Cass. civ. Sez. II, Sent., 12-04-2012, n. 5806 Recesso e risoluzione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/
Svolgimento del processo

1.- La società a r.l. C.R.I.- Costruzioni Restauri Impianti (d’ora in poi C.R.I.), premesso di avere ricevuto in appalto dalla s.p.a.

All Market l’esecuzione di vari lavori edili relativi all’erigendo edificio di via (OMISSIS), conveniva in giudizio la predetta davanti al Tribunale di quella città per sentire accertare l’avvenuto recesso dal contratto de quo ex art. 1671 cod. civ. o, in subordine, la risoluzione per fatto e colpa della committente, con la condanna della convenuta al pagamento delle opere eseguite e dei danni.

Si costituiva in giudizio la convenuta, chiedendo il rigetto della domanda; deduceva che i lavori si erano svolti con molta lentezza e non a regola d’arte; che la società appaltatrice aveva concesso i lavori in subappalto; in via riconvenzionale instava per risoluzione del contratto imputabile all’attrice per avere questa concesso i lavori in subappalto.

Con sentenza n. 17816/2004 il Tribunale accoglieva la domanda, ritenendo – per effetto della diffida ad adempiere – la risoluzione del contratto per inadempimento della convenuta.

Con sentenza dep. il 1 ottobre 2009 la Corte di appello di Roma rigettava l’impugnazione proposta dalla convenuta.

Nell’escludere la risoluzione del contratto di appalto i Giudici – dopo avere evidenziato che non sussistevano i presupposti al riguardo stabiliti dall’art. 1668 cod. civ. – osservavano che la committente non si era mai lamentata di una cattiva esecuzione dei lavori ma soltanto dell’utilizzo del subappalto; peraltro, nella lettera del 27- 9-1991 si evinceva come la preoccupazione della committente fosse soltanto che, per effetto della concessione in subappalto, i costi dei lavori potessero aumentare; in ogni caso, il subappalto aveva a oggetto soltanto parte dei lavori commissionati, comunque rimanendo la C.R.I. responsabile delle opere. D’altra parte, le ditte utilizzate per il subappalto erano ben conosciute dalla impresa s.p.a. All Market che aveva fatto completare i lavori proprio da una di queste società.

Al momento in cui la C.R.I. era stata unilateralmente estromessa dal cantiere, nessun inadempimento era alla medesima ascrivibile, posto che le opere erano state eseguite correttamente, mentre il modesto scapitozzamento dei muri sarebbe stato eliminato nel corso dei lavori con la spesa preventivata di L. 3.021.367.

L’unico soggetto inadempiente era la s.p.a. All Market che non provvide al pagamento dovuto, avendo dichiarato di essere disposta a pagare ove avesse preventivamente accertato che fossero stati pagati i subappaltatori ed effettuati i versamenti previdenziali ; in tal modo, secondo i Giudici, si arrogò prerogative che non la riguardavano.

Il mancato guadagno, anche in considerazione che la perdita dell’appalto aveva reso più onerosa la gestione dell’impresa, era liquidato nella misura del 10% della parte di lavoro non eseguito secondo un criterio usato dal legislatore in materia di appalto.

2.- Avverso tale decisione propone ricorso per cassazione notificato alla C.R.I. e a N.S. la s.p.a. All Market sulla base di quattro motivi.

Resiste con controricorso N.S., mentre non ha svolto attività difensiva l’altra intimata. Le parti costituite hanno depositato memoria illustrativa.

Motivi della decisione

Preliminarmente va dichiarata la inammissibilità del controricorso proposto dal N., tenuto conto che il mandato al difensore è stato conferito in calce alla copia del ricorso notificato, in violazione di quanto previsto dall’art. 83 cod. proc. civ. nel testo anteriore alla modifica di cui alla L. n. 69 del 2009 ratione temporis applicabile.

Va, peraltro, esaminata la questione relativa alla legittimazione passiva del N., dovendo la stessa essere verificata d’ufficio.

Deve essere dichiarato inammissibile il ricorso per cassazione notificato al predetto, quale cessionario del credito azionato dall’attrice, non essendo stato il medesimo parte nel giudizio di merito. Al riguardo, sono del tutto inconferenti i principi richiamati dalla ricorrente a proposito della legittimazione attiva e passiva del cessionario del credito: ciò che qui rileva è che, essendo la cessione del credito azionato dall’attrice avvenuta nel corso del giudizio, si è nella specie verificata la successione a titolo particolare prevista dall’art. 111 cod. proc. civ., a stregua del quale il trasferimento a titolo particolare nel diritto controverso da luogo ad una sostituzione processuale del dante causa, tanto che la sentenza spiega piena efficacia nei confronti dell’avente causa sostituito, pur se sia pronunziata senza la sua partecipazione al giudizio: con il trasferimento a titolo particolare operato in corso di causa viene a scindersi la titolarità del diritto controverso dalla titolarità dell’azione processuale (dal lato attivo o dal lato passivo); pur se soggetto titolare del rapporto dedotto in giudizio è il successore a titolo particolare, il giudizio prosegue fra le parti originarie e la sentenza, emessa nei confronti del dante causa, produce effetti nei confronti dell’avente causa.

Va esaminato il ricorso proposto nei confronti della C.R.I..

1.1.- Il primo motivo, lamentando violazione e falsa applicazione degli artt. 1668, 1656, 1676, 1453, c.c. e segg. e, in particolare, degli artt. 1454, 1455 e 1460 cod. civ., degli artt. 112, 115 e 116 cod. proc. civ. nonchè omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia, censura la decisione gravata laddove aveva ritenuto che la risoluzione del contratto di appalto è configurabile solo nel caso di inadempimento che renda l’opera del tutto inadatta alla sua destinazione, quando a sostegno della riconvenzionale era stata dedotta la violazione del divieto di subappalto di cui alla lettera del 27-9-1991 che la sentenza non aveva per nulla considerato, tanto più che il contratto de quo prevedeva l’affidamento di opere specialistiche a una società del settore; neppure era stata presa in esame la lettera del 27-11- 1991 con cui – in risposta alla missiva C.R.I. – era stato esternato il manifesto diniego di essa committente al subappalto.

Il diniego al subappalto nasceva non solo dall’intuitus personae ma anche dalla responsabilità che, ai sensi dell’art. 1676 cod. civ., della L. n. 1369 del 1960, della L. n. 55 del 1990, art. 18 e D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 29 derivava per la committente in ordine agli emolumenti e alla posizione previdenziale dei dipendenti dell’appaltatrice e dei subappaltatori; la sospensione dei pagamenti era giustificata, ex art. 1460 cod. civ., dalla necessità di essere manlevati dalla responsabilità inerente al pagamento degli emolumenti e dei contributi dovuti alle maestranze ed aveva reso invalida la successiva diffida della appaltatrice.

La ricorrente aveva dimostrato di non conoscere le ditte subappaltatrici e gli ausiliari della C.R.I., secondo quanto era risultato dalle deposizioni escusse, mentre era del tutto irrilevante che dopo l’interruzione dei rapporti non era stato sottoscritto alcun subappalto.

In considerazione degli inadempimenti ascrivibili alla C.R.I. si sarebbero dovuti applicare le norme di cui all’art. 1453 c.c. e segg..

1.2.- Il motivo è infondato.

La sentenza ha escluso l’inadempimento della appaltatrice invocato dalla convenuta, ritenendo che unico soggetto inadempiente dovesse essere considerata la ricorrente la quale aveva ingiustificatamente sospeso i pagamenti.

Nella ricostruzione del rapporto intercorso fra le parti, i Giudici hanno esaminato proprio la lettera del 27 settembre 1991 e, interpretando la volontà ivi espressa dalla committente, hanno ritenuto che il subappalto fosse stato implicitamente autorizzato o comunque non vietato, avendo – proprio sulla scorta della predetta lettera – evidenziato che non solo la s.p.a. All Market ne era a conoscenza ma che l’unica effettiva preoccupazione della committente fosse che la concessione del subappalto non avesse procurato la lievitazione dei costi. La sentenza ha ancora chiarito: a) che le ditte subappaltatrici erano in gran parte conosciute o addirittura utilizzate nei lavori dalla stessa s.p.a. All Market, per cui neppure si sarebbe potuto fare riferimento alla violazione dell’intuitus personae; b) l’irrilevanza delle vicende riguardanti la posizione retributiva e contributiva dei dipendenti.

Ciò premesso, il motivo difetta di autosufficienza laddove non trascrive il testo integrale delle lettere alle quali si fa riferimento(ciò dicasi con particolare riferimento alla lettera del 27 novembre 1991) nè delle deposizioni dei testimoni escussi, dovendo qui ricordarsi che, in relazione al vizio di motivazione per omesso esame di un documento o di una prova decisivi, il ricorrente ha l’onere, a pena di inammissibilità del motivo di censura, di riprodurre nel ricorso, in osservanza del principio di autosufficienza del medesimo, il documento o le risultanze della prova nella loro integrità in modo da consentire alla Corte, che non ha accesso diretto agli atti del giudizio di merito, di verificare la decisività della censura (Cass. 14973/2006; 12984/2006; 7610/2006;

10576/2003), tenuto conto che in proposito occorre dimostrare la certezza e non la probabilità che, ove essi fossero stati preso in considerazione, la decisione sarebbe stata diversa.

D’altra parte, la determinazione della volontà espressa con le richiamate missive ovvero il significato da attribuirsi ha a oggetto un’ operazione ermeneutica, dovendo qui ricordarsi che 1’interpretazione del contratto o in genere delle dichiarazioni delle parti, consistendo in un’operazione di accertamento della volontà, si risolve in un’indagine di fatto riservata al giudice di merito, il cui accertamento è censurabile in cassazione soltanto per inadeguatezza della motivazione che nella specie non sussiste o per violazione delle regole ermeneutiche, che non è stata neppure specificamente dedotta, atteso che la denuncia della violazione delle regole di ermeneutica esige una specifica indicazione dei canoni in concreto inosservati e del modo attraverso il quale si è realizzata la violazione, mentre la denunzia del vizio di motivazione implica la puntualizzazione dell’obiettiva deficienza e contraddittorietà del ragionamento svolto dal giudice del merito; nessuna delle due censure può, invece, risolversi in una critica del risultato interpretativo raggiunto dal giudice che – come nella specie – si sostanzi nella mera contrapposizione di una differente interpretazione.

Per quel che poi concerne le ragioni che avrebbero indotto la attrice a sospendere i pagamenti, va considerato che il contratto di appalto è autonomo, seppure collegato, rispetto a quello di subappalto, per cui, in mancanza di diversi accordi, il subappaltatore non ha azione diretta nei confronti del committente (Cass. 16917/2011) così come gli ausiliari del subappaltatore possono agire ai sensi dell’art. 1676 cod. civ. esclusivamente nei confronti del sub committente- appaltante (cfr. in motivazione Cass. 12048/2003, alla quale peraltro si sono conformati anche i precedenti citati dalla ricorrente). Ed invero, proprio al fine di apprestare una garanzia ulteriore rispetto a quella prevista dall’art. 1676 cit., è intervenuto il D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 29, comma 2 che, moltiplicando i centri di responsabilità negli appalti c.d. a catena, ha previsto a favore dei dipendenti la responsabilità solidale del committente, dell’appaltatore e dei subappaltatori entro il limite di due anni dalla cessazione dell’appalto per quanto concerne i trattamenti retributivi e previdenziali dovuti ai lavoratori : è appena il caso di accennare che all’epoca dei fatti tale norma non era in vigore e non poteva essere evidentemente invocata dalla ricorrente a giustificazione del suo comportamento.

Il riferimento alla L. n. 1369 del 1960 in tema di intermediazione di mano d’opera, involgendo anche accertamenti di fatto nuovi circa le modalità dei rapporti intercorsi fra le parti, introduce questioni che sono inammissibili in sede di legittimità, non risultando trattate dalla sentenza impugnata.

La L. n. 55 del 1990, art. 18 (Nuove disposizioni per la prevenzione della delinquenza di tipo mafioso e di altre gravi forme di manifestazione di pericolosità sociale) prevede norme in tema di pubblici appalti.

In ogni caso, la responsabilità prevista dall’art. 1676 cit. non poteva essere invocata neppure per quanto concerneva i trattamenti retributivi e contributivi degli ausiliari dell’appaltatrice C.R.I. per l’assorbente considerazione che il diritto dei predetti di ottenere dal committente il pagamento delle spettanze loro dovute dall’appaltatore postula la preventiva richiesta: il credito dell’appaltatore nei confronti del committente diventa indisponibile a garanzia delle pretese dei dipendenti del primo e, dunque, non può essere pagato all’appaltatore, soltanto dal momento della richiesta avanzata dai dipendenti nei confronti del committente: in mancanza di tale presupposto – nella specie non dimostrato e neppure allegato – il pericolo paventato dalla ricorrente di pagare due volte le stesse somme era del tutto infondato.

2.1.- Il secondo motivo, lamentando violazione e falsa applicazione degli artt. 1147, 1656, 1665, 1666, 1667, 1453, 2697 e 2730 cod. civ., degli artt. 112, 113, 115 e 116 cod. proc. civ. nonchè omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia, censura la sentenza impugnata per avere acriticamente aderito alle conclusioni del consulente tecnico d’ufficio laddove aveva ritenuto che soltanto parte delle opere erano state appaltate, quando ciò era smentito dal contratto di appalto;

dalla corrispondenza in atti era risultato non rispondente al vero che la C.R.I. fosse stata estromessa dal cantiere; in effetti, dai documenti e dagli atti processuali, in particolare dalle dichiarazioni confessorie del procuratore della società attrice, era emerso che quest’ultima aveva abbandonato il cantiere perchè considerava i prezzi non più remunerativi e pretendeva un aumento dei corrispettivi.

Il consulente non aveva risposto ad alcuni quesiti nè aveva risposto ai rilievi formulati dal consulente tecnico di parte.

2.2.- Il motivo va disatteso.

In primo luogo, deve anche qui rilevarsi il difetto di autosufficienza del motivo circa la mancata trascrizione integrale del contratto di appalto, della corrispondenza alla quale si fa riferimento nonchè dei passi salienti della consulenza tecnica d’ufficio: a tale riguardo, va osservato che, se è vero che l’acritica adesione alle conclusioni della consulenza può integrare il vizio di inadeguata motivazione, il ricorrente – il quale lo denunci – deve non soltanto allegare i presunti errori ma dimostrare la decisività di tali errori in modo da offrire la certezza che il risultato dell’accertamento sarebbe stato diverso; d’altra parte, la contestazione dell’esattezza delle conclusioni dell’espletata consulenza non può essere effettuata – come appunto nella specie – formulando critiche alla metodologia seguita ovvero mediante la contrapposizione ad esse delle diverse valutazioni espresse dal consulente tecnico di parte in quanto non serve, di per se, ad evidenziare alcun errore delle prime – con conseguente insufficienze della motivazione della sentenza che ad esse si sia limitata a riferirsi, ma solo la diversità dei giudizi formulati dagli esperti (Cass. 13845/2007; 7878/2006; 7392/1994): altrimenti il motivo si risolverebbe in una inammissibile (in sede di legittimità) richiesta di verifica e di rivalutazione dell’operato del consulente, che evidentemente attiene al giudizio di merito.

In effetti, il motivo si risolve nella censura della valutazione circa le ragioni che portarono alla risoluzione del contratto e l’individuazione del soggetto al quale è stato imputato l’inadempimento: trattasi evidentemente di questioni di fatto, il cui esame è riservato agli accertamenti del giudice di merito.

3.1.- Il terzo motivo, lamentando violazione e falsa applicazione degli artt. 1223, 1453 c.c. e segg., art. 1671 cod. civ. nonchè omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia, deduce che la sentenza avrebbe fatto confusione fra istituti diversi, l’inadempimento e il recesso ex art. 1671 cod. civ., atteso che, pur avendo risolto il contratto ai sensi dell’art. 1453 cod. civ., aveva poi liquidato il mancato guadagno previsto dall’art. 1671 cod. civ. e non il risarcimento dei danni.

In ogni caso, anche volendo ritenere che avesse fatto applicazione dell’art. 1223 cod. civ., il danno era stato determinato in assenza di alcuna prova,anche indiziaria, tenuto conto che la attrice aveva affermato la non remuneratività dell’appalto.

3.2.- Il motivo è infondato.

Nel determinare il pregiudizio patrimoniale patito dall’attrice, la sentenza ha correttamente tenuto conto del mancato guadagno previsto dall’art. 1223 cod. civ., che costituisce una componente del danno risarcibile: il riferimento all’utile non percepito per le opere non eseguite costituisce un criterio di valutazione immune da vizi logici o giuridici e, come tale,è insindacabile in sede di legittimità, dovendo qui ricordarsi che il vizio deducibile ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5 deve consistere in un errore intrinseco al ragionamento del giudice che deve essere verificato in base al solo esame dei contenuto del provvedimento impugnato e non può risolversi nella denuncia della difformità della valutazione delle risultanze processuali compiuta dal giudice di merito rispetto a quella a cui, secondo il ricorrente, si sarebbe dovuti pervenire: in sostanza, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5 citato, la (dedotta) erroneità della decisione non può basarsi su una ricostruzione soggettiva del fatto che il ricorrente formuli procedendo a una diversa lettura del materiale probatorio, atteso che tale indagine rientra nell’ambito degli accertamenti riservati al giudice di merito ed è sottratta al controllo di legittimità della Cassazione che non può esaminare e valutare gli atti processuali ai quali non ha accesso, ad eccezione che per gli errores in procedendo (solo in tal caso la Corte è anche giudice del fatto).

4.1.- Il quarto motivo, lamentando violazione e falsa applicazione degli artt. 1223, 1226, 2697 cod. civ. degli artt. 112, 113, 115 e 116 cod. proc. civ. nonchè omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia, deduce che la sentenza aveva proceduto alla liquidazione equitativa del danno senza che vi fosse stata alcuna richiesta dalla parte interessata e senza che comunque fossero emersi elementi utili per il convincimento dei giudici i quali avevano aderito a una consulenza del tutto inadeguata, ignorando le critiche del consulente di parte e non tenendo conto che al consulente era stato posto soltanto il quesito relativo all’importo dei lavori.

4.2.- Il motivo è infondato.

In tema di liquidazione equitativa del danno prevista dall’art. 1226 cod. civ., il giudice può ricorrere, anche d’ufficio, a criteri equitativi per raggiungere la prova dell’ammontare del danno risarcibile, integrando così le risultanze processuali che siano insufficienti a detto scopo ed assolvendo l’onere di fornire l’indicazione di congrue, anche se sommarie, ragioni del processo logico in base al quale ha adottato i criteri stessi. (Cass. 25943/2007).

Per quel che concerne le critiche alla consulenza d’ufficio e ai rilievi formulati dal consulente di parte, vanno ribadite le considerazioni sopra svolte a proposito del difetto di autosufficienza del motivo.

Il ricorso proposto nei confronti della C.R.I. va rigettato.

Le spese della presente fase vanno poste a carico della ricorrente, risultata soccombente, a favore del resistente costituito, dovendo qui osservarsi che la procura rilasciata in calce alla copia del ricorso notificato, seppure determina l’inammissibilità del controricorso, non impedisce tuttavia al difensore di costituirsi in giudizio e di discutere oralmente la causa: pertanto, in tali limiti l’attività difensiva svolta va considerata ai fini della liquidazione delle spese.

Nessuna statuizione va adottata sulle spese relativamente al rapporto intercorso con la C.R.I., non avendo quest’ultima svolto attività difensiva.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso proposto nei confronti della società a r.l.

C.R.I.- Costruzioni Restauri Impianti; dichiara inammissibile quello proposto nei confronti di N.S..

Condanna la ricorrente al pagamento in favore di N. S. delle spese relative alla presente fase che liquida in Euro 3.200,00 di cui Euro 200,00 per esborsi ed Euro 3.000,00 per onorari di avvocato oltre spese generali ed accessori di legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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