Cass. civ. Sez. II, Sent., 12-04-2012, n. 5805 Contratto preliminare Esecuzione specifica dell’obbligo di concludere il contratto Risoluzione del contratto per inadempimento Surrogazione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con atto di citazione del gennaio 2005, M.M. espose di avere stipulato con Ro.Ma. quattro distinti preliminari per l’acquisto di due appartamenti e di due box siti in (OMISSIS); che, nonostante il pagamento del prezzo pattuito, il Ro. non aveva provveduto a trasferirle i beni; che successivamente era risultato che proprietaria degli immobili era la s.a.s. Damiano Belgiovine, la quale aveva a sua volta stipulato con il Ro. un contratto preliminare di compravendita, di cui però questi, pur avendo versato il corrispettivo, non aveva mai chiesto l’adempimento. Ciò premesso, convenne in giudizio sia la società Damiano Belgiovane che il Ro., chiedendo in via surrogatoria l’adempimento del contratto preliminare ex art. 2932 cod. civ. intervenuto tra le predette parti e quindi che i beni fossero nuovamente trasferiti in suo favore in adempimento dei contratti preliminari da lei stipulati ovvero, in via subordinata, la risoluzione dei contratti conclusi con il Ro. per inadempimento di quest’ultimo e sua condanna al pagamento delle penali previste in due dei quattro contratti ed al risarcimento dei danni.

Si costituirono distintamente i convenuti, che contestarono la domanda. All’esito dell’istruttoria il Tribunale decise la causa pronunciando la risoluzione dei contratti sottoscritti tra l’attrice ed il Ro. e condannando quest’ultimo alla restituzione del prezzo incassato ed al pagamento degli importi previsti a titolo di penale.

Interposto gravame da parte della M., con sentenza n. 1293 del 28 dicembre 2009 la Corte di appello di Bari confermò integralmente la pronuncia di primo grado, rigettando anche la domanda di risarcimento dei danni ex art. 96 cod. proc. Civ., avanzata dall’appellata società Damiano Belgiovane. Il giudice di secondo grado, respinta la richieste della appellante di sospensione del giudizio ovvero di riunione dello stesso con altra causa intentata dalla società Damiano nel confronti del Ro. per la risoluzione del contratto preliminare tra gli stessi concluso, pendente presso la medesima Corte distrettuale, motivò il rigetto dell’appello affermando che la domanda di adempimento del preliminare intervenuto tra le parti convenute era inammissibile per difetto dei presupposti richiesti dalla legge, atteso che il Ro., quale debitore dell’attrice, non era rimasto inerte, avendo proposto, sia pure successivamente all’introduzione del giudizio da parte della M., nella distinta causa intrapresa dalla società Damiano Belgiovane nei suoi confronti, domanda riconvenzionale di adempimento del contratto ex art. 2932 cod. civ., avanzando altresì appello avverso la sentenza che, accogliendo la domanda della società, aveva disposto la risoluzione per inadempimento del predetto contratto e rigettato di conseguenza la sua domanda di adempimento; aggiunse la Corte che la domanda di adempimento riproposta dall’attrice nei confronti del Ro. era pure inammissibile, non avendo la parte stessa impugnato la pronuncia di primo grado che, in accoglimento della propria domanda avanzata in via subordinata, aveva dichiarato risolto i predetti contratti, statuizione che, essendo divenuta definitiva, non consentiva che sul punto potesse adottarsi una diversa pronuncia; confermò inoltre il rigetto della domanda di risarcimento dei danni avanzata dall’attrice, sottolineando che la istante non aveva fornito alcuna prova del pregiudizio sofferto nè aveva allegato circostanze tali da farne presumere l’esistenza;

rigettò infine, per mancanza dei presupposti, la domanda dell’appellata società Belgiovine di risarcimento dei dannò per responsabilità processuale aggravata.

Per la cassazione di questa decisione, con atto notificato il 22 marzo 2010, ricorre M.M., affidandosi a quattro motivi.

La società Damiano Belgiovane resiste con controricorso e propone ricorso incidentale, sulla base di un solo motivo.

C.A., R.T. e R.N., cui il ricorso è stato notificato in qualità di eredi di Ro.Ma., non si sono costituiti. Entrambe le parti costituite hanno depositato memoria.

Motivi della decisione

1. Preliminarmente va dichiarato il difetto di legittimazione passiva delle intimate R.T., R.N. e C.A., le quali sono state convenute in qualità di eredi di Ro.

M., che era stato parte nei pregressi giudizi di merito, nel frattempo deceduto. La società controricorrente ha depositato in giudizio l’atto, datato 3 luglio 2009 e registrato in Bari il giorno 10 successivo, con cui le predette parti intimate hanno dichiarato di rinunciare all’eredità del de cuius. Da tale dichiarazione consegue il difetto di legittimazione passiva delle rinunzianti, non potendo esse essere considerati eredi e quindi successori a titolo universale della parte defunta. Costituisce principio consolidato nella giurisprudenza di questa Corte, infatti, che i successori a titolo universale della parte deceduta nel corso del giudizio succedono nel processo, ai sensi dell’art. 110 cod. proc. civ., non in forza della pura e semplice chiamata all’eredità, ma in quanto ed a condizione che essi possano considerarsi eredi, per avere accettato, espressamente o tacitamente, il compendio ereditario (Cass. n. 27274 del 2008; Cass. n. 25543 del 2008; Cass. n. 8391 del 1998).

Nè si pone, nel caso concreto, un problema di ammissibilità della produzione dell’atto di rinunzia sopra richiamato, per il fatto che tale documento è stato prodotto non dagli interessati, vale a dire dai rinunzianti, ma da una parte diversa, nella specie la società controricorrente. La produzione di tale documento va invero valutata nell’ambito del più generale onere della parte che dovendo proseguire il processo nei confronti degli eredi della parte defunta, è tenuta quanto meno ad allegare e dedurre che coloro che sono stati chiamati all’eredità abbiano effettivamente assunto la qualità di eredi, atteso che soltanto a tale condizione questi succedono nel processo e diventano parte del giudizio. La produzione in giudizio di tale documento deve pertanto considerarsi pienamente consentita in quanto concorre ad individuare l’effettivo titolare della legittimazione passiva rispetto alla domanda introdotta in giudizio.

A ciò merita aggiungere che l’interesse alla individuazione delle giuste parti del giudizio non è un interesse personale dell’attore, ma un interesse di tutte le parti del processo nonchè un interesse che ha una dimensione pubblicistica, attenendo ad una condizione dell’azione il cui difetto può essere rilevato d’ufficio dal giudice.

La riconosciuta mancanza di legittimazione passiva di R. T., R.N. e C.A. non comporta peraltro la necessità di ulteriori adempimenti a carico della parte ricorrente.

Tra le parti intimate, quali eredi di Ro.Ma., risulta infatti anche R.M., il quale, non figurando tra i chiamati che hanno rinunziato all’eredità, deve presumersi abbia acquistato la qualità di erede e sia pertanto succeduto nel presente giudizio alla parte deceduta.

2. Il primo motivo del ricorso principale avanzato dalla M. denunzia violazione e falsa applicazione dell’art. 2900 cod. civ. nonchè degli artt. 2966 e 2964 cod. civ. ed omessa, insufficiente o carente motivazione su un punto decisivo della controversia, censurando la sentenza impugnata per avere ritenuto inammissibile la domanda ex art. 2932 cod. civ. avanzata in via surrogatoria dalla appellante per difetto del presupposto richiesto dalla legge per l’esercizio di tale azione, costituito dall’inerzia del debitore.

Sostiene al riguardo la ricorrente che la Corte barese ha sbagliato nell’escludere l’ammissibilità della domanda di adempimento proposta in via surrogatoria dall’attrice, in quanto, nel dare atto che il Ro. si era costituito nel giudizio promosso dalla società Belgiovine per la risoluzione del contratto e si era opposto alla relativa domanda e proposto a sua volta domanda riconvenzionale di adempimento, non ha tenuto conto che la sentenza di primo grado aveva dichiarato inammissibile tale domanda riconvenzionale, per essersi il convenuto costituito soltanto all’udienza di prima comparizione, in violazione del termine stabilito dall’art. 166 cod. proc. civ. Tale circostanza, se valutata, avrebbe dovuto portare a ritenere l’esistenza dei presupposti per l’esercizio da parte della M., quale creditrice, dell’azione di adempimento in via surrogatoria. Diversamente infatti da quanto sembra affermate la Corte territoriale, l’art. 2900 cod. civ. consente al creditore di sostituirsi al debitore non nel caso di sua inerzia, ma nel caso di sua "trascuratezza", il che porta ad ammettere la legittimazione in parola non solo nei casi in cui il debitore rimanga completamente inattivo, ma anche laddove egli abbia adottato un’iniziativa del tutto inidonea ed insufficiente a tutelare i suoi diritti. Ne consegue che la successiva proposizione da parte del Ro. della domanda di adempimento nel diverso giudizio promosso dalla società Belgiovine, trattandosi di domanda palesemente inammissibile e come tale dichiarata dal giudice di prime cure, non poteva valere ad escludere la legittimazione dell’attrice alla proposizione della domanda di adempimento in via surrogatoria.

Il secondo motivo di ricorso denunzia violazione e falsa applicazione dell’art. 2932 cod. civ. in relazione all’art. 2900, violazione e falsa applicazione degli artt. 100, 101 e 102 cod. proc. civ. ed omessa, insufficiente o carente motivazione su un punto decisivo della controversia, censurando la sentenza impugnata per avere affrontato la questione dell’ammissibilità dell’azione surrogatoria avanzata dall’attrice in una prospettiva interpretativa della disposizione di cui all’art. 2900 cod. civ., ancorata alla sua ritenuta funzione conservativa delle ragioni del creditore, senza considerare, invece, che nel caso di sua proposizione al fine di ottenere l’adempimento di un contratto preliminare a sua volta concatenato con altro preliminare stipulato dal creditore l’azione svolge non una mera funzione conservativa, ma direttamente satisfattiva del diritto di quest’ultimo, come è dimostrato dalla considerazione che la giurisprudenza riconosce la possibilità che, in caso di fondatezza della pretesa, il bene sia trasferito direttamente dal primo promittente venditore all’ultimo promissario acquirente. L’affermazione della Corte, laddove sostiene che la legittimazione della M. a proporre l’azione surrogatoria è venuta meno una volta che il Ro., dopo l’instaurazione del presente giudizio, si era attivato nel confronti della società Belgiovine, è pertanto errata per la violazione del disposto di cui all’art. 2932 in relazione all’art. 2900 cod. civ. I motivi, che possono trattarsi congiuntamente per la loro connessione obiettiva, vanno entrambi respinti.

Quanto al primo mezzo, risulta in primo luogo inammissibile la censura che lamenta la mancata considerazione da parte del giudice di merito della sentenza emessa nel diverso giudizio introdotto dalla società Belgiovine nei confronti del Ro., nella parte in cui essa avrebbe dichiarato inammissibile la domanda riconvenzionale di adempimento del contratto avanzata da quest’ultimo. Tale sentenza non risulta infatti agli atti del giudizio, circostanza che evidentemente impedisce alla Corte di verificare l’assunto della ricorrente, la quale per di più non trascrive nel proprio ricorso, in ossequio al principio di autosufficienza, le parti del documento su cui ritiene di poter fondare la propria critica. Nè rileva, in tale prospettiva, la produzione di questa decisione che la ricorrente assume di avere fatto nel presente giudizio di legittimità, chiaramente inammissibile ai sensi dell’art. 372 cod. proc. Civ., ovvero la circostanza che essa sia menzionata nella sentenza impugnata, tenuto conto la Corte di appello ne riferisce al solo fine di dar conto che le domande ivi proposte dalla società Belgiovine erano state tutte accolte, senza dire alcunchè in ordine alla statuizione sulla domanda riconvenzionale del Ro., se, vale a dire, essa era stata dichiarata inammissibile ovvero rigettata nel merito.

Le doglianze avanzate dal ricorso appaiono in secondo luogo infondate nel merito.

Come è stato più volte evidenziato, sia da parte della giurisprudenza di questa Corte che ad opera della dottrina, l’azione surrogatoria è lo strumento che l’ordinamento appresta al creditore per consentirgli di prevenire e neutralizzare gli effetti negativi che possano derivare alle sue ragioni dall’inerzia del debitore, il quale ometta di esercitare le opportune azioni dirette ad incrementare o tutelare il suo patrimonio, in tal modo menomandolo ed, al contempo, riducendo la garanzia ch’esso rappresenta in favore dei creditori. Tale azione, peraltro, conferendo al creditore la legittimazione all’esercizio d’un diritto altrui, si traduce in un’interferenza nella sfera giuridica del soggetto passivo che ha carattere necessariamente eccezionale, onde, pur essendo nel campo patrimoniale un’azione di carattere generale, esclusa soltanto per i diritti che non consentono sostituzioni nel loro esercizio, può nondimeno essere proposta solo nei casi ed alle condizioni previsti dalla legge.

Ne discende che, qualora il debitore non sia più inerte, per essersi attivato dopo esserlo stato, o tale non possa essere comunque considerato, per aver posto in essere comportamenti idonei e sufficienti a far ritenere utilmente espressa la sua volontà in ordine alla gestione del rapporto, viene a mancare il presupposto perchè a lui possa sostituirsi il creditore. A quest’ultimo non può, infatti, essere consentito di sindacare le modalità con le quali il debitore abbia ritenuto – quali che siano stati i motivi, anche solo morali, delle scelte operate e siano risultate o meno, queste, corrette dal punto di vista economico patrimoniale – di gestire la propria situazione giuridica nell’ambito di un determinato rapporto; nè può essergli consentito di contestare, sostituendosi al debitore stesso e denunziandone le scelte, l’idoneità delle manifestazioni di volontà da questi poste in essere a produrre gli effetti riconosciuti alle stesse dall’ordinamento che, infatti, ha all’uopo preordinato altri specifici strumenti di tutela dei quali, nel concorso dei relativi requisiti, può il creditore giovarsi onde conservare la garanzia delle proprie pretese, quali l’azione revocatoria e l’opposizione di terzo (Cass. n. 1867 del 2000; Cass. n. 7187 del 1997).

Vero è, peraltro, che, come ricorda la ricorrente, l’art. 2900 cod. civ. indica il presupposto dell’azione nella "trascuratezza" e non nella mera "inerzia" del debitore, con ciò innovando, secondo parte della dottrina, alla formula, invero molto generica, adotta dall’art. 1234 cod. civ. del 1965, con la conseguenza che, ai fini della sua esperibilità, non potrebbero farsi differenze tra il comportamento inerte e quello che invece, pur apparentemente attivo, si risolva in iniziative manifestamente inidonee allo scopo. Il rilievo che l’azione surrogatoria possa essere esperita dal creditore anche nel caso in cui l’attività del debitore sia qualitativamente o quantitativamente insufficiente per la tutela della situazione giuridica del debitore stesso all’interno del rapporto con il terzo, non può, tuttavia, essere dilatato fino al punto da consentire l’interferenza del creditore anche rispetto a quelle attività del debitore che si risolvano in atti di disposizione del diritto stesso, in quanto questo è e rimane nella piena disponibilità del suo titolare e disporne, sia pur con conseguenze negative sulla situazione patrimoniale complessiva, costituisce una esplicita manifestazione della volontà di gestione e non un indice di trascuratezza nell’esercizio di quel diritto; un qual si voglia comportamento positivo posto in essere dal debitore, ancorchè lesivo delle aspettative del creditore, in quanto atto d’amministrazione del proprio patrimonio spettante unicamente al debitore stesso, esclude pertanto la possibilità d’interferenza da parte del creditore con l’azione surrogatoria, non potendo evidentemente un atto positivo essere equiparato ad un comportamento omissivo od insufficientemente od inidoneamente attivo, unica ipotesi prevista e disciplinata dall’art. 2900 cod. civ., salvo a costituire oggetto d’azione revocatoria, ove ne ricorrano gli estremi, ai sensi dell’art. 2901 cod. civ. (Cass. 28.5.88 n. 3665).

Sotto altro e concorrente profilo va poi evidenziato che la valutazione del comportamento del debitore costituisce un tipico apprezzamento di fatto demandato dalla legge al giudice di merito, il quale è così chiamato a valutare, nel caso in cui non ricorra una totale inerzia, se il comportamento tenuto sia, per quanto positivo, tuttavia qualitativamente o quantitativamente inadeguato ovvero se esso configuri comunque una manifestazione di volontà di gestione del proprio patrimonio da parte del debitore, che, come si è visto, è insindacabile nell’ambito dell’esercizio dell’azione surrogatoria.

Tanto precisato, nel caso di specie la valutazione del comportamento del debitore Ro. da parte della Corte di appello si sottrae agevolmente alle censure sollevate dalla ricorrente. Il giudice a quo ha infatti escluso il presupposto dell’inerzia rilevando che il Ro. si era costituito nel giudizio promosso dal proprio promittente venditore, la società Bengiovine, per la risoluzione del contratto preliminare, opponendosi alla domanda, proponendo una domanda riconvenzionale di adempimento ex art. 2932 cod. civ. e, successivamente, presentando atto di appello avverso la sentenza di primo grado che aveva accolto le domande della controparte. Al di là della stessa insindacabilità di tale giudizio in sede di legittimità sotto il profilo del merito, appare evidente che, per le considerazioni sopra svolte, la valutazione operata dal giudice territroiale appare rispondente ai parametri posti dall’art. 2900 cod. civ. per l’esercizio dell’azione surrogatoria, non potendosi ritenere, sulla base degli elementi sopra evidenziati, che il debitore abbia trascurato l’esercizio dei propri diritti.

In tale prospettiva, non merita adesione l’argomento sviluppato dalla ricorrente, soprattutto con il secondo motivo, in ordine alla funzione satisfattiva che, in caso di preliminari a catena, assolverebbe l’esercizio dell’azione surrogatoria in uno con quella di adempimento ex art. 2932 cod. civ., ammettendosi in questi casi che la pronuncia ex art. 2932 cod. civ. possa operare il trasferimento diretto del bene dal dante causa del promittente venditore fino all’ultimo promissario acquirente (Cass. n. 25136 del 2008). Invero l’affermazione della funzione satisfattiva in questi casi appare riconducibile più alla constatazione degli effetti pratici del combinato esercizio delle due azioni, piuttosto che alla considerazione di mutamenti di carattere sostanziale. Si vuoi dire che l’aspetto considerato non appare in grado di poter interagire sulla necessaria esistenza del presupposto dell’inerzia previsto per l’azione surrogatoria, che, come sopra già evidenziato, conserva anche in queste ipotesi il suo carattere conservativo. Significativo è, del resto, che lo stesso ricorso non spieghi le ragioni per cui la riconosciuta funzione satisfattiva dell’azione in queste fattispecie reagirebbe, affievolendoli, sui presupposti dell’esercizio dell’azione surrogatoria.

3. Il terzo motivo di ricorso denunzia violazione e falsa applicazione dei principi di diritto in materia di interpretazione della domanda, omessa, insufficiente o carente motivazione su un punto decisivo della controversia, violazione e falsa applicazione degli artt. 342 e 346 cod. proc. civ., lamentando che la decisone impugnata abbia dichiarato inammissibile la domanda della M. diretta all’adempimento del contratto preliminare per non avere la parte impugnato anche il capo della decisione di primo grado che lo dichiarava risolto. La statuizione, ad avviso del ricorso, è palesemente errata in quanto non ha considerato che la domanda di risoluzione del contratto per inadempimento era stata proposta dalla stessa appellante in via subordinata, sicchè essa non poteva ritenersi passata in giudicato fino a quando la statuizione di rigetto della domanda principale non era divenuta definitiva.

Affermare poi che la statuizione di risoluzione avrebbe dovuto essere impugnata dall’appellante non ha senso, atteso che la domanda era stata avanzata da quest’ultima ed essa era stata accolta, sicchè difettava del tutto il requisito della soccombenza. Il giudice a quo, inoltre, si è contraddetto, laddove ha prima ha dichiarato che l’appellante aveva proposto censure nei confronti del capo della decisione che aveva disposto al risoluzione e poi ha affermato che esso non era stato investito da impugnazione.

Preliminarmente va precisato che il motivo non può considerarsi assorbito in ragione dell’esito delle censure che hanno investito la statuizione di rigetto della domanda avanzata in via surrogatoria, tenuto conto che, non essendo noto l’esito del diverso giudizio, pendente in fase di impugnazione, tra la società Belgiovine ed il Ro., nel quale questi aveva chiesto il trasferimento dei beni ex art. 2932 cod. civ., la parte ricorrente conserva interesse al mantenimento della sua azione di adempimento nei confronti del proprio promittente venditore.

Tanto precisato, il mezzo è manifestamente fondato.

L’affermazione della Corte di appello, che ha dichiarato la domanda ex art. 2932 cod. civ. proposta dalla M. inammissibile per essere stati i relativi contratti preliminari risolti, nello stesso giudizio, per inadempimento del Ro., non appare condivisibile.

Il giudice di merito ha invero del tutto trascurato il dato, da esso stesso riconosciuto, che la domanda di risoluzione era stata proposta dall’attrice solo in via subordinata rispetto a quella di adempimento. In particolare, appare pretermesso il rapporto di ordine logico prima che giuridico che è dato rinvenire tra la domanda principale e la domanda subordinata, in forza del quale quest’ultima è avanzata soltanto a condizione che la prima non risulti accolta.

La relazione impressa dall’attore alle proprie domande fa sì, in questi casi, che la domanda principale resti pienamente efficace finchè essa non sia stata rigettata, nel corso del giudizio di merito, con sentenza passata in giudicato. La subordinazione tra le due domande va infatti logicamente riferita all’evenienza che la domanda principale sia respinta ed il relativo vincolo di subordinazione deve ritenersi rimanga impresso finchè tale rigetto sia divenuto definitivo. Nel caso, pertanto, in cui vi sia incompatibilità tra domanda principale e domanda subordinata, il rigetto della prima e l’accoglimento della seconda non preclude alla parte di riproporre nel giudizio di impugnazione la propria domanda principale, atteso che il vincolo di subordinazione rimane pienamente efficace per tutto il corso del giudizio. La debolezza del ragionamento svolto dal giudice di merito appare del resto evidente nell’argomentazione della sentenza secondo cui la statuizione che avrebbe risolto il contratto sarebbe divenuta ormai definitiva, precludendo ogni altra decisione sul punto, per non essere stata oggetto di impugnazione ad opera della parte medesima. Non ci si è avveduti in tal modo che, come esattamente rilevato dal ricorso, tale impugnazione non avrebbe mai potuto essere proposta e, se proposta, avrebbe dovuto essere dichiarata inammissibile per difetto di interesse, non potendosi l’attrice considerare, rispetto ad essa, soccombente. In realtà la relazione che, in caso di accoglimento in appello della domanda principale, è dato riscontrare tra tale statuizione e quella di primo grado che ha accolto la domanda subordinata trova soluzione nello stesso rapporto di subordinazione impresso tra l’una e l’altra, che, tenuto conto della prevalenza data alla prima, fa sì che il suo accoglimento determini anche la caducazione della statuizione che ha accolto la domanda subordinata, in modo non dissimile dal fenomeno descritto dall’art. 336 cod. proc. civ., secondo cui la riforma di una decisione in sede di impugnazione estende i suoi effetti anche ai capi non impugnati, ma da essa dipendenti.

4. Il quarto motivo di ricorso denunzia violazione e falsa applicazione dell’art. 1223 cod. civ., censurando la sentenza per avere respinto la domanda di risarcimento del danno.

Il mezzo va dichiarato assorbito in ragione dell’accoglimento del terzo motivo, investendo un capo della decisione dipendente da quello che aveva disposto la risoluzione del contratto.

5. L’unico motivo del ricorso incidentale proposto dalla società Damiano Belgiovane denunzia violazione dell’art. 96 cod. proc. civ. ed omessa motivazione su un punto decisivo della controversia, lamentando il rigetto della sua richiesta di condanna della appellante per responsabilità processuale aggravata.

Anche questo mezzo va dichiarato assorbito, tenuto conto che esso investe la pronuncia accessoria che, in quanto tale, risulta investita dall’esito del presente giudizio.

6. In conclusione, va accolto il terzo motivo del ricorso principale, vanno rigettato i primi due motivi e dichiarati assorbititi il primo ed il ricorso incidentale. La sentenza va pertanto cassata in relazione al motivo accolto e la causa rinviata ad altra Sezione della Corte di appello di Bari, che provvederà anche alla liquidazione delle spese di giudizio.

P.Q.M.

accoglie il terzo motivo del ricorso principale, rigetta i primi due e dichiara assorbititi il quarto ed il ricorso incidentale; cassa la sentenza in relazione al motivo accolto e rinvia la causa, anche per la liquidazione delle spese di giudizio, ad altra Sezione della Corte di appello di Bari.

Così deciso in Roma, il 24 gennaio 2012.

Depositato in Cancelleria il 12 aprile 2012

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