Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 19-10-2011) 25-10-2011, n. 38536

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza in data 20.9.2007, il Tribunale di Rimini dichiarò C.R. responsabile del reato di truffa aggravata e continuata commessa nell'(OMISSIS) e – concesse le attenuanti generiche equivalenti all’aggravante, con la diminuente per il rito – lo condannò alla pena di anni 1 mesi 4 di reclusione ed Euro 400,00 di multa, interdizione dai pubblici uffici per anni 2.

L’imputato fu altresì condannato al risarcimento dei danni (liquidato in Euro 5.000,00, con una provvisionale di Euro 2.000,00 per ciascuna parte civile) ed alla rifusione delle spese a favore delle parti civili S.M., S.U., Y. M. e K.A..

Avverso tale pronunzia l’imputato propose gravame e la Corte d’appello di Bologna, con sentenza in data 12.1.2010, in parziale riforma della decisione di primo grado, ridusse la pena ad anni 1 di reclusione ed Euro 300,00 di multa.

Ricorre per cassazione l’imputato deducendo:

1. violazione di legge in relazione alla mancata declaratoria di prescrizione del reato intervenuta dopo la pronunzia della sentenza di appello e prima del deposito della motivazione della sentenza stessa;

2. violazione della legge processuale e vizio di motivazione in relazione all’affermazione di responsabilità senza svolgere un doveroso controllo sui fatti posti a fondamento dell’accusa, trascurando l’assoluzione per i primi due capi di imputazione, che si fondavano sulle dichiarazioni degli stessi soggetti, alla luce degli elementi portati dall’imputato che evidenziavano la falsità delle dichiarazioni, quali il traffico telefonico, i cui contatti con le persone offese si limitano al periodo (OMISSIS), smentirebbero le dichiarazioni di B. e N. circa le telefonate, la tardività delle querele, le contraddizioni tra la varie versioni; le trascrizioni delle registrazioni presentano ampi stralci incomprensibili; la prima denunzia è stata redatta da uno studio legale e raccoglie un’unica esposizione dei fatti, che non può dirsi tale per tutte le persone offese, sicchè vi sarebbe una sola versione; B. e N. si sarebbero tutelati nei confronti dei connazionali;

3. violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla mancanza dell’elemento oggettivo del reato di truffa, in quanto non vi sarebbe prova che le somme siano pervenute all’imputato;

4. violazione di legge in relazione al mancato giudizio di prevalenza delle attenuanti generiche ed all’entità della pena inflitta.

Motivi della decisione

Il primo motivo di ricorso è inammissibile perchè proposto unicamente per far valere la prescrizione maturata dopo la decisione impugnata e prima della sua presentazione, sicchè è privo di qualsiasi doglianza relativa alla medesima, e pertanto viola il criterio della specificità dei motivi enunciato nell’art. 581 c.p.p., lett. c), ed esula dai casi in relazione ai quali può essere proposto a norma dell’art. 606 c.p.p.. (Cass. Sez. Un. sent. n. 33542 del 27.6.2001 dep. 11.9.2001 rv 219531).

Il secondo ed il terzo motivo di ricorso sono proposti al di fuori dei casi consentiti dal momento che svolgono censure di merito, non consentito neppure alla luce della modifica dell’art. 606 c.p.p., lett. e), introdotta con L. n. 46 del 2006, ed inoltre sono manifestamente infondati ed il secondo altresì generico, dal momento che non contiene una specifica indicazione degli atti su cui fonda gli assunti.

Va premesso che la modifica normativa dell’art. 606 c.p.p., lett. e), di cui alla L. 20 febbraio 2006, n. 46, lascia inalterata la natura del controllo demandato alla Corte di cassazione, che può essere solo di legittimità e non può estendersi ad una valutazione di merito. Il nuovo vizio introdotto è quello che attiene alla motivazione, il cui vizio di mancanza, illogicità o contraddittorietà può ora essere desunto non solo dal testo del provvedimento impugnato, ma anche da altri atti del processo specificamente indicati.

E’ perciò possibile ora valutare il cosiddetto travisamento della prova, che si realizza allorchè si introduce nella motivazione un’informazione rilevante che non esiste nel processo oppure quando si omette la valutazione di una prova decisiva ai fini della pronunzia.

Attraverso l’indicazione specifica di atti contenenti la prova travisata od omessa si consente nel giudizio di cassazione di verificare la correttezza della motivazione.

Ciò peraltro vale nell’ipotesi di decisione di appello difforme da quella di primo grado, in quanto nell’ipotesi di doppia pronunzia conforme il limite del devolutum non può essere superato ipotizzando recuperi in sede di legittimità, salva l’ipotesi in cui il giudice d’appello, al fine di rispondere alle critiche contenute nei motivi di gravame, richiami atti a contenuto probatorio non esaminati dal primo giudice.

Infine il dato probatorio che si assume travisato od omesso deve avere carattere di decisività non essendo possibile da parte della Corte di cassazione una rivalutazione complessiva delle prove che sconfinerebbe nel merito.

Nel caso in esame si prospetta una lettura delle risultanze alternativa a quella data dai giudici di merito.

La Corte territoriale ha fondato la conferma di responsabilità sulle dichiarazioni delle persone offese, peraltro riscontrate dalla accertata conoscenza dell’imputato da parte di costoro e sulla base di una conversazione registrata, dalla quale hanno desunto anche la percezione del denaro da parte dell’imputato ed in tale valutazione non vi è nè travisamento della prova nè manifesta illogicità.

In ordine alla dedotta mancata risposta alle doglianze svolte con i motivi di appello, va ricordato che secondo l’orientamento di questa Corte, che il Collegio condivide, anche nella vigenza del nuovo codice di procedura penale vale il principio secondo cui il vizio di motivazione non può essere utilmente dedotto in Cassazione sol perchè il giudice abbia trascurato o disatteso degli elementi di valutazione che, ad avviso della parte, avrebbero dovuto o potuto dar luogo ad una diversa decisione, poichè ciò si tradurrebbe in una rivalutazione del fatto preclusa in sede di legittimità. Esso è configurabile, invece, unicamente quando gli elementi trascurati o disattesi abbiano un chiaro ed inequivocabile carattere di decisività, nel senso che una loro adeguata valutazione avrebbe dovuto necessariamente portare, salvo intervento di ulteriori e diversi elementi di giudizio, ad una decisione più favorevole di quella adottata. (Cass. pen., Sez. 1^ sent. 6922 del 11.5.1992 dep. 11.6.1992 rv 190572).

Il quarto motivo di ricorso è manifestamente infondato.

La Corte territoriale ha confermato il giudizio di equivalenza fra attenuanti generiche ed aggravante alla luce della gravità del fatto conseguente all’abuso della qualità di vigile urbano ed in ciò non vi è alcuna violazione di legge nè vizio di motivazione.

Infatti, secondo l’orientamento di questa Corte, condiviso dal Collegio, per il corretto adempimento dell’obbligo della motivazione in tema di bilanciamento di circostanze eterogenee è sufficiente che il giudice dimostri di avere considerato e sottoposto a disamina gli elementi enunciati nella norma dell’art. 133 c.p., e gli altri dati significativi, apprezzati come assorbenti o prevalenti su quelli di segno opposto, essendo sottratto al sindacato di legittimità, in quanto espressione del potere discrezionale nella valutazione dei fatti e nella concreta determinazione della pena demandato al detto giudice, il supporto motivazionale sul punto quando sia aderente ad elementi tratti obiettivamente dalle risultanze processuali e sia, altresì, logicamente corretto. (Cass. Sez. 1^ sent. n. 3163 del 28.11.1988 dep. 25.2.1989 rv 180654).

La determinazione in concreto della pena costituisce il risultato di una valutazione complessiva e non di un giudizio analitico sui vari elementi offerti dalla legge, sicchè l’obbligo della motivazione da parte del giudice dell’impugnazione deve ritenersi compiutamente osservato, anche in relazione alle obiezioni mosse con i motivi d’appello, quando egli, accertata l’irrogazione della pena tra il minimo e il massimo edittale, affermi di ritenerla adeguata o non eccessiva. Ciò dimostra, infatti, che egli ha considerato sia pure intuitivamente e globalmente, tutti gli aspetti indicati nell’art. 133 c.p., ed anche quelli specificamente segnalati con i motivi d’appello. (Cass. Sez. 6^, sent. n. 10273 del 20.5.1989 dep. 12.7.1989 rv 181825. Conf. mass. N. 155508; n. 148766; n. 117242).

Il ricorso deve pertanto essere dichiarato inammissibile.

Da ultimo il Collegio osserva che non possono trovare applicazione le norme sulla prescrizione del reato, pur essendo maturati i relativi termini, dal momento che – secondo la giurisprudenza delle Sezioni Unite di questa Corte – l’inammissibilità del ricorso per cassazione dovuta alla mancanza, nell’atto di impugnazione, dei requisiti prescritti dall’art. 581 c.p.p., ovvero alla manifesta infondatezza dei motivi non consente il formarsi di un valido rapporto di impugnazione e preclude, pertanto, la possibilità di rilevare e dichiarare le cause di non punibilità a norma dell’art. 129 c.p.p., (cfr: Cass. Sez. Un., sent. n. 21 del 11.11.1994 dep. 11.2.1995 rv 199903; Cass. Sez. Un., sent. n. 32 del 22.11. 2000 dep. 21.12.2000 rv 217266).

Ai sensi dell’art. 616 c.p.p., con il provvedimento che dichiara inammissibile il ricorso, l’imputato che lo ha proposto deve essere condannato al pagamento delle spese del procedimento, nonchè – ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità – al pagamento a favore della Cassa delle ammende della somma di mille Euro, così equitativamente fissata in ragione dei motivi dedotti.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro mille alla Cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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