierna ricorrente, all’epoca dell’insorgenza della controversia.

La proposta rivisitazione delle varie testimonianze, segnatamente di quelle favorevoli alla propria tesi, riportate dalla ricorrente nel mezzo d’impugnazione, senza tener conto di quelle di segno contrario pur citate dalla corte territoriale, si risolve pertanto nell’inammissibile tentativo di instaurare in questa sede un terzo grado di giudizio di merito.

Tanto dicasi anche per il profilo di censura relativo alla deposizione resa dal teste V., che la corte di merito non ha utilizzato quale impropria contemplatio domini, bensì valorizzato, nell’esercizio del proprio insindacabile potere di apprezzamento delle risultanze di causa, quale elemento indiziario, concorrente con le rimanenti emergenze istruttorie, significativo della notorietà nell’ambito del vicinato dell’esercizio del possesso da parte anche del C., esteso fino al fosso, la cui mezzeria è stata individuata quale risalente confine naturale tra i fondi.

Con il secondo motivo si censura per "violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2735 c.c. e di tutte le disposizioni di legge in materia di confessione stragiudiziale" nonchè per "omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione" l’omesso esame di una lettera raccomandata con a.r. inviata il 14.1.88 dal C. alla B. (il cui contenuto viene trascritto), con il quale il primo significava alla seconda che il confine tra i due fondi era costituito dal fosso e la diffidava dal continuare a piantare "arbusti floreali e non" nello spazio posto "fra l’asse della tombinatura del fosso (eseguita nell’estremità vicina alla strada) e quel che rimane della siepe posta sul ciglio della mia proprietà", attività in precedenza solo tollerata dal padre e dante causa dello scrivente, sia per la sua "veneranda età che non gli permetteva di curare in modo ottimale i propri interessi, sia per il quieto vivere civile di buon vicinato", concludendo che con tale comunicazione si intendeva impedire che in futuro potesse "essere invocato un diritto di usucapione". La comunicazione, contrariamente agli intenti perseguiti dal dichiarante, che per la prima volta affermava la non coincidenza del confine con la recinzione, nè con quello catastale, implicava invece inequivoche ammissioni in ordine alla sussistenza di un risalente potere di fatto esclusivo esercitato sulla striscia dalla sola B., non dovuto a mera tolleranza, dacchè i riferimenti alla tarda età ed alle condizioni di salute del padre del dichiarante potevano riguardare solo gli "ultimissimi anni" e non certo gli anni 40, 50, 60, 70, quando lo stesso era ben in grado di curare i propri interessatale confessione, indebitamente sminuita dalla corte di merito, avrebbe comportato la piena prova del possesso in questione e l’inammissibilità di quelle testimoniali dirette a contrastarne le relative risultanze.

Il motivo è privo di fondamento, poichè dal riportato contenuto della missiva in questione, nella quale si fa riferimento ad un atteggiamento tollerante e permissivo del padre e dante causa del dichiarante, essenzialmente dovuto alla tarda età ed alle non buone condizioni fisiche del soggetto, non è dato desumere che lo stesso fosse risalente nel tempo e tale da consentire l’instaurazione di un possesso esclusivo ed ultraventennale. Proprio il riferimento nella lettera alle surriferite condizioni soggettive, che tale comportamento passivo avrebbero determinato, esclude ogni ipotesi di estensibilità dello stesso, come preteso dalla ricorrente, ad epoca antecedente la "terza età" del C. padre, sicchè ogni questione sulla configurabilità o meno, nella specie, di atti di godimento dovuti a mera tolleranza, oppure costituenti esercizio di possesso esclusivo, risulta irrilevante, non potendo comunque, nel secondo caso, la prospettata ammissione di fatti sfavorevoli al dichiarante, di incerta e comunque limitata risalenza temporale, estendersi ad un periodo sufficiente ai fini dell’art. 1158 c.c..

Con il terzo motivo di ricorso si deduce "violazione o falsa applicazione degli artt 1158, 1163, 1166 c.c., omesso esame di un fatto decisivo costituito dalle risultanze della c.t.u, omessa, contraddittoria, insufficiente motivazione".

Si lamenta da quel che è dato comprendere dal formulato quesito di diritto ex art. 366 bis e dalla successiva, alquanto tortuosa, esposizione delle censure, che la corte, nel regolare il confine secondo l’asse del fosso tombinato, individuato dal c.t.u con una linea rossa, anzichè (come era stato sostenuto dalla parte convenuta) secondo la demarcazione catastale, dall’ausiliare indicata con una linea verde, avrebbe implicitamente riconosciuto la parziale fondatezza della domanda di usucapione, relativamente allo spazio compreso tra le due strisce, così ponendosi in insanabile contraddizione con la pronunzia di rigetto della domanda attrice, diretta al riconoscimento dell’usucapione fino alla linea confinaria (indicata in giallo dal c.t.u) segnata dalla rete di recinzione; si sostiene che, "per una linea logica elementare" la corte o avrebbe dovuto respingere la domanda e confermare il confine catastale, oppure, una volta riconosciuti "il possesso e l’animus possidendi di B.G.", riconoscere la fondatezza della relativa domanda e pertanto dichiarare l’usucapione sull’intera striscia fino alla suddetta recinzione. Il motivo è privo di fondamento.

A parte ogni considerazione sull’ammissibilità della doglianza, sotto il profilo dell’interesse (laddove deduce l’incoerenza della decisione, risoltasi nel parziale accoglimento della propria domanda di usucapione), è agevole osservare che nel caso di specie, accogliendo la domanda riconvenzionale di regolamento del confine, in concreto individuato nella linea mediana del fosso e non secondo il confine delineato dalle risultanze catastali, il giudice di appello non ha recepito, sia pur parzialmente, la tesi attrice dell’usucapione, ma si è correttamente attenuto al disposto dell’art. 950 c.c. ed alla costante giurisprudenza di legittimità, secondo cui, quando il confine, alla stregua dei titoli, è incerto, ogni mezzo di prova è ammesso e, solo in mancanza di altri elementi, soccorrono, quale extrema ratio, le risultanze catastali; nella specie, peraltro, il confine, de sunto dalla conformazione naturale dei luoghi e secondo gli usi locali, è stato ritenuto anche sostanzialmente aderente, attesa la scarsa entità dell’arretramento riscontrato, a quello risultante dalle mappe catastali.

Con il quarto motivo si deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. ed omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione, lamentandosi la subita condanna alla esecuzione a proprie spese delle variazioni catastali al fine di far coincidere il confine con l’asse di tombinatura del fosso, statuizione che si porrebbe in rapporto di eccedenza con le richieste avverse, con le quali si era chiesto soltanto la rimozione della "fettuccia" e l’apposizione dei termini a spese comuni.

Il motivo va disatteso per inconferenza della censura, che non ha colto il senso e le finalità della statuizione in questione, diretta non all’accoglimento del capo di domanda attrice relativo all’apposizione dei termini (su cui vi è stata un’omissione di pronuncia, non impugnata in questa sede), bensì al ripristino dello status quo ante catastale, previa eliminazione di quelle variazioni (frazionamento della particella in contestazione), disposte dal primo giudice, eseguite dal c.t.u. già in corso di causa ed infine confermate dalla relativa sentenza, poi riformata in grado di appello.

Il ricorso principale va, conclusivamente, respinto.

Va rigettato anche il ricorso incidentale, che nell’unico motivo censura, per violazione e falsa applicazione dell’art. 111 Cost. e dell’art. 92 c.p.c. e per omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione, la disposta compensazione delle spese processuali tra le parti, considerato che, nel regime processuale (nella specie ratione temporis applicabile) antecedente la modifica all’art. 92 c.p.c., comma 2 apportata dalla L. n. 263 del 2005, non era necessaria l’esplicitazione dei giusti motivi comportanti siffatte statuizioni e tenuto conto della giurisprudenza di legittimità, al riguardo ritenente evincibili dette ragioni anche implicitamente, dal contesto complessivo della motivazione della sentenza (v., tra le altre, Cass. nn. 20457/11, 7523/09, 6970/09, S.U. n. 20598/08). Tanto è dato, nella specie, desumere dalla evidenziata complessità in fatto della vicenda, che, segnatamente nei profili possessorie risultata connotata da controverse risultanze probatorie, la cui obiettiva ambivalenza ed equivocità ha comportato il rigetto della domanda attrice. Le spese del giudizio di legittimità vanno invece poste, in ragione della prevalente e netta soccombenza in questa sede della ricorrente principale, a carico totale di quest’ultima.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso principale, nonchè quello incidentale, e condanna la ricorrente principale al rimborso delle spese processuali in favore del contro ricorrente, liquidando le in complessivi Euro 2.200, 00, di cui 200, 00 per esborsi, oltre accessori di legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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